Il biogas antagonista dell’alimentazione bovina

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Per questa ragione, la crescita di allevamenti per la produzione di latte, che incorporino coltivazioni destinate al biogas, dovranno essere incoraggiate a scapito di tutte quelle aziende che, attraverso le monocolture, abbiano deciso di produrre solo biogas

Negli ultimi tempi la redditività dell’industria del latte è fortemente legata ai prezzi pagati dai consumatori. Sono molti i supermercati alla ricerca delle opzioni più economiche, tanto da vendere le etichette private al più basso livello possibile.

Se migliorare l’efficienza delle produzioni di latte da un lato significa salvare questo comparto, dall’altro non si può prescindere dalla valutazione della sostenibilità di un simile mercato.

Grazie allo studio degli effetti della dieta sulla performance delle vacche da latte, in questo ambito sono stati raggiunti livelli di conoscenza molto elevati. Diversamente, quando si devono indagare i fattori determinanti di tipo non alimentare, sono ancora molte le aree da esplorare. Solo recentemente, infatti, si è scoperto che il più importante di questi fattori è la gestione della mangiatoia, associata al numero di cuccette disponibili nella stalla delle vacche in lattazione. Offrendo un incremento del numero di cuccette a loro disposizione e migliorando la pulizia delle lettiere, la produzione giornaliera di latte sale, in media, di 5 kg. Si tratta di un dato significativo e assai poco trascurabile, dal momento che si evidenzia, ancora una volta, l’importanza del rispetto degli standard di benessere animale.

D’altro canto, non è più possibile basarsi esclusivamente sui fattori alimentari. Una revisione aggiornata dell’alimentazione delle bovine da latte in Europa non può ignorare la crescente battaglia tra produzione di latte e produzione di biogas. Nella nostra pianura padana, dove 1,5 milioni di vacche producono, da sole, il 79% della produzione annuale di latte italiano, il settore è in reale pericolo. L’annuncio è arrivato dal prof. Masoero dell’Università Cattolica di Piacenza, secondo il quale, entro la fine del 2012, nella pianura padana ci saranno ben 300 impianti per la produzione di biogas; impianti che utilizzeranno principalmente mais per alimentare i fermentatori. Poiché il governo paga 28 cent/kWh, il prezzo del mais (o dell’affitto del terreno in cui viene seminato) sta aumentando ben oltre le possibilità dei comuni allevatori. Non a caso, il costo più alto sostenuto in allevamento è rappresentato dal mangime. Per questa ragione, la crescita di allevamenti per la produzione di latte, che incorporino coltivazioni destinate al biogas, dovranno essere incoraggiate a scapito di tutte quelle aziende che, attraverso le monocolture, abbiano deciso di produrre solo biogas.

Una risposta a parte del problema, per quanto complesso e diversificato, arriva da Arla Foods, un’importante cooperativa di allevatori, nata in nord Europa, che promuove una valida alternativa al marketing anonimo che gioca al ribasso. La creazione di marchi altamente riconoscibili, venduti con un chiaro messaggio ambientalista ed un’immagine attraente, potrebbe essere una delle chiavi capaci di generare vendite dovute al buon ritorno del valore aggiunto e della leadership di mercato. Migliorare l’immagine pubblica, e di conseguenza il marketing, significa, innanzitutto, ridurre le produzioni di gas, visto che, per il latte, la produzione primaria è responsabile dell’85% del totale delle emissioni.

Favorire un approccio olistico del problema, migliorando contemporaneamente qualità del latte e benessere animale, potrebbe ridurre l’impatto negativo della produzione di latte sull’ambiente, riducendo i costi ed incrementando i ricavi degli allevatori.