Incendi, ma non è colpa dei cambiamenti climatici

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Il clima usato come alibi per continuare a eludere decisioni urgenti

Il contributo alle emissioni di CO2 da incendio nel mondo è arrivato nel 2021, secondo il Copernicus Atmosphere Monitoring Service dell’Unione Europea, a 1.850 milioni di tonnellate, pari a oltre i 2/3 delle emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili dell’intera Europa nello stesso periodo. Praticamente sono stati vanificati e, letteralmente, andati in fumo i costosissimi sacrifici delle politiche sul contenimento dei gas serra di un intero continente

Il gran numero di incendi di queste ultime estati a causa dei cambiamenti climatici, come ci viene ripetuto spesso in televisione, desta sempre più allarme. Ma in realtà in questo caso il clima c’entra solo relativamente, in quanto le alte temperature e le siccità prolungate non portano automaticamente all’aumento degli incendi; semmai, favoriscono l’innesco e la propagazione del fuoco, che ha in ogni caso origine antropica, ad eccezione di rarissimi casi. Non a caso, per restare a casa nostra, l’intero bacino del Mediterraneo, per le caratteristiche climatiche e della vegetazione, è in regime di massima allerta incendi da Giugno a Settembre da epoche ben antecedenti le anomalie registrate negli ultimi due decenni.

Gli incendi agroforestali, invece, contribuiscono in maniera importante ai cambiamenti climatici, in quanto la combustione , di qualsiasi tipo, libera nell’atmosfera il carbonio immagazzinato nei tessuti vegetali e nel suolo. Il contributo alle emissioni di CO2 da incendio nel mondo è arrivato nel 2021, secondo il Copernicus Atmosphere Monitoring Service dell’Unione Europea, a 1.850 milioni di tonnellate, pari a oltre i 2/3 delle emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili dell’intera Europa nello stesso periodo. Praticamente sono stati vanificati e, letteralmente, andati in fumo i costosissimi sacrifici delle politiche sul contenimento dei gas serra di un intero continente.

Porre un limite agli incendi costituisce, perciò, una delle priorità per contrastare i cambiamenti climatici a livello planetario.

Il bacino del Mediterraneo è uno degli hot spot climatici nel mondo, in cui gli incendi svolgono un ruolo di primo piano nel contributo alla crisi. Nel 2021 l’Italia è stata secondo l’«Advance report on wildfires in Europe, Middle East and North Africa 2021» dell’Effis (il sistema informativo sugli incendi dell’Ue) anche la nazione europea con la maggiore superficie percorsa dal fuoco, pari a circa 160.000 ettari, seguita da Grecia e Spagna. A livello nazionale la fanno da padrone, come sempre, le Regioni meridionali, come sta accadendo anche quest’anno. Desta particolare interesse il dato degli interventi eseguiti dalle strutture antincendio la scorsa estate nelle varie regioni; al primo posto troviamo la Sicilia con 16.770 richieste d’intervento, seguita dalla Puglia con 14.045 e dalla Calabria con 9.257.

La gran parte degli incendi ha origine dolosa e solo pochi sono attribuibili a piromani, cioè persone affette da una patologia vera e propria. Per i danni di varia natura che causa, a volte irreparabili,

l’opera degli incendiari deve ritenersi perciò una vera e propria attività criminale e come tale deve essere affrontata.

Ma, proprio perché gli incendi hanno origine antropica, molto si può e si deve fare a livello locale per diminuirne numero e pericolosità. Di seguito alcune considerazioni sui principali interventi che possono contribuire al contenimento del numero e dei danni da incendio:

