È il caso del Parco del Gargano. Il dettaglio e le motivazioni della quasi scomparsa del falco da luoghi tradizionali di Puglia e Basilicata. La competizione con il Falco pellegrino
Il protagonista di questo articolo si chiama Falco lanario (Falco biarmicus feldeggii) che Federico II, nel suo De arte venandi cum avibus, chiamava Falco laynerius o lanerius e lo sconsigliava per la caccia alle gru (Grus grus) poiché non abbastanza forte, audace e veloce. Lo consigliava, invece, per la caccia alle «specie delle cornacchie, delle gazze, delle taccole e simili». Nel 21° congresso italiano di ornitologia, recentemente svoltosi a Varese, un interessante lavoro di ricerca di un gruppo di naturalisti pugliesi per «Altura», Associazione per la tutela degli uccelli rapaci e dei loro ambienti (Nicola Cillo, Vincenzo Cripezzi, Marisa Laterza, Antonio Sigismondi e Ventura Talamo) ha ripercorso 30 anni di monitoraggio dei siti riproduttivi del lanario in Puglia e in Provincia di Matera, terre di elezione della specie, aggiornati da quelli recenti svolti nel 2022 e 2023, realizzati anche con il contributo economico della Lipu.
I siti riproduttivi ed il disturbo antropico
«I siti conosciuti e monitorati nel tempo sono 49 — scrivono i ricercatori — relativi a 6 aree geografiche, di cui in 37 si è accertata la nidificazione. Il monitoraggio svolto nel 2022-2023 ha interessato 39 siti (l’80% dei siti conosciuti), e traccia un quadro della situazione, considerando le molteplici problematiche di conservazione». Le minacce ai siti riproduttivi sono una discriminante per la specie. Soprattutto in Puglia, la povertà di siti adatti è determinata dalla morfologia e dall’estrema antropizzazione del territorio (la superficie agricola, Sau, è pari al 65,8% dell’intera superficie regionale, a cui vanno sommate le aree urbanizzate e le infrastrutture). Le aree di studio hanno riguardato il Gargano, 10 siti (con il suo Parco nazionale), i Monti Dauni, 4 siti, le Murge, 6 siti (con il Parco nazionale dell’Alta Murgia), le gravine dell’arco jonico – 6 siti – (con il Parco Regionale), le gravine di Matera, 5 siti (con il Parco Regionale), Val Basento, 4 siti e Val d’Agri, 4 siti (con il parco Nazionale).
La situazione delle popolazioni di Falco lanario è drammatica. Dal 1993 al 2023 le coppie presenti stimate sono passate da 10-15 a 2-5 con situazioni molto allarmanti nel Gargano, nelle Murge e nelle gravine materane. Sul promontorio garganico si è passati dalle 6-7 coppie nidificanti del 1993, mantenutesi più o meno costanti fino al 2015 anche se in lieve decremento, alle 0-3 coppie del 2023. Sulle Murge, dalle 2–4 coppie nidificanti del 1993, si è passati alle 0 coppie del 2015 ed alle 0-1 coppie nel 2023. Nelle gravine materane le coppie nidificanti si sono ridotte dal 50 al 75 per cento. In Val Basento la popolazione di lanario si è azzerata dalle 3 coppie del 2015 ed in Val d’Agri si segnala una leggera riduzione (dalle 4 coppie del 2003 alle 2-3 del 2023). L’area delle gravine joniche sembra per ora essere la meno colpita dal declino delle coppie anche se è stato notato un leggero decremento.
Le cause del declino
Come sempre accade, il declino delle popolazioni di una specie è legata a diversi fattori, anche concomitanti. Il Falco lanario è un rapace raro legato agli specifici ambienti dei pascoli, delle rupi verticali e delle aree aperte semi aride ed alcuni di essi costituiscono habitat tutelati dalla Direttiva «Habitat» UE.
In Puglia questi habitat sono caratterizzati da pareti rocciose perforate, oggetto di continua frequentazione indisciplinata da parte di rocciatori e free climbers, e da pascoli permanenti naturali (pseudosteppe) della Murgia, delle Gravine, del Gargano che nel corso dei decenni, anche grazie alla miope politica agricola comunitaria degli anni 80 e 90 del secolo scorso, sono stati trasformati per favorire la cerealicoltura (in realtà perdente), riducendone notevolmente l’estensione. La stretta dipendenza che il lanario ha con questi habitat ne fa una tipica specie ombrello. Un ombrello la cui protezione comporta inevitabilmente, data la sua specializzazione, la conservazione di tutte le altre specie legate allo stesso ecosistema. È per questo che salvare dal declino il Falco lanario vuol dire salvare le pareti rocciose, i pascoli naturali, il pascolo brado ovino, la calandra, l’occhione, il grillaio, le orchidee, i pastori, la mantide religiosa, un mondo arcaico che sparisce tra spietramenti e messa a coltura.
Il ruolo del Falco pellegrino
Ma c’è anche un’altra causa, questa volta naturale, del declino del Falco lanario in Puglia e Basilicata ed è legata alla forte espansione di un’altra straordinaria specie di rapace, il Falco pellegrino (Falco peregrinus). Se fino al 2015 i monitoraggi effettuali hanno rilevato l’abbandono di siti riproduttivi da parte del lanario esclusivamente per cause antropiche, nel 2023 si sono contati 8 siti riproduttivi nei quali si è assistito ad una vera e propria sostituzione di specie.
Tuttavia le dinamiche naturali hanno le loro regole. I ricercatori affermano che «la recente neo-colonizzazione del pellegrino in Puglia ha reso drammatico il trend di abbandono dei siti, la sostituzione del lanario con il falco pellegrino è avvenuta in almeno 9-10 siti storici. Tale fenomeno è già stato rilevato in Sicilia, nel Lazio e nel Molise. I dati raccolti in questo monitoraggio evidenziano come si tratti di una fase ancora dinamica. In un sito storico, dopo l’occupazione da parte del pellegrino, il lanario si è spostato con successo. In altri due siti storici occupati di recente dal pellegrino, nel 2023 è tornato il lanario, anche se senza successo riproduttivo. È un segnale incoraggiante che richiede però un monitoraggio costante per una maggiore comprensione delle dinamiche in atto». Epperò, le cause antropiche di disturbo ai siti riproduttivi sono le più importanti, quelle da cancellare. «Anche se inserite quasi sempre in aree protette — scrivono i ricercatori pugliesi — le forme di protezione attuali non hanno impedito il disturbo al sito. Anzi, in molti casi il promotore del disturbo è stato lo stesso ente gestore del Parco». Non servono altre parole.
Fabio Modesti