(Adnkronos) – “Una delle prime cose messe in luce dalle imprese è la necessità di supportare le persone a far proprio un modello di genitorialità condivisa partendo dall’ascolto delle persone. Per esempio, 17 aziende su 26 di quelle che abbiamo intervistato hanno già esteso la durata del congelo di paternità e 4 lo faranno entro la fine di quest'anno. Inoltre è aumentato il numero di chi ha ampliato il congelo di paternità al secondo genitore e chi l'ha raddoppiato da 10 a 20 giorni” e altre che l’hanno portato “fino a 70, 80, 90 giorni remunerando il congelo di paternità”. Lo ha detto Ulrike Sauerwald, responsabile del Centro Studi di Valore D, nel suo intervento, questa mattina a Milano, all’evento di presentazione dello studio ‘Donne, lavoro e sfide demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità’, di Fondazione Gi Group e Gi Group Holding, realizzato in collaborazione con Valore D. “Era sicuramente fondamentale raccogliere il punto di vista delle imprese per comprendere come gestiscono concretamente il tema dell'occupazione femminile – spiega Sauerwald – Nello studio abbiamo distinto tra imprese di grande dimensione, di carattere multinazionale e quasi 400 piccole e medie imprese, perché è questo un po’ la spina dorsale in Italia: il 55% dei lavoratori e lavoratrici è in piccole e medie imprese che, solitamente dispongono di risorse economiche, organizzative più limitate per affrontare con serenità l'assenza prolungata del lavoro dei propri collaboratori e collaboratrici”. Sulla flessibilità di tempi e modi di lavorare, “lo smart working è un po' la cosa che funziona per i white collar, cioè per chi è in ufficio – illustra l’esperta – Ci hanno però raccontato anche di iniziative di semplice flessibilità in ingresso e in uscita, cambi di turno, autogestione dei turni o della banca di ore solidale in realtà come la grande distribuzione, cioè il supermercato, dove, banalmente, dietro il banco deve esserci qualcuno. Sul tema della gestione del rapporto prima, durante e dopo il periodo di genitorialità, di maternità o paternità – prosegue – nelle aziende sono state attivate tantissime iniziative formative per i manager, per orientarli nella gestione di queste risorse, per confrontarsi con i neogenitori, conoscerne le paure, le aspettative, le esigenze e anche per definire i tempi di modo di lavoro. Questo toglie veramente l'ansia del ‘come dico che sono incinta, come dico che vorrei avere un mese di più, come dico che voglio fare carriera e mio marito si occupa del figlio’. Quando i people manager, le persone responsabili di persone, sono formati e capaci di affrontare con serenità queste conversazioni, questo dà un grandissimo beneficio per la gestione di queste situazioni”. Le aziende “offrono un supporto psicologico per i genitori, per i caregiver, a volte anche esteso ai figli – sottolinea Sauerwald – Questo è anche una prevenzione del burnout delle persone. A livello economico, le soluzioni offerte dalle aziende vanno dalla integrazione della retribuzione al congelo, al bonus nascita, contributi rimborsi per rette di asili anche sul territorio, borse di studio: sono variegate”. In questo c’è una contaminazione tra le varie realtà. “L'abbiamo visto con un'azienda francese che, dall'Italia, ha portato delle buone pratiche, eccellenti, veramente eccellenti, negli altri paesi. Sulla crescita sull'occupazione giovanile – osserva – le aziende possono offrire condizioni di lavoro a supporto di una vera equità e parità di genere. C'è ancora un gender pay gap anche nelle prime assunzioni per la generazione Z e anche c'è un gap tra contratti indeterminati o tutte le altre forme di contratti”. A proposito delle iniziative “a sostegno della cura dei figli e della conciliazione, quindi la genitorialità condivisa – evidenzia l’esperta – si tratta di incentivare le persone a prenderlo e, soprattutto, avere dei role model che si raccontano, cioè vedere che davvero c'è un manager padre che dice ‘io mi prendo questo periodo che è stato concesso dall'azienda’ per la cura dei figli come ispirazione per gli altri”. Sul cambio culturale, Sauerwald inviata a “supportare i responsabili a sviluppare un mindset inclusivo, servono people manager capaci di ascoltare le persone e ascoltarli anche in un modo un po' diverso, ad esempio considerando di chiedere anche alle donne tra i 25 e i 45 anni se volevano trasferirsi”. Infine, “generalmente vediamo che le multinazionali tendono a vedere la genitorialità come un valore e un'opportunità – conclude Sauerwald – Poi ascoltiamo le aziende come lo riescono ad attuare. Mentre per le Pmi, prevale ancora la maternità, la visione della maternità come un costo, un problema ma, se ci sono degli esempi, anche nella piccola e media impresa, le cose diventano fattibili”. —lavorowebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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