– Perché un terrremoto tira l’altro- Cento anni fa nacque la tettonica a placche
Due terremoti nell’Italia settentrionale a distanza di poche ore, due distretti sismici differenti, due strutture geologiche diverse, due profondità dell’evento differente, procedure di comportamento nei luoghi pubblici differenti. Una sola cosa comune per tutti: la sensazione di paura della popolazione.
Il primo terremoto di magnitudo 4,2 della scala Richter è avvenuto circa all’una di mercoledì. Il terremoto è stato localizzato dalla Rete sismica nazionale dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) nel distretto sismico: Prealpi venete. L’ipocentro è stato localizzato a circa 10 chilometri di profondità; il sisma a meno di 20 chilometri da Verona è stato avvertito in tutto il nord est. L’area interessata dall’evento è caratterizzata da una pericolosità sismica medio bassa e i comuni colpiti sono distribuiti principalmente in zona 3 (bassa pericolosità) e in minor parte in zona 2 (media pericolosità) nella classificazione sismica del territorio nazionale su base comunale.
Tale classificazione deriva essenzialmente dalla notevole entità dei tempi intersismici caratteristici della regione. Negli ultimi 10 anni l’area epicentrale è stata caratterizzata da un’attività sismica strumentale molto bassa. Dal punto di vista sismo tettonico, le principali strutture conosciute nella zona sono caratterizzate da una dinamica compressiva. Nelle successive 24 ore sono state registrate una sequenza sismica di altre quattro scosse con magnitudo inferiore a 3.
Un altro terremoto di magnitudo 4,9 della scala Richter è avvenuto dopo poco le nove del mattino dello stesso giorno. Il terremoto è stato localizzato dalla Rete sismica nazionale dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) nel distretto sismico: Pianura padana emiliana. L’ipocentro è stato localizzato a circa 33 chilometri di profondità; il sisma a meno di 20 chilometri da Reggio nell’Emilia è stato avvertito in tutto il nord del paese, soprattutto nelle città di Milano, Torino e Verona, e anche nella regione centrale della Toscana. Il territorio emiliano interessato dalla sequenza in atto presenta una pericolosità sismica medio-bassa, in base alla mappa di pericolosità sismica della Regione. Nelle successive 24 ore sono state registrate una sequenza sismica di altre tre scosse con magnitudo inferiore a 3.
I terremoti non si manifestano quasi mai come scossa isolata, ma come una sequenza di scosse di diversa magnitudo. Lo studio delle sequenze sismiche, come quelle in atto nel nord dell’Italia, non consente di formulare ipotesi sulla loro evoluzione e sulla possibilità che avvenga o no una scossa più forte. A oggi, infatti, non ci sono metodi riconosciuti dalla scienza per prevedere il tempo e il luogo esatti in cui avverrà un terremoto.
In Italia la Rete sismica nazionale registra 10.000 terremoti ogni anno, mediamente trenta il giorno, che non è possibile prevedere. Per questo è importante che tutti siano consapevoli del livello di pericolo del territorio.
Appare curioso che sul sito del Sistema di protezione civile si demanda al singolo cittadino il compito di «informarsi su come sono costruiti gli edifici in cui viviamo, studiamo e lavoriamo, e sulla loro conseguente vulnerabilità sismica». Tali informazioni non possono essere lasciate al singolo cittadino ma devono rientrare in un programma di sensibilizzazione e informazione a cura dell’ente locale e del Sistema di protezione civile. Nessun malato prima di farsi ricoverare per un intervento chirurgico, o nessun detenuto, o insegnate di scuola, o alunno, o agente di pubblica sicurezza chiede la verifica sismica dell’edificio che ospiterà la propria persona o il progetto della messa in sicurezza dell’edificio.
Secondo il membro del consiglio nazionale dei geologi Vittorio D’Oriano, intervenuto per commentare le scosse sismiche che hanno interessato il nord dell’Italia, «il rischio sismico torna prepotentemente a evidenziare la fragilità delle nostre aree urbane e in generale delle nostre costruzioni». In Italia 725 comuni sono potenzialmente interessati da un alto rischio sismico, mentre 2.344 quelli a medio rischio. Nei primi risiederebbero circa 3 milioni di abitanti mentre nei secondi 21,2 milioni di abitanti. Il 40% della popolazione italiana risiede in zone a elevato rischio sismico. Il 60% degli 11,6 milioni di edifici italiani a prevalente uso residenziale è stato realizzato prima del 1971 (dati rapporto sul territorio del Consiglio nazionale dei Geologi).
Le uniche vere attività in grado di evitare conseguenze gravi sulle infrastrutture e edifici e sulle persone, queste ultime vittime dei crolli delle infrastrutture e edifici, sono la prevenzione e l’informazione e sensibilizzazione. La prevenzione è fatta sulle tecniche di progettazione e di costruzione o di adeguamento delle infrastrutture e edifici mentre l’informazione e sensibilizzazione passa attraverso campagne di comunicazione che facciano rendere conto alla popolazione la pericolosità assegnando loro un ruolo attivo di auto tutele in caso di evento.
Per la definizione della prevenzione un ruolo importante lo rivestono le mappe di pericolosità sismica. Esse rappresentano lo strumento più efficace che la comunità scientifica ha prodotto per la definizione delle politiche di prevenzione dai terremoti. La mappa di pericolosità e la classificazione sismica indicano quali sono le aree del nostro Paese interessate da un’elevata sismicità, e quindi dove è più probabile che accada un terremoto di forte intensità, ma non possono stabilirne il momento esatto. Le mappe individuano i territori in cui devono essere applicate specifiche norme per le costruzioni.
Ci sono però dei «bachi» nelle mappe, non tanto associati alle zone che possono essere interessate dai terremoti, ma quanto alle conseguenze dannose su infrastrutture e edifici di terremoti verificatesi anche a distanza di diverse decine di chilometri. Ci sono esempi come il Salento interessato dagli effetti di un disastroso terremoto del 20 febbraio 1743 avvenuto nelle isole Jonie a largo della Grecia occidentale (consulta il calendario parametrico dei terremoti italiani) che sulle mappe non è classificato sismico. Il terremoto del Salento che raggiunse l’apice della potenza distruttiva a Francavilla Fontana e Nardò: qui il sisma fece registrare effetti pari al IX grado della scala Mercalli (scala che stima gli effetti di un sisma sulle persone e sulle cose con gradi da I a XII). Gli storici documentarono che la maggior parte degli edifici delle due cittadine del Salento furono danneggiati o rasi al suolo con oltre 160 vittime. C’è da sperare che gli enti preposti alla gestione della pericolosità sismica, partendo da fonti storiche e informazioni geologiche e geofisiche, individuino la vulnerabilità di tutti i centri abitati e valutino gli effetti di amplificazione locale, per eseguire la più completa prevenzione sismica del territorio.
Il nostra pianeta, infine, sta registrando cambiamenti planetari con possibili effetti locali anche a distanze notevoli dall’origine dell’osservazione del fenomeno. Così che l’ipotesi che piccole variazioni nelle condizioni iniziali di un sistema complesso, come la terra, possono procurare grandi variazioni nel comportamento a lungo termine del sistema stesso, ben rappresentata dalla espressione «si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo» se è applicabile a scala globale a maggior ragione è applicabile a scala locale. Così che gli sciami sismici che si stanno registrando in queste ore dovranno essere monitorati al fine di evitare, sì falsi allarmi, ma anche troppo rapide rassicurazioni.