La mobilità e la libertà di pensiero

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piazza mercatino
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La mobilità si intreccia con la vita lavorativa e così si scopre, passo passo, l’evoluzione anche del pensiero e il filo conduttore che ha retto i vari passaggi

Confesso che non mi è facile scrivere di mobilità, perché tantissimi sono i suoi aspetti e le conseguenze positive e negative. Inizierò dunque a scrivere durante questo mio volo per Il Cairo, sfruttando la mia storia di mobilità e ne traccerò alcuni aspetti.

Lasciai il paese dove sono nato all’età di sei anni nel 1956, quando tutta l’Italia era in mobilità dal Sud verso il Nord e dai piccoli centri verso le città. Avevo appena iniziato la scuola, tutta la mia famiglia si trasferì a Roma perché la società di costruzioni, per la quale lavorava mio padre, fu chiamata a costruire alcune opere per le Olimpiadi di Roma del ’60. Tornavamo spesso alla casa paterna e per tornarci utilizzavamo la corriera, Autolinee Sabino. Ricordo ancora le vomitate dentro quegli autobus lungo le curve della Salaria, mia madre era però organizzatissima ed io riuscivo a non sporcare; la nausea ed il vomito erano la caratteristica di quasi tutti i bambini che viaggiavano con me. In queste condizioni non facili di mobilità la mia famiglia riusciva a tenere la casa in ordine, curare la vigna e coltivare il terreno. Tante altre famiglie facevano come noi, ma a quel tempo non si avevano tante pretese e le cose funzionavano bene.

Oggi quella vita non sarebbe più possibile e come ho detto tante volte la foresta avanza dappertutto in Italia. La mobilità della mia famiglia ebbe una svolta quando comprammo la prima macchina, una Fiat 128. Le cose si fecero molto più facili e mi sembrava di sognare: salivo a Roma e senza vomitare né cambiare pullman scendevo sotto casa.

Nel 1969, appena diplomato, mi muovevo con i Sessantottini, ma poi capii che era una rivoluzione che portava più cose negative che positive. In quegli anni feci anche il mio primo lungo viaggio con i soldi guadagnati lavorando come manovale per un mese dopo la maturità. Presi il treno ed andai a Londra ad un concerto gratuito dei King Crimson e Jack Bruce in Hide Park Corner. Rimasi a Londra per un mese, solo, con pochi soldi e scarsa conoscenza della lingua, ma seppi cavarmela egregiamente e ciò mi fece vincere tantissime paure.

Nel 1977, insieme con tre amici, prima di iniziare a lavorare per il Comitato nazionale per l’energia nucleare – Direzione Sicurezza e Protezione Sanitaria (Cnen-Disp), feci il mio secondo lungo viaggio fino a Capo Nord con una Renault 4, carica di vettovaglie. Impiegammo un mese per andarle e tornare e anche quella fu un’esperienza fondamentale per la mia crescita. Tornai dimagrito ma veramente felice.

Iniziai a lavorare al Cnen-Disp nel settembre del 1977 e dopo qualche anno fui mandato per sei mesi a Washington D.C., per la mia formazione professionale, alla Nuclear Regulatory Commission degli Usa. Fu un’esperienza che mi arricchì molto a livello professionale, dandomi l’opportunità di mettermi in mostra. Il lavoro svolto da me a Washington fece sì che il direttore della divisione statunitense iniziasse a riporre in me molta fiducia, diventai uno di loro e mi fu chiesto di non tornare in Italia, cosa che però non feci, in quanto io non ho mai pensato di lasciare l’Italia permanentemente abbandonando le cose a me care.

Nel 1983 iniziò la mia attività di esperto della Iaea (l’Agenzia Onu per l’uso pacifico dell’Energia atomica) con una missione in Turchia propostami dal mio Direttore. Da allora sono consulente della Iaea per gli aspetti sismici e geologici nella realizzazione delle opere nucleari e dal 2011, una volta in pensione, lavoro anche per compagnie internazionali che si occupano di nucleare. Questo lavoro di consulenza, unitamente a quello da me svolto presso il mio posto di lavoro dal 1977 al 2011, mi ha consentito un’enorme mobilità: penso di aver lavorato in circa 40 paesi nei cinque continenti. È importante sottolineare che avendo visitato questi paesi per lavoro li ho potuti conoscere dall’interno, cosa che non è sicuramente possibile fare in vacanza. Desidero raccontare un paio di esperienze fatte durante i numerosi viaggi e collegabili alla «mobilità».

Per conto della Iaea sono andato circa una quindicina di volte in Iraq al tempo di Saddam Hussein, il quale voleva costruire un impianto nucleare a Tikrit sua cittadina natale sul Tigri. Era il tempo della guerra con l’Iran, ricordo le bombe che cadevano anche a Bagdad poco lontano dall’albergo in cui alloggiavo. l’Iraq a quel tempo era una forte dittatura, il paese cresceva molto economicamente ed era meta di tanta immigrazione dai paesi poveri della regione. Poi scoppiò la guerra del Kuwait ed iniziò una mobilitazione generale che dall’Iraq andò, negli anni, a interessare quasi tutti i paesi arabi dall’Iran al Marocco. Le cose sono cambiate in meglio o in peggio? Sinceramente credo che esse siano cambiate in peggio sia per loro che per noi italiani.

Dopo la caduta dell’Urss ho iniziato, sempre per la Iaea, a controllare la sicurezza degli impianti nucleari posti nei paesi dell’ex patto di Varsavia. Mi muovevo spesso tra la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Bulgaria, la Romania, la Lituania, l’Ungheria e la stessa Russia. Una cosa che mi colpì molto subito fu l’aspetto esterno degli edifici delle capitali: le facciate di tutti gli edifici erano nere a causa del riscaldamento a carbone. Durante i viaggi successivi notavo però che i palazzi tornavano a risplendere, aspetto questo decisamente positivo anche se, di contro, le città si riempivano di negozi all’americana che nulla avevano a che fare con la storia di queste capitali. Questo processo, che aveva investito anche le capitali europee dopo la seconda guerra mondiale, in questi luoghi si verificò in pochi anni e in maniera anche selvaggia. Certamente l’aspetto che stava assumendo Praga non era lo stesso raccontato da Kafka.

Un’altra cosa che scoprivo era che anche in questi paesi esisteva un certo tipo di «mobilità di pensiero». Mi raccontavano infatti i vari colleghi locali che i loro capi non erano più quelli che avevano al tempo dell’Urss ma altri che da ottimi membri del partito comunista al tempo dell’Urss erano diventati di botto «sinceri» democratici.

 

Leonello Serva