Ecco chi guadagna da questa guerra

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L’industria petrolifera fa affari

Greenpeace: «Dall’inizio della guerra l’industria petrolifera ha incassato 3 miliardi di euro di extra-profitti in Europa». Vanno tassati gli «enormi profitti, utilizzando le entrate ottenute per sostenere le famiglie più colpite e accelerare la transizione del settore dei trasporti verso forme di mobilità sostenibile e indipendente dal petrolio»

Dall’inizio del conflitto in corso in Ucraina, le compagnie petrolifere hanno guadagnato almeno 3 miliardi di euro di extra-profitti dalla vendita di diesel e benzina in Europa, come dimostra la nuova analisi commissionata da Greenpeace Central and Eastern Europe. Nel solo mese di marzo, l’industria petrolifera ha incassato una media di 107 milioni di euro di entrate extra al giorno (94 dalla vendita di diesel e 13 da quella di benzina), mentre i cittadini di tutta Europa sono stati vessati da aumenti senza precedenti del costo dei carburanti. In Italia le entrate extra delle compagnie petrolifere nel mese di marzo sono state in media di 387,5 milioni di euro, pari a 12,5 milioni al giorno (10,4 dalla vendita di diesel e 2,1 da quella di benzina).

Sebbene i prezzi del greggio siano aumentati da gennaio a marzo di 19,38 centesimi di euro al litro, l’aumento più significativo ha riguardato i prodotti raffinati come il diesel, che ha registrato +30/31 centesimi al litro, e +36,52 alle stazioni di rifornimento. Anche i prezzi della benzina hanno seguito un trend simile ma più debole. L’analisi di Greenpeace mostra come le multinazionali del petrolio stiano sfruttando la situazione di crisi per assicurarsi enormi margini di profitto lungo la filiera, mentre la base media dei loro costi resta poco intaccata.

«È inaccettabile che mentre milioni di persone in Europa lottano contro l’aumento delle spese per carburante ed energia senza precedenti, le compagnie petrolifere stiano facendo salire i prezzi per trarre profitti record dalla guerra e dalla crisi energetica che loro stesse hanno contribuito ad alimentare — dichiara Federico Spadini, campagna trasporti di Greenpeace Italia —. L’Unione europea deve fermare chi sta approfittando della situazione e tassare questi enormi profitti, utilizzando le entrate ottenute per sostenere le famiglie più colpite e accelerare la transizione del settore dei trasporti verso forme di mobilità sostenibile e indipendente dal petrolio».

Il governo italiano ha già adottato una tassa sugli extra-profitti, che però deve essere rivista e migliorata perché è troppo timida sul contributo richiesto (appena il 10 per cento degli extra-profitti) e poco focalizzata sulle aziende dei combustibili fossili, che alimentano il conflitto in corso. Greenpeace chiede inoltre alla Commissione Ue di condurre un’indagine sui recenti aumenti dei prezzi dei carburanti per verificare che non siano dovuti ad accordi di cartello o di fissazione dei prezzi, e alle aziende dell’oil&gas di rendere pubblica l’entità degli extra-profitti accumulati.

Nonostante circa il 70 per cento del petrolio consumato in Europa venga usato per i trasporti, l’Unione europea ha ignorato il settore nella bozza del piano REPowerEU per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. È invece necessario intraprendere da subito misure per potenziare il trasporto pubblico ed elettrico, vietare i voli a corto raggio che hanno già un’alternativa ferroviaria, finanziare la mobilità sostenibile nelle città e mettere fine alla vendita delle auto con motore endotermico. Gli sconti alla pompa di benzina non bastano per uscire da una crisi destinata a ripresentarsi fintanto che non elimineremo la dipendenza europea dai combustibili fossili.

 

(Fonte Greenpeace)