  • In primo luogo una seria prevenzione, mettendo in pratica nei tempi previsti tutti quegli interventi che vengono prescritti dalle diverse ordinanze regionali in materia, sia sui terreni agricoli sia forestali. Al di là delle sciocchezze sulla pulizia dei boschi, cioè l’eliminazione del sottobosco (il miglior modo per uccidere un ecosistema, soprattutto in ambiente mediterraneo), è invece importante eseguire, insieme al potenziamento di elementi infrastrutturali quali un’adeguata viabilità di servizio nei complessi forestali, quei piccoli e diffusi interventi di manutenzione del territorio che comunque impediscono o rallentano l’innesco o il propagarsi di un incendio. Ma deve innanzitutto passare il concetto che l’uso del fuoco per qualsiasi operazione nel territorio agroforestale, causa di molti incendi colposi, va assolutamente vietato sempre e comunque nei periodi di massima pericolosità. Oggi la persistenza di certe arcaiche e dannose abitudini in ambito agricolo non può più trovare spazio, anche se in alcune (poche) Regioni, come la Puglia, si continua ad autorizzare l’uso del fuoco per eliminare stoppie e infestanti. In definitiva, per evitare un incendio in un pagliaio è sufficiente evitare di accendere qualcosa al suo interno!
  • Insieme agli interventi di prevenzione, occorre agire con strumenti di dissuasione e sanzioni che scoraggino e rendano poco conveniente l’accendere un fuoco o il mancato rispetto delle prescrizioni in materia antincendio. Alcuni sono già previsti dalla normativa, anche se andrebbero integrati con nuovi più mirati alle diverse esigenze. Se si prevedesse la confisca dei capi di bestiame trovati a pascolare anzitempo sui terreni bruciati, una penalizzazione nell’accesso ai finanziamenti per i Comuni che non redigono nei termini il catasto delle aree percorse dal fuoco, se durante la stagione degli incendi fossero proibite nuove assunzioni o la proroga della durata del servizio o l’ampliamento del budget per le Amministrazioni competenti (agendo così indirettamente sulla cosiddetta «industria del fuoco»), se fosse fatta rispettare per le costruzioni la distanza dai boschi, se… L’adozione di tante piccole iniziative può, senza ingessare il territorio, contribuire a contrastare efficacemente l’azione degli incendiari. Riguardo i roghi di suoli agricoli, che non bruciano se coltivati o comunque correttamente manutenuti come prescrivono le regole della cosiddetta «Condizionalità», per i terreni interessati basterebbe sospendere (o revocare in caso di reiterazione) il pagamento del Premio unico (erogato ai proprietari dei terreni agricoli e più conosciuto come «Pac», che supera anche i 1.000 euro/ettaro/anno). Molto probabilmente avrebbero fine anche gli strazianti e vergognosi incendi degli olivi colpiti da Xylella nel Salento, segno del profondo degrado di un territorio che pure si propone come soggetto turistico di primo piano.
  • Anche il controllo del territorio, compito cui le Amministrazioni competenti spesso sembrano aver abdicato, svolge un ruolo di primo piano nel più generale quadro della lotta agli incendi. Controllo inteso non tanto nell’accezione poliziesca del termine, ma in quanto elemento di conoscenza del territorio amministrato. È venuta meno in gran parte del territorio nazionale la figura del funzionario forestale o agricolo che, conoscendo le peculiarità, anche socioeconomiche, dell’area assegnata poteva fungere da riferimento per l’utenza, intervenendo per tempo anche su tensioni e problemi tanto da poterne eventualmente prevenire sviluppi indesiderati, come l’incendio. Tale figura andrebbe riproposta e potenziata.
    Non sussistono, invece, difficoltà reali per il rilievo delle eventuali infrazioni o azioni illegittime. L’utilizzo di satelliti, droni o altre moderne tecnologie permette di rilevare con facilità e costi irrisori quanto avviene sul territorio a una determinata data e/o di registrare le variazioni avvenute rispetto a una data di riferimento. La risoluzione spaziale dei rilievi satellitari, che ormai è inferiore al metro, una volta stabiliti i parametri del rilievo permette di verificare con precisione l’uso del suolo e di conseguenza l’esecuzione o meno di tutte le lavorazioni effettuate, tutti gli eventuali abusi, tutte le variazioni rispetto al passato, tutte le superfici bruciate e via dicendo, compreso, con la sovrapposizione alle immagini dei dati catastali, l’individuazione della proprietà dei terreni; gli eventuali sopralluoghi in loco sarebbero limitati ai soli casi dubbi. È facile immaginare il potere deterrente di tale pratica, se esiste la certezza che ogni abuso o infrazione saranno rilevati e sanzionati. Basta volerlo!
  • L’attività antincendio vera e propria costituisce l’elemento principale per la lotta al fuoco. Si tratta di un’attività in capo alle Regioni gestita dalla Protezione civile con il coordinamento dei Vigili del Fuoco, che coinvolge un apparato importante e corposi finanziamenti, soprattutto nelle regioni meridionali. È perciò fondamentale un funzionamento efficace delle strutture addette, soprattutto nel contrasto agli incendi boschivi, i più dannosi e pericolosi verso cui vanno rivolti i principali sforzi secondo una scala di priorità ben chiara. Non basta «il contenimento dell’incendio e la garanzia della tutela di beni e persone», come afferma qualcuno coerentemente con gli obiettivi di protezione civile, ma, ferma la priorità della tutela delle vite, deve essere chiaro che il bene principale da tutelare è nella gran parte dei casi il bosco stesso, per tutte le motivazioni ambientali che qui è inutile ricordare! Ciò implica una specificità della lotta agli incendi boschivi rispetto alle altre pratiche antincendio, con la conseguente priorità di ridurre al massimo i danni alla vegetazione naturale. Cosa che comporta la necessità di intervenire con la massima rapidità ed efficacia sui focolai, aggredendo il fuoco anche nel folto del bosco e su terreni impervi, cercando di impedire la sua espansione. Non a caso, come sanno i forestali di tutto il mondo, la riduzione dei tempi d’intervento e quella della superficie media percorsa dal fuoco sono i parametri principali per verificare l’efficienza di un sistema antincendio boschivo. E occorre dire che non sempre il raggiungimento di questi obiettivi è compatibile con i tempi (generalmente elevati, come i costi) dell’intervento aereo, cui alcuni vogliono attribuire un ruolo prioritario nell’estinzione degli incendi. Intervento questo importantissimo e fondamentale, soprattutto nei grandi incendi e in aree difficilmente accessibili, ma raramente risolutivo per l’estinzione del fuoco e le successive fasi di bonifica. La lotta al fuoco si fa, utilizzando un termine militare oggi di moda, «boots on the ground», con gli scarponi sul terreno, ossia con squadre specializzate Aib ben dimensionate e addestrate, equipaggiate con specifiche attrezzature, che conoscono il territorio in cui operano (la morfologia, le caratteristiche del combustibile, il microclima che la presenza del fuoco può creare, ecc.) e dislocate in posti strategici tra le superfici forestali per garantire un intervento il più rapido possibile sui focolai e una successiva risolutiva bonifica, di fondamentale importanza perché il fuoco non riparta. Questa è la struttura che va potenziata e a cui rivolgere le maggiori attenzioni, mentre per i cosiddetti incendi di interfaccia urbano-rurale e quelli di altre superfici sono generalmente sufficienti le normali strutture e dotazioni antincendio.

Insomma, tante sono le azioni come quelle descritte che possono essere messe in campo per affrontare il problema incendi; semplici ma di sicuro effetto, che non richiedono un ricorso a provvedimenti emergenziali.

Occorre solo una volontà politica che intenda affrontare seriamente e in maniera complessiva il problema.

E che i cambiamenti climatici non costituiscano un alibi per continuare a eludere decisioni sempre più urgenti!

 

Domenico Ragno