Il discorso di Draghi agli ambasciatori. È un’esortazione a ridurre sensibilmente la corruzione e gli abusi di potere in tutte le loro forme. La lotta alla corruzione costituisce una delle principali sfide mondiali. Rappresenta infatti un grande ostacolo allo sviluppo sostenibile e alla democrazia e ha un effetto devastante soprattutto sulle comunità più povere
«Abbiamo davanti sfide significative, da cui dipende la nostra credibilità davanti ai cittadini e ai nostri partner. La prima è l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nei prossimi cinque anni, dobbiamo investire 191,5 miliardi di euro, a cui si aggiungono altri fondi per un totale di 235 miliardi di euro. Ci siamo impegnati a ridurre i divari territoriali, generazionali, di genere; ad accelerare la transizione digitale e quella ecologica; a migliorare la scuola e rafforzare la sanità; e a riformare in modo profondo l’economia, per rilanciare la produttività, semplificare la burocrazia, favorire l’innovazione. Il Pnrr non è il Piano di rilancio di questo Governo. È il Piano di rilancio di tutto il Paese. E spetta a tutti — politici, funzionari, imprenditori, parti sociali — contribuire alla sua realizzazione in modo rapido, efficiente, onesto». Così il presidente del Consiglio Mario Draghi, intervenendo alla XIV Conferenza degli ambasciatori e delle ambasciatrici d’Italia nel mondo alla Farnesina.
È su quell’«onesto» che mi voglio soffermare. È un’esortazione a ridurre sensibilmente la corruzione e gli abusi di potere in tutte le loro forme. La lotta alla corruzione costituisce una delle principali sfide mondiali.
Rappresenta infatti un grande ostacolo allo sviluppo sostenibile e alla democrazia e ha un effetto devastante soprattutto sulle comunità più povere.
L’impatto della corruzione sul settore privato è inoltre considerevole: essa impedisce la crescita economica, distorce la concorrenza fra le aziende e presenta seri rischi legali e reputazionali per le aziende.
Oggi, nell’àmbito di una struttura societaria vi è un insieme di principi, regole e prassi, che prende il nome di «corporate governance», attinenti all’organizzazione dell’attività e preordinati al fine di perseguire una oculata gestione dell’attività d’impresa che la società esercita, individuando le competenze, i poteri, i doveri e le responsabilità dei soggetti che operano nell’azienda e degli organi in cui la società si articola.
Non esiste un «modello perfetto» di corporate governance, poiché ogni realtà imprenditoriale è diversa dall’altra, per la tipologia e le dimensioni del business, per il contesto territoriale in cui l’impresa opera, per la quota di capitale sociale appartenente ai singoli soci o alle loro aggregazioni, per le caratteristiche del capo-azienda, eccetera. Esiste però un (assai complesso) quadro di regole variamente applicabili alle singole realtà concrete, che è comunque imprescindibile conoscere (e applicare) per gestire correttamente un’impresa societaria; così come esistono prassi virtuose, sviluppate dall’esperienza, che è occorrente prendere in considerazione per adattarle alla specifica attività aziendale caso per caso considerata. Ogni struttura societaria ha pertanto la necessità di impostare il miglior assetto possibile di corporate governance, in quanto caratterizzata da imparzialità, equità, correttezza.
Il rapido diffondersi nel mondo delle regole di corporate governance, ha indotto le imprese ad adottare misure anticorruzione tra quelle a difesa della reputazione e degli interessi degli azionisti. Le misure di controllo interno delle imprese includono sempre di più la valutazione delle questioni etiche e di integrità e un numero sempre maggiore di investitori è attento a questo tipo di controlli poiché da essi si determina il livello di buona gestione aziendale.
La lotta internazionale alla corruzione ha avuto un grande slancio a seguito dell’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione (Uncac).
Notevoli sono infatti i problemi posti dalla corruzione: dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia, compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto, agli altrettanto preoccupanti nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio di denaro, tanto da minacciare la stabilità politica e lo sviluppo sostenibile degli Stati, atteso che la corruzione non è più una questione locale ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie.
A fronte di tale situazione la cooperazione internazionale ha ritenuto essenziale stipulare questa Convenzione nella convinzione che solo un approccio globale e multidisciplinare possa essere necessario per prevenire e combattere efficacemente la corruzione, convinti inoltre che l’offerta di assistenza tecnica possa notevolmente contribuire a mettere gli Stati maggiormente in grado, anche mediante il potenziamento delle capacità e delle istituzioni, di prevenire e combattere efficacemente la corruzione, convinti che l’acquisizione illecita di patrimoni personali possa essere particolarmente pregiudizievole per le istituzioni democratiche, le economie nazionali e lo stato di diritto, determinati a prevenire, individuare e scoraggiare in modo più efficace i trasferimenti internazionali di beni illecitamente acquisiti e a potenziare la cooperazione internazionale per il recupero dei beni, riconoscendo i principi fondamentali del rispetto delle garanzie previste dalla legge nei procedimenti penali e nei procedimenti civili o amministrativi concernenti il riconoscimento di diritti di proprietà, avendo a mente che spetta a tutti gli Stati prevenire e sradicare la corruzione e che questi ultimi devono cooperare tra loro, con il sostegno e la partecipazione di persone e gruppi non appartenenti al settore pubblico, quali la società civile, le organizzazioni non governative e le comunità di persone, affinché i loro sforzi nel settore siano efficaci.
