Quello che sta accadendo è raccapricciante a fronte di una crisi economica che si allarga e si allargherà perché elude le ragioni di fondo delle sue origini: uno stile di vita che prescinde dal pianeta in cui ci troviamo e che continuiamo a considerare un luogo da depredare
Il gelo attanaglia l’Italia e persino in un servizio sulla tv nazionale si parla di conseguenze dei cambiamenti climatici. Nell’Oceano Artico si sta formando da 10 anni una cupola di acqua dolce che è arrivata a 8mila km3 e dal 2002 la superficie dell’Oceano si è alzata di 15 centimetri e continua a crescere. Se la situazione dovesse precipitare si realizzerebbe quanto descritto nel film di Roland Emmerich, The Day After Tomorrow. E in Antartide si sta staccando dal ghiacciaio di Pine Island, una superficie di circa 900 chilometri quadrati, quanto una metropoli…
Questa situazione attuale, che ci tocca da vicino, si somma a tante altre che ormai investono il mondo: dalla carestia nel Sahel alle azioni insensate dell’uomo, come la pesca intensiva o la caccia; dalla deforestazione allo sfruttamento delle risorse.
Quello che sta accadendo è raccapricciante a fronte di una crisi economica che si allarga e si allargherà perché elude le ragioni di fondo delle sue origini: uno stile di vita che prescinde dal pianeta in cui ci troviamo e che continuiamo a considerare un luogo da depredare. Infatti l’ambiente non entra in nessun conteggio di Pil, di crescita, di salva-qualcosa di cui stiamo sentendo nei discorsi economici globali.
Qualche grado in più sta piegando le città del Nord e non mancano vittime in tutta l’area europea colpita. La stessa cosa accade quando il termometro si alza. Gli eventi estremi evidenziano tutta la fragilità dell’uomo che continua a comportarsi come se tutto ciò non lo riguardasse.
La nostra preoccupazione è la struttura dei contratti di lavoro non la creazione del lavoro. E lavoro da fare ce ne sarebbe tanto da subito se solo si sciogliessero i legacci che imbrigliano le soluzioni ambientali e sostenibili che sono già pronte.
Il dramma, perché di questo si tratta, è che c’è una consapevolezza diffusa e non vista dai governanti. Come spiegare le scelte che avvengono da parte dei cittadini nel campo delle energie alternative, nel boom per la filiera corta, nell’opzione agricoltura che sempre più giovani fanno, nella scelta di rifiuti zero che si allarga a macchia d’olio? E cosa significa tutto questo? Significa che le strade fra quello che fanno i cittadini e quello che pensano di farci fare i governanti si stanno divaricando e sempre più spesso entrano in rotta di collisione.
Fino a quando può durare la situazione? Proprio la storia non ci fa tornare in mente niente? E neanche la realtà? Quella che ormai si sta radicalizzando in ogni nazione basata su stili di vita che puntano alla crescita di alcuni portafogli e alla fame per tanti altri?
E dopo che quella piccola percentuale che governa il mondo avrà tacitato le rivoluzioni con i cannoni cosa resterà?
Per questo il riferimento al dramma… perché se non si cambia c’è solo la barbarie.