Investire sulle rinnovabili? L’Italia punta ancora sul petrolio

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È evidente che negli ultimi anni le accresciute conoscenze scientifiche e tecniche hanno stimolato lo sviluppo, lo sfruttamento e l’applicazione del calore della terra per i diversi possibili usi. Non si potrà, però, conseguire il potenziale legato a questa risorsa senza un quadro chiaro e definito di regole ed è nella definizione di quest’ultimo che il nostro Paese non registra, affatto, tempi rapidi.

Questa è, sinteticamente, l’opinione di Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei Geologi, intervenuto a Geotherm Expo, il forum congressuale sull’energia geotermica che si è svolto a Ferrara nei giorni scorsi.

Negli ultimi anni in Italia attraverso l’informazione, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sui vantaggi di usare il calore naturale in sostituzione di altre forme di energia, l’aggiornamento dei professionisti che programmano e progettano gli interventi, la formazione delle imprese, degli installatori e degli operatori del settore, si è registrato un aumento esponenziale di richieste per nuovi permessi di ricerca di risorse geotermiche per la produzione di energia elettrica.

Stime positive che inquadrano uno scenario di sviluppo notevole in termini di fattori tecnologici, di diretta emanazione di saperi scientifici nostrani, ed economici, entrambi aventi ricadute evidenti in termini di tutela ambientale e di benessere dei cittadini.

Eppure, sottolinea Graziano: «non si potrà conseguire il potenziale legato a queste risorse senza un quadro chiaro e definito di regole e senza superare le attuali criticità, rappresentate dalla definizione dei regimi di incentivazione, dalla semplificazione delle procedure autorizzative, dall’accettabilità sociale degli impianti, ecc.».

Sono necessari, dunque, sistemi di incentivazione adeguati, regimi autorizzativi chiari, insomma una nuova politica di valorizzazione delle risorse geotermiche.

Nei mesi scorsi il Consiglio nazionale dei geologi, accanto alle maggiori espressioni di cultura e tecnologia geotermica del Paese, quali l’Unione geotermica italiana (Ugi) e il Consorzio GeoHP, ha cercato di dare impulso alla definizione di un Decreto ministeriale attuativo che potesse tradurre nella pratica un quadro di riferimento di settore atto a creare le condizioni e le conoscenze adeguate alle istituzioni e agli operatori ma «purtroppo il nostro Paese non ha tempi rapidi e soprattutto stenta a programmare e ad intraprendere politiche di avanguardia, nel settore delle energie, ma anche in quelle di riconversione industriale, di recupero ambientale, di valorizzazione delle materie prime ed anche delle materie prime seconde, che consentirebbero di non inviare più a discarica una enorme quantità di materie prime», prosegue Graziano.

Insomma, mentre il mondo si avvia da tutt’altra parte, come testimonia il rapporto sulle energie rinnovabili e sui cambiamenti climatici prodotto, su mandato dell’Onu, dagli scienziati dell’Intergovernmental Panel of Clinate Change (Ipcc) il quale segnala che l’80% dell’approvvigionamento energetico mondiale potrebbe essere soddisfatto entro il 2050 da fonti rinnovabili, a condizione che esse vengano sostenute da «politiche pubbliche corrette», l’Italia sembra ingranare la retromarcia «puntando ancora prevalentemente sul petrolio, fonte fossile e per questo non eterna, e svendendo il proprio mare alle compagnie petrolifere».

La crescita delle rinnovabili, oltre a contenere l’utilizzo delle fonti fossili, porterebbe ad un risparmio cumulativo di gas serra i cui livelli raggiunti risultano di assoluta preoccupazione; il mondo scientifico, consapevole di questo drammatico quadro, continua a richiedere approcci alle questioni energetiche che vedano i saperi messi a disposizione della politica e di uno sviluppo economico che possa favorire anche azioni di contrasto alla crisi economica attualmente in atto.

Il punto è: potranno le evidenze scientifiche fare breccia nelle risoluzioni politico-economiche?