…e fa bene all’ambiente
Niente più spostamenti in auto o in scooter, casa-ufficio e ufficio-casa. Niente più bottigliette di plastica da tenere sulla scrivania. Ma serve una nuova normativa che muti l’organizzazione del lavoro
Facile comprendere come le politiche di smart working, nuova formula di lavoro agile da casa, possano portare benefici significativi all’ambiente.
I cambiamenti principali sono, infatti, connessi alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivanti da un minore utilizzo dei mezzi di trasporto, con viaggi pendolari molto meno frequenti, da un minore consumo di prodotti monouso, di cibi e bevande d’asporto che si traduce in minore spreco di cibo e scelte alimentari più sostenibili, meno imballaggi, stoviglie, tovaglioli, salse e cannucce monouso.
Liberi professionisti, dipendenti privati e della pubblica amministrazione, a partire da marzo 2020 hanno avuto la possibilità di lavorare stabilmente da casa o da un luogo a scelta, diverso dall’ufficio, con orari più o meno flessibili. La routine quotidiana è cambiata in maniera radicale. Niente più spostamenti in auto o in scooter, casa-ufficio e ufficio-casa. Niente più bottigliette di plastica da tenere sulla scrivania.
Il Governo per limitare la diffusione dei contagi ha stabilito che «il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni» (art. 87, comma 1, del decreto legge n. 18/2020) e, conseguentemente, che lo svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni fosse effettuata limitando la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza. Allo stesso tempo, prescindendo dagli accordi previsti dalla normativa ordinaria sul lavoro agile, ha autorizzato i dipendenti ad utilizzare anche strumenti informatici nella loro disponibilità.
Il settore terziario, ossia il settore economico in cui si producono o forniscono servizi, ovvero tutte quelle attività generalmente amministrative, intellettuali, complementari e di ausilio alle attività del settore primario (agricoltura, allevamento, ecc.) e secondario (manifattura e industria in tutti i suoi sottosettori) è stato particolarmente interessato dallo «smart working».
Nel contesto della pandemia, si è assistito, quindi, ad un mutamento della ratio d’impiego del lavoro agile che, da strumento innovativo di welfare aziendale per l’incremento della produttività ed il migliore equilibrio vita-lavoro, è stato convertito in strumento per il migliore bilanciamento tra principi e diritti costituzionali, quali la salute pubblica, la sicurezza sul lavoro e la conservazione del posto di lavoro, a fronte della ben più drammatica prospettiva delineata dalla crisi aziendale, dal ricorso alla cassa integrazione, dalla sospensione totale delle attività ovvero dalla diffusione ancor più rapida della infezione virale, negli ambienti di lavoro.
Con il termine «telelavoro», presente nei nostri dizionari da molti anni prima del termine «smart working», si fa riferimento ad una prestazione di lavoro effettuata regolarmente al di fuori della sede di lavoro con il supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Eccoci dunque al nocciolo della questione. Telelavoro e smart working possono essere considerate entrambe pratiche di remote working, ma con alcune sostanziali differenze, in gran parte legate all’idea di flessibilità e autonomia lavorativa.
Rimane a questo punto un quesito: il fenomeno a cui abbiamo assistito durante l’emergenza si può definire Telelavoro o smart working? Il lavoro da remoto emergenziale è ben diverso dal vero smart working, il quale si basa su un accordo libero e responsabile tra azienda e lavoratore: durante il lockdown, invece, molti lavoratori si sono trovati a sperimentare, frequentemente in maniera improvvisata, non è il «vero» smart working, ma un lavoro da remoto che potremmo definire come smart working «emergenziale».
Ora però che la campagna di vaccinazione ha reso il Covid un po’ meno pericoloso per la collettività, il Governo ritiene possibile, ed anzi doveroso, il ritorno in ufficio dei dipendenti pubblici.
Infatti, il Presidente del Consiglio ha recentemente firmato un decreto, che prevede il ritorno al lavoro in presenza per i dipendenti pubblici a partire dal giorno 15 ottobre. In base al comunicato stampa diffuso dal governo, e collegato al dpcm in oggetto: «La modalità ordinaria di lavoro nelle pubbliche amministrazioni torna ad essere quella in presenza», dopo che, dal marzo 2020, era stata scelta come modalità principale di lavoro lo smart working, se applicabile alle specifiche mansioni dei dipendenti PA.
Il Ministro per la PA, Renato Brunetta, è tra i più soddisfatti per il ritorno alla routine del lavoro d’ufficio: «Si apre l’era di una nuova normalità — ha detto il Ministro subito a seguito della firma del Dpcm — e si completa il quadro avviato con l’estensione dell’obbligo del Green pass a tutto il mondo del lavoro».
Ci si chiede come potrà nuovamente trovare spazio lo smart working nella PA. Ebbene solo con un nuovo regolamento sul lavoro da casa che potrà essere varato soltanto dopo il rinnovo dei contratti pubblici. Solo a partire da quella fase, sarà possibile «garantire una regolazione puntuale dello smart working».
È auspicabile che con la nuova organizzazione potremo avere uno smart working vero, strutturato e ancorato a obiettivi e monitoraggio dei risultati, che faccia tesoro degli aspetti migliori dell’esperienza emergenziale e che assicuri l’efficienza dei servizi, essenziale per sostenere la ripresa del Paese, e la soddisfazione dei cittadini e delle imprese.
In pratica, la presenza fisica sul posto di lavoro tornerebbe a essere la regola e lo Smart Working ridiventerebbe l’eccezione, al contrario di quanto stabilito dalle normative che si sono succedute dal febbraio del 2020 per contrastare le ondate epidemiche.
Il lavoro normativo, che al momento si sta concentrando sulla Pa, dovrà ovviamente passare anche da un’interlocuzione con i sindacati.
Quanto alle misure operative, si partirà da chi offre servizi diretti al cittadino, che fino ad oggi erano rimasti chiusi o accessibili solo su prenotazione. Prima chi lavora agli sportelli, poi un ritorno graduale con una percentuale che rimarrà comunque in smart working.
Lo smart working potrà funzionare e bene solo sotto alcune condizioni specifiche: un nuovo modello manageriale e una cornice normativa rinnovata. Dal punto di vista manageriale occorre abbandonare la tradizionale logica del controllo per passare ad un’organizzazione basata sugli obiettivi, una logica responsabilizzante, che concede autonomia e trasmette fiducia ai lavoratori, i quali smettono di essere meri esecutori ma assumano un ruolo attivo nel sistema, nella direzione di una non più procrastinabile modernità.
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia