La lobby del petrolio interferisce sulla carbon footprint

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La Eu propone di introdurla sul mercato europeo. In gioco c’è l’arrivo in Europa delle sabbie bituminose canadesi. Uno studio indipendente di Transport & Environment rivela: l’impronta ecologica costerebbe solo 0,005 Euro di più su un pieno di benzina

È entrata nel vivo a Bruxelles la trattativa per definire le regole di calcolo della carbon footprint dei carburanti, con cui la Comunità europea ha intenzione di rendere trasparente il quantitativo di CO2 associato al greggio e agli altri carburanti a fonte fossile all’interno del quadro normativo della Direttiva sulla Qualità dei carburanti, approvata dagli Stati membri nel 2009.

L’apertura a una carbon footprint sui carburanti permetterebbe di conteggiare anche le emissioni di CO2 del processo di estrazione, che ha impatti ambientali, e quindi emissioni serra, diversi a seconda della materia prima e dei tipi di processi estrattivi. Questa metodologia di calcolo delle emissioni serra sarebbe uno strumento determinante per coinvolgere i fornitori di carburante (raffinerie, compagnie petrolifere, etc.) nelle politiche di riduzione di gas climalteranti, responsabilizzandoli verso gli obiettivi del 20-20-20, mentre l’Unione europea rafforzerebbe la trasparenza delle sua politica energetica a vantaggio delle scelte dei consumatori.

La trattativa, che sembrava aver raggiunto il punto di svolta a fine febbraio, si è però arenata a causa della decisa azione di lobby sostenuta dall’industria del petrolio. I produttori sostengono che i costi dell’attività di reporting sulla filiera del carburante (necessari a calcolare quanta CO2 viene emessa durante il processo estrattivo) finiranno per cadere sulle spalle del consumatore. Ora però uno studio commissionato da Transport & Environment ed eseguito da tre agenzie indipendenti rivela che il costo aggiuntivo sarebbe nell’ordine di 0,005 Euro su un pieno di benzina, ovvero mezzo centesimo, corrispondenti a 1 centesimo al barile per i produttori.

«È evidente che l’opposizione alla metodologia di calcolo della carbon footprint nasconde altri interessi – ha commentato Veronica Caciagli, presidente di Italian Climate Network – perché stiamo parlando di costi molto contenuti. La vera posta in gioco è l’importazione in Europa del greggio derivato dalle sabbie bituminose canadesi, un deposito di petrolio “non convenzionale” composto di argilla, sabbia, acqua e bitume. Una fonte fossile ad alta intensità di carbonio: l’estrazione di questo tipo di petrolio causa il 23% di emissioni di CO2 in più rispetto al greggio tradizionale».

«L’Italia ha votato in favore delle sabbie bituminose in sede comunitaria e ce ne chiediamo il motivo – continuano Federico Antognazza, vicepresidente di Italian Climate Network e Daniel Monetti, responsabile della campagna trasporti di Terra! -. Il nostro Paese ha votato contro la proposta della Direttiva che permetterebbe di raggiungere un differenziale di prezzo e un premio per i carburanti a basso contenuto di carbonio». Ma il Canada possiede i giacimenti più consistenti di sabbie bituminose e non vuole risultare svantaggiato sul mercato europeo.

Le sabbie bituminose rappresentano per l’industria petrolifera l’ultimo specchietto per le allodole nelle mani di coloro che continuano a cercare di far passare il messaggio o con il petrolio o nell’età della pietra. Non si tratta di imporre nuovi vincoli, ma di far applicare nella maniera più opportuna la Direttiva europea, che già prevede la riduzione di emissioni associate ai trasporti del 6% entro il 2020. All’indomani di eventi climatici estremi in Italia, come le alluvioni di Roma, di Genova, delle Cinque Terre e della provincia di Messina, Italian Climate Network e Terra! chiedono chiarezza al nostro governo e il sostegno italiano alla proposta della metodologia EU di carbon footprint sui carburanti fossili».

(Fonte Italian Climate Network e Terra!)