È diventata complicata la tutela del paesaggio

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fotovoltaico solare
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֎La realizzazione di un impianto fotovoltaico con potenza di picco pari a 19,64 MW su un’area di circa 31 ettari tra i Comuni di Scampitella e Lacedonia (AV) mette in luce il pasticcio causato dalle modifiche all’articolo 9 della Costituzione֎

È inutile girarci attorno: l’attacco alla tutela del paesaggio e delle risorse naturali è in corso da parte di chi propone impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (Fer), con il favor della legge e della Costituzione dopo le famigerate modifiche apportate al suo articolo 9. Lo stabilisce ancora una volta il Consiglio di Stato in una recentissima sentenza.

Il ricorso alla massima assise di giustizia amministrativa questa volta è stato presentato dal ministero della Cultura contro la sentenza del Tar Campania che aveva confermato la legittimità del provvedimento autorizzativo della Regione Campania per la realizzazione di un impianto fotovoltaico con potenza di picco pari a 19,64 MW su un’area di circa 31 ettari tra i Comuni di Scampitella e Lacedonia (AV).

Il ministero della Cultura, attraverso la Soprintendenza competente, aveva rappresentato la sussistenza di vincoli paesaggistici di fascia di rispetto fluviale, di ordine boschivo e di interesse archeologico ed aveva valutato sfavorevolmente la realizzazione dell’impianto. Secondo la Soprintendenza «l’impianto fotovoltaico, ubicato nelle aree interne della valle dell’Ufita, è complessivamente previsto in un contesto prettamente rurale il quale risulta essere nel suo insieme di pregio, risultando preservati i caratteri geo-morfologici originari e l’assetto agricolo del suolo, mediante colture tipiche frammezzate da aree boscate e solcate da più corsi d’acqua ed un rapporto ancora equilibrato tra il costruito ed i territori scoperti, con presenza cospicua e diffusa di immobili ed elementi di pregio archeologico (strade, tratturi, manufatti) unitamente a quella altrettanto significativa di masserie isolate e/o di nuclei rurali tradizionali. L’ambito territoriale in questione, inoltre, è ubicato in una zona archeologicamente importante, oggetto di frequentazione antropica dalle fasi più antiche, ed alquanto significativa per gli aspetti paesaggistici e per il pregio della viabilità storica e degli insediamenti architettonici tuttora esistenti».

Il rappresentante unico delle amministrazioni statali

Tuttavia, il rappresentante unico delle amministrazioni statali, nominato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha partecipato alla conferenza dei servizi finalizzata a raccogliere pareri ed autorizzazioni per l’autorizzazione finale all’impianto, si è espresso favorevolmente superando il parere negativo della Soprintendenza. Lo stesso parere favorevole è stato espresso in sede di procedura di valutazione d’impatto ambientale (Via) e di valutazione di incidenza (VI). Il Consiglio di Stato ha analizzato le motivazioni a base del ricorso del ministero della Cultura che, a dire dei giudici di Palazzo Spada, «si presenta incentrato sulla rivendicazione astratta della primazia dei poteri esercitati dal ministero della Cultura in seno al procedimento di autorizzazione degli impianti Fer».

Il «favor» alle rinnovabili rispetto alla tutela del paesaggio

Dopo aver evidenziato che «i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato costituiscono attuazione delle direttive europee che manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, ponendo le condizioni per un’adeguata diffusione dei relativi impianti», il Consiglio di Stato afferma che «deve convenirsi con il Tar che non ha adeguato fondamento la tesi dell’appellante incentrata sulla primazia dell’interesse alla tutela dei valori paesaggistici e per converso sulla subvalenza degli altri interessi pubblici potenzialmente antagonistici, ivi compreso quello ambientale alla produzione energetica in termini ecosostenibili, essendo la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili un’attività di interesse pubblico che contribuisce anch’essa non solo alla salvaguardia degli interessi ambientali, ma, sia pure indirettamente, anche a quella dei valori paesaggistici».

In questo passaggio emerge con chiarezza il disastro provocato dalle modifiche all’articolo 9 della Costituzione: l’interesse alla tutela paesaggistica recede rispetto all’«interesse pubblico ambientale» alla produzione energetica in termini ecosostenibili. In sede di conferenza dei servizi, poi, afferma ancora il Consiglio di Stato, «l’eventuale parere negativo della Soprintendenza in merito all’aspetto paesaggistico dell’intervento soggiace alle specifiche norme che regolano i lavori della Conferenza medesima, costituendo non già l’espressione di un potere di veto, bensì un “dissenso” qualificato che in base alla disciplina recata dagli articoli 14 – ter e 14 – quinquies della l. n. 241/90, forma unicamente oggetto della valutazione ponderale delle posizioni prevalenti espresse dalle Amministrazioni partecipanti tramite i rispettivi rappresentanti, preordinata all’adozione della determinazione conclusiva. Sarà poi quest’ultima che, eventualmente, potrà formare oggetto di opposizione dinanzi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri da parte dell’Autorità dissenziente preposta alla tutela di interessi sensibili».

È facoltà dell’amministrazione che oppone un dissenso qualificato, in questo caso il ministero della Cultura, sollevare la questione di conflitto tra amministrazioni dello Stato dinanzi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per dirimerlo. I giudici della quarta Sezione del Consiglio di Stato concludono affermando che «la determinazione conclusiva ed il rilascio dell’autorizzazione unica sono il frutto di una valutazione più ampia degli interessi coinvolti rispetto ai singoli pareri espressi in seno alla Conferenza e, segnatamente, del bilanciamento tra tutela del territorio e il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale […]. A fronte di tale ponderazione, il Ministero appellante non ha tuttavia indicato parametri obiettivamente apprezzabili alla stregua dei quali la scelta operata dalla Regione risulti manifestamente illogica o irragionevole. Ne deriva che, correttamente, il primo giudice ha ritenuto che il superamento operato dalla procedente Regione Campania del dissenso manifestato dalla Soprintendenza di Salerno e Avellino in merito al progetto in esame, non fosse censurabile, mancando appunti evidenti vizi di illogicità ovvero travisamento dei fatti».

 

Fabio Modesti