(Adnkronos) – "L'outpost Bridge in Uganda, una sede dell'università Milano-Bicocca nel cuore del Lacor Hospital nel nord dell'Uganda, è parte di una serie di progetti che stanno portando l'università Bicocca e il suo Dipartimento di Medicina, ma anche tanti altri dipartimenti dell'ateneo, ad investire e lavorare in Paesi a basso reddito". Lo ha detto Pietro Invernizzi, direttore del Dipartimento di Medicina e chirurgia dell'università Milano-Bicocca e di Bridge (Bicocca research and innovation for development and global health)-Uganda, oggi alla presentazione del nuovo progetto dell'ateneo milanese, che parte dal capoluogo lombardo e arriva nel distretto di Gulu nel nord dell'Uganda. Si tratta del secondo avamposto all'estero della Bicocca, dopo il 'MaRhe Center' nell'arcipelago delle Maldive, il centro di ricerca e formazione dedicato agli studi di biologia marina. L’avamposto ugandese, presentato durante l'evento 'Salute Globale: il ruolo dell'accademia', si inserisce all'interno del progetto 'Bicocca Global Health Center', che coinvolge tutte le professionalità dell'ateneo nello sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili per affrontare le sfide della salute globale attraverso un approccio multidisciplinare e per promuovere la salute e il benessere nei Paesi a basso e medio reddito. "Crediamo che l'esposizione di studenti e specializzandi a contesti con basse risorse ci permetta di fare meglio il nostro mestiere, che è quello di formare e fare ricerca – spiega Invernizzi – Nel contesto della formazione abbiamo definito e battezzato un metodo formativo 'Progetto due pilastri'. Il primo è la formazione del professionista – sia questo medico, infermiere, ostetrico – che si dedicherà professionalmente alla salute degli esseri umani. Il secondo è invece la formazione delle componenti umane di questi professionisti, in quanto, per essere buoni medici e buoni infermieri, è necessario avere un rapporto adeguato con la malattia e la morte". I risultati sono positivi. "Il feedback degli studenti – sottolinea Invernizzi – è molto buono, ma non è una novità: da anni vediamo giovani e meno giovani muoversi in contesti di questo tipo e, quando tornano, li vediamo trasformati, carichi, con empatia e con voglia di curare, non solo con l’intento di dare terapie al paziente, ma con la voglia di prendersene cura. Con Bridge-Uganda abbiamo organizzato e istituzionalizzato l'esposizione, che sapevamo già avrebbe dato tanto ai nostri giovani e, anche se indirettamente, anche a noi, al sistema e al mondo in cui viviamo". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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