L’impianto ad inseguimento solare di 15.100 moduli fotovoltaici, non ha superato il vaglio della Provincia di Taranto e della Regione Puglia che hanno negato la compatibilità ambientale all’impianto, pregiudicando il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale. Il parere negativo è arrivato anche dalla Soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo, dall’Arpa Puglia e dal Comune di Manduria
Il lamento dei «nuovi ambientalisti» e dei «novelli Prometeo» che a vario titolo, anche dagli scranni di assemblee legislative, gridano contro il blocco delle autorizzazioni ad impianti industriali per la produzione di energia da fonti rinnovabili (quasi esclusivamente eolico e fotovoltaico con la variante agrivoltaico), ora possono gridare anche contro la giustizia cieca e sorda.
È di qualche giorno fa un’interessante sentenza del Tar Lecce, II Sezione, che si è pronunciato sul ricorso di una società con sedi a Milano e Verona che avrebbe voluto installare un impianto agrivoltaico (ossia fotovoltaico industriale integrato con produzione agricola solitamente intensiva o superintensiva) in territorio del Comune di Sava, in provincia di Taranto, della potenza di circa 6 MW su un’area di circa 16 ettari. L’impianto ad inseguimento solare di 15.100 moduli fotovoltaici, non ha superato il vaglio della Provincia di Taranto e della Regione Puglia che hanno negato la compatibilità ambientale all’impianto, pregiudicando il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale. Il parere negativo è arrivato anche dalla Soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo, dall’Arpa Puglia e dal Comune di Manduria.
La società milanese ha contestato che il diniego alla realizzazione dell’impianto si sia basato sulle norme del Piano paesaggistico regionale (Pptr), impugnato anch’esso per le nome interessate, perché, si sostiene nel ricorso, «attribuendo a un atto pianificatorio (Pptr) portata vincolante nell’individuazione delle tipologie di impianti realizzabili sul territorio, alla Regione viene riconosciuto un potere che esorbita dalle competenze fissate dall’art. 12 del d. lgs. 387/2003 e dalle Linee Guida Nazionali che circoscrivono alla sola individuazione delle aree non idonee la facoltà riconosciuta alla Regione».
Il Tribunale amministrativo ha però radicalmente censurato le pretese del ricorrente stabilendo che «è lo stesso legislatore statale — in coerenza con le attribuzioni di cui all’art. 117 della Costituzione, e conformemente ai principi di cui all’art. 9 della Costituzione italiana — a prevedere: a) la necessità di predisposizione di piani paesaggistici (art. 135 CBC – Codice dei Beni culturali -); b) la loro prevalenza sui piani territoriali e urbanistici (art. 143 co. 9 CBC). Tali previsioni non si pongono in contrasto con l’art. 12 d. lgs. n. 387/03. Invero — premesso che tale previsione normativa precede quella di cui al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d. lgs. n. 42/04), e pertanto non può in alcun modo vincolare quest’ultima, essendo piuttosto vero il contrario — è comunque dirimente osservare che: “Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3., sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”. Dunque, soltanto una volta ottenuta l’Autorizzazione Unica — e non prima — le opere per la realizzazione degli impianti sono ritenute aventi natura indifferibile e urgente».
La verifica di conformità dell’impianto proposto con le norme del Pptr in materia di energie rinnovabili, quindi, è stata corretta ed i pareri adeguatamente motivati. Quanto alla pretesa che la realizzazione dell’impianto avrebbe riportato a coltura 10 dei 16 ettari ora incolti, il Tar Lecce chiosa commentando che «sul punto, è sufficiente rilevare che se l’intento della ricorrente è quello di riavviare all’utilizzo in chiave agricola terreni sinora incolti, ciò può essere fatto in ogni momento, senza necessità di avviare anche un parco fotovoltaico. Pertanto, la tesi della ricorrente “prova troppo”, evidenziando un aspetto (il riutilizzo di parte dei terreni in chiave agricola) che prescinde del tutto dalla realizzazione del parco fotovoltaico, e che può essere concretizzato in ogni momento, indipendentemente da quest’ultimo».
Insomma, il Tar Lecce ritiene correttamente formulato il diniego che è sintetizzabile così: «l’impianto contribuisce ad accrescere il fenomeno di artificializzazione dei luoghi, ingenerando una corsa all’emulazione, con conseguente perdita — o forte compromissione per un notevole arco temporale (gli impianti fotovoltaici hanno una durata media di circa 20-30 anni) — del carattere agricolo dell’area di riferimento, nonché della vocazione identitaria dei luoghi».
Vedremo se e che cosa sancirà il Consiglio di Stato che, presumibilmente, verrà chiamato ad esprimersi sulla vicenda. Per ora, la sentenza del Tar Lecce ha un peso non indifferente.
Fabio Modesti