Anche la memoria delle vicende umane sembra tramandare una storia che non presenta molti e illuminanti esempi di solidarietà distinti, nella loro sostanza, da esempi di egoismo.
Si raccontano, è vero, episodi di solidarietà, ma a guardar bene, questi sembrano in gran parte, ispirati solo da ciniche necessità «estetiche» (principio esauriente di un’etica ridotta solo alla forma delle cose). Sono le «necessità» di «costruire e ricostruire» posizioni di prestigio o di «difendere», con formali recuperi d’immagine, posizioni di potere (posizioni «offese» da svelamenti di occultate «mistificazioni» o «accusate» di insopportabili «prepotenze») e, ancora, «necessità» di recuperare perdute dignità («oscurate» da vergognose «ignavie» e indifendibili «disattenzioni»). Tutte cose strettamente attinenti l’interesse individuale di alcuni pochi, se non proprio cose «solo» e «semplicemente» impresentabili.
Per disporre di alternative a questo imperante meccanismo di contrapposizioni dobbiamo attribuire un senso agli avvenimenti e assumere le responsabilità dirette delle nostre scelte. Una strada, questa, