Le aree strettamente protette in Europa lontane dall’obiettivo 2030

3517
cazzolla
Tempo di lettura: 4 minuti

֎Il degrado e la frammentazione degli habitat del 70% della superficie terrestre sono le principali cause della perdita di biodiversità e stanno innescando la sesta estinzione di massa. L’Italia è messa meglio di molti altri paesi, ma la conservazione deve essere estesa֎

La conservazione della biodiversità globale è uno degli obiettivi più urgenti per i prossimi decenni. La distruzione, il degrado e la frammentazione degli habitat del 70% della superficie terrestre sono le principali cause della perdita di biodiversità e stanno innescando la sesta estinzione di massa. In Europa, non è rimasta alcuna singola area contigua superiore ai diecimila chilometri quadrati priva di impatti umani. Tuttavia, esistono ancora aree con alta selvaticità ed ecosistemi piuttosto integri presenti, prevalentemente, all’interno di aree protette.

Un obiettivo ambizioso

Nel maggio 2020 è stata firmata la «Strategia europea per la biodiversità per il 2030», un piano ambizioso per proteggere la biodiversità e invertire il degrado degli ecosistemi. Con questa strategia, l’Unione europea mira ad espandere la rete delle aree protette fino al 30% del suo territorio, applicando una protezione integrale del 10% della superficie terrestre e marina per tutti i paesi dell’Ue. Il raggiungimento dell’obiettivo di proteggere in modo rigoroso queste aree rappresenta un elemento fondamentale per arrivare alla conservazione a lungo termine dei processi ecosistemici e al mantenimento di alti livelli di persistenza della biodiversità.

L’obiettivo di proteggere integralmente il 10% della superficie Ue è ambizioso per i paesi europei che sono stati profondamente modellati da millenni di trasformazioni antropiche. Uno studio appena pubblicato, coordinato dall’Università di Bologna insieme a varie istituzioni europee, ha realizzato la prima analisi a livello europeo sulle aree rigorosamente protette (classificate dall’Iucn come riserve integrali, aree wilderness e parchi nazionali) in tutta l’Ue, studiando quanto è estesa protezione integrale a livello di regioni biogeografiche, paesi e gradienti di elevazione. «Abbiamo scoperto — spiega il prof. Roberto Cazzolla Gatti, biologo della conservazione presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (BiGeA) dell’Università di Bologna e primo autore dello studio — che l’attuale area strettamente protetta nell’Ue 27 è estremamente sbilanciata tra regioni biogeografiche, paesi e fasce altimetriche (ad esempio, troviamo pochissime aree strettamente protette in pianura e a basse quote) e, con rarissime eccezioni (solo Lussemburgo e Svezia sono sopra la soglia individuata dall’Ue, con la Finlandia molto vicina), non raggiunge l’obiettivo del 10% di protezione rigorosa. Sarà, pertanto, necessario lavorare per avvicinarci agli obiettivi di conservazione fissati dalla Strategia Ue 2030 per la biodiversità attraverso una rigorosa azione di cooperazione internazionale tra i paesi e l’impegno dei singoli stati all’individuazione di aree nazionali da destinare a protezione».

E si può peggiorare…

Lo studio rileva, inoltre, che lo scenario attuale potrebbe, molto probabilmente, essere persino peggiore di quello qui rappresentato poiché la gestione di alcune aree protette, come le zone periferiche dei parchi nazionali, non è sempre corrispondente a una protezione integrale. Alcuni parchi nazionali, infatti, pur essendo classificati come strettamente protetti, consentono un’ampia gamma di attività antropogeniche in alcune delle loro aree (ad esempio la silvicoltura, l’agricoltura, la caccia o il pascolo di animali domestici), ostacolando la conservazione di alcuni processi ecosistemici. Gli autori dello studio evidenziano quanto sia importante preservare ampi spazi senza (o con molto limitato) disturbo antropico per garantire una reale connettività ecologica.

L’Italia si difende

L’Italia è messa meglio di molti dei 27 paesi Ue (si classifica al 5° posto), ma ancora molto lontana dagli obiettivi del 10%. L’area strettamente protetta nel nostro Belpaese, che è il campione europeo di biodiversità, è dello 0,2% con riserve integrali e del 4,9% con parchi nazionali, per un totale di 5,1% di protezione integrale. Significa che siamo a metà strada (basti pensare che dallo studio emerge che la Francia non supera lo 0,8% e la Germania lo 0,6%), ma c’è ancora molto da fare.

cazzolla1«Secondo la Commissione europea — ha dichiarato il prof. Alessandro Chiarucci, direttore del Dipartimento BiGeA dell’Università di Bologna e coordinatore del progetto di ricerca — le aree strettamente protette sono aree completamente e legalmente preservate, designate per la conservazione e/o il ripristino dell’integrità delle aree naturali ricche di biodiversità e dei i processi ambientali naturali. I processi naturali sono quindi lasciati sostanzialmente indisturbati, privi delle pressioni e delle minacce umane alla struttura e al funzionamento ecologico complessivi dell’area, indipendentemente dal fatto che tali pressioni e minacce si trovino all’interno o all’esterno dell’area strettamente protetta. Questa definizione dà un’idea chiara di ciò che dovrebbe essere considerato strettamente protetto nel contesto dell’Ue. All’interno di queste aree tutti gli usi e le attività industriali, estrattive e distruttive che disturbano le specie e gli ecosistemi come l’estrazione mineraria, la deforestazione, l’acquacoltura e l’edilizia, ecc. di solito non sono consentiti». Continua il prof. Chiarucci osservando come «le aree protette in modo rigoroso devono essere viste come dei luoghi in cui i processi ecologici ed evolutivi sono lasciati sostanzialmente indisturbati per garantire la persistenza della biodiversità. Pertanto è necessario che in queste aree le attività umane siano limitate e ben controllate, permettendo il naturale sviluppo dei processi naturali. Possono essere consentite azioni di gestione per sostenere o migliorare i processi naturali, nonché il ripristino o la conservazione degli habitat e delle specie per la cui protezione l’area è stata designata».

«Quindi — ha concluso il prof. Cazzolla Gatti — sarebbe necessario identificare aree potenziali per espandere la protezione integrale con bassi costi economici e sociali, comprese, ad esempio, zone con un alto valore di biodiversità, ma bassa popolazione e sfruttamento del territorio. Considerando, però, che in Europa la maggior parte del territorio è stato profondamente modificata dall’uomo, le aree rigorosamente protette dovrebbero comprendere anche territori che attualmente hanno uno status di protezione più bassa, come la Rete Natura 2000, e che possono recuperare il loro valore di biodiversità attraverso il ripristino e il rewilding» (si veda la mappa del tritolo).

Per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Strategia Ue 2030 per la biodiversità, sarà innanzitutto necessario individuare un’area sufficiente da proteggere integralmente per un 10% di ciascun paese membro. Sino ad oggi, mancava un’analisi biogeografica ed ecologica della copertura delle aree rigorosamente protette nell’Ue e questo limitava la definizione di politiche di conservazione su larga scala. Questo studio rappresenta un ulteriore contributo verso una maggior conservazione della biodiversità europea.

Articolo originale: Cazzolla Gatti et al. (2023). Analysing the distribution of strictly protected areas toward the EU2030 target. Biodiversity and conservation.

 

R. V. G.