La recente protesta di Greenpeace contro Enel e la risposta della Associazione: Nostre accuse a Enel esatte e motivate. Le questioni in campo e le ragioni che sono dietro la resistenza delle vecchie tecnologie
La partita sull’energia è in pieno svolgimento. I finanziamenti per le rinnovabili, la gestione delle centrali esistenti, gli accordi con i venditori di gas o carbone, la «rete intelligente» che preme e la rendita di posizione dell’Enel. In mezzo ci sono i costi per i cittadini, le liberalizzazioni e, soprattutto, il costo ambientale che si trascina dietro gli accordi internazionali per la salute e la riduzione degli inquinanti.
La situazione è che, come dice il presidente dell’Enel, Paolo Andrea Colombo, «lo sviluppo delle rinnovabili, unito alla stagnazione della domanda, sta rendendo difficile la copertura dei costi di produzione degli impianti convenzionali, mettendone a rischio la possibilità di rimanere in esercizio». In effetti, come segnalato dal rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente, «dal 2000 ad oggi 32 TWh da fonti rinnovabili si sono aggiunti al contributo dei vecchi impianti idroelettrici e geotermici: è qualcosa di mai visto, che ribalta completamente il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli».
Questi impianti, fa notare l’ex consigliere di amministrazione di Enel G. B. Zorzoli, oggi presidente della sezione italiana dell’International Solar Energy Society, in un’intervista al sito Qualenergia, «per ripagarsi dovrebbero funzionare circa 4-5mila ore l’anno, invece ne stanno funzionando, quando va bene, 3mila. Il ridotto uso dei cicli combinati si traduce anche in miliardi di metri cubi di gas in meno, con un innegabile vantaggio in termini ambientali e di bilancia dei pagamenti, ma con un danno economico per chi vende gas».
Questo è il cuore del problema e per risolverlo si stanno dando da fare, almeno così dicono, vari ministri, da Passera a Clini. Nei giorni scorsi, per smuovere le acque, Greenpeace ha manifestato duramente contro Enel, sul fronte dei danni alla salute, poiché è evidente che il nocciolo duro è lì.
La società si è precipitata a far notare che «nel 2011 il 42% della energia elettrica prodotta da Enel è priva di qualunque tipo di emissioni, compresi i gas effetto serra. Inoltre, Enel è tra i maggiori produttori al mondo di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il 36% della sua capacità produttiva, 35mila Megawatt su 97mila totali, è costituita da impianti alimentati con la forza dell’acqua, del vento, del sole e del calore naturale della terra. Una percentuale che ha ben pochi paragoni tra i grandi gruppi dell’energia al mondo. E l’impegno a rendere sempre più efficienti anche le centrali termoelettriche prosegue anno dopo anno. Nel 2010 le emissioni di gas effetto serra delle centrali dell’Enel si sono ridotte rispetto al 2009 in termini assoluti del 4,8% e quelle specifiche, cioè per chilowattora prodotto, del 5,7%. La produzione di energia elettrica da carbone in Italia è ferma al 13% del totale contro una media europeo di più del doppio (27%) con punte del 44% come in Germania. Nel mondo circa la metà dell’energia elettrica è prodotta con questo combustibile. Le centrali Enel a carbone in Italia sono tra le più efficienti: le emissioni di polveri, ossidi di azoto e anidride solforosa sono meno della metà rispetto alle percentuali fissate a livello europeo a tutela della salute e dell’ambiente. Nella centrale di Brindisi stiamo inoltre sperimentando, tra i primi in Europa, la tecnologia della cattura dell’anidride carbonica che in prospettiva permetterà di azzerare anche questo tipo di emissione ritenuta responsabile dei cambiamenti climatici a livello mondiale, ma non certo a livello nazionale o regionale. Basti pensare che ogni giorno le centrali a carbone cinesi producono quello che tutte le centrali a carbone italiane producono in un anno».
«È un peccato che Enel non trovi tempo per leggere i documenti che gli presentiamo e scelga di risponderci solo per mischiare le carte» replica Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
L’ultimo dato presentato da Enel dice che nel 2011 la produzione da carbone in Italia è salita dal 34,1% al 41% del totale della produzione dell’Enel. Le nuove rinnovabili sono salite da un misero 7,1% a un poco meno misero 7,8%. Il parco produttivo idroelettrico, con cui Enel vorrebbe mostrarsi come un’azienda che investe in energia pulita, è un’eredità dei nostri nonni.
«L’accusa che facciamo è molto chiara: secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, il solo impianto a carbone Enel di Brindisi produce danni ambientali e sanitari (inclusa la mortalità in eccesso) stimati fino a 707 milioni per il solo 2009. La produzione a carbone a Brindisi è molto conveniente per Enel, con un differenziale tra costi e ricavi lordi di circa 600 milioni: ovvero, l’azienda privatizza i benefici economici e scarica un costo di pari grandezza sull’ambiente e sui cittadini», ribadisce Boraschi.
I danni complessivi del carbone di Enel in Italia sono più che doppi rispetto alla sola centrale di Brindisi. Greenpeace chiede a Enel di cancellare i progetti di Porto Tolle e Rossano Calabro, che oggi l’azienda ha ribadito essere in programma, e di iniziare un percorso preciso e trasparente di abbandono del carbone.
Certo parliamo di impianti enormi, non dell’acquisto di una batteria. Così come non parliamo di un raffreddore per i cittadini. Il problema è che si è perso molto tempo pensando che non sarebbe mai arrivata la resa dei conti. Ma mentre si cerca, fra informazione e controinformazione, di dipanare la matassa si aumenta il costo dell’energia… (R.V.G.)