La strategia Europa 2020 mirava a fare in modo che la ripresa economica dell’Unione europea (UE) in seguito alla crisi economica e finanziaria fosse accompagnata a una serie di riforme per la crescita e la creazione di occupazione.
La strategia Europa 2020 doveva consentire all’UE di raggiungere una crescita intelligente, attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione; sostenibile, basata su un’economia più verde, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva; inclusiva, volta a promuovere l’occupazione e la coesione sociale e territoriale.
Per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva il contributo degli appalti pubblici è ritenuto essenziale.
Oggi, come sempre, gli appalti pubblici necessitano di: semplificazione, efficienza, concorrenza, anticorruzione.
Troppo spesso gli appalti pubblici sono, purtroppo, associati agli scandali, agli sprechi, alla corruzione.
Il recepimento delle nuove direttive europee sui contratti pubblici doveva, quindi, rappresentare un’occasione decisiva per riformare in modo profondo il settore degli appalti e delle concessioni in Italia.
Ma molte norme, scarsa legalità, troppe stazioni appaltanti inefficienti, modesta attenzione per la qualità dei progetti, massimi ribassi e massimi aumenti dei costi in corso di opera, gare opache, scarsa efficienza dei controlli pubblici, partenariato pubblico-privato da migliorare, contenzioso giurisdizionale da contenere… hanno rappresentato un freno per riformare il settore degli appalti e delle concessioni.
Naturalmente ci sono stati anche i punti di forza: le reti di Alta Velocità realizzate, il lavoro dell’Anac, le norme su project bond e «sblocca cantieri», ma occorre non perdere il treno per realizzare i cambiamenti necessari.
C’è un Paese da guidare, alle prese con un aumento dei contagi, e c’è un piano di rinascita da applicare.
Si tratta, ha scritto il Presidente del Consiglio nella relazione alle Camere sul Pnrr, «di una sfida decisiva» da cui «dipende il nostro futuro» e che richiede «rapidità, efficienza, onestà». Dopo il primo assegno europeo, staccato al raggiungimento dei 51 obbiettivi previsti, tra sei mesi ne partirà un altro, ma nel frattempo dovremo completare altri 47 programmi. Riforme difficili: codice degli appalti, scuola, parità di genere, incentivazioni alle imprese. Leggi da approvare in fretta. «Il governo e le Camere — sottolinea il premier — sono tenuti ad attrezzarsi per rispettare tutte le scadenze che si impongono all’Italia».
Bandi, concorsi, assunzioni, rafforzamento della macchina amministrativa, capacità di avviare la spesa. Non sarà facile trasformare la burocrazia italica ma, niente riforme-niente soldi, il patto è questo. Non è proprio il momento «di adagiarsi», spiega poi Draghi durante la cabina di regia, piuttosto servirà «un impegno quotidiano fino al 2026». Chissà chi ci sarà tra quattro anni a Palazzo Chigi. E tra quattro mesi?
In attesa che la situazione politica si chiarisca, considerando pure il nuovo allarme sul fronte sanitario, il presidente del Consiglio decide di giocare la sua mano in una doppia partita europea. Quella del Recovery fund, che si è messa bene, che ha strappato applausi a Bruxelles ma che, come abbiamo visto, ha bisogno di una guida forte per non vanificare gli sforzi. E quella del peso dell’Italia nell’Unione, di cui la lettera di Mario Draghi al «Financial Times» del 25 marzo u.s., ci dà la misura della gravità del momento che stiamo vivendo.
Uscita di scena la Merkel, Roma e Parigi hanno rafforzato i legami un mese fa con il Trattato del Quirinale. Ora un altro affondo comune contro l’austerità.
Tema centrale dell’editoriale è il debito degli Stati, cresciuto molto con la pandemia. Le regole erano già superate prima; adesso, sostengono, dobbiamo fare «debito per finanziare gli investimenti necessari». Certo, toccherà pure ridurlo, però senza tasse o tagli alla spesa sociale. «Non possiamo soffocare la crescita attraverso aggiustamenti fiscali non praticabili». E la Germania che dice? Draghi e Macron, fa sapere l’Eliseo, hanno consultato diversi leader, in particolare Scholz, «ma a nessuno è stato proposto di aggiungere la sua firma».
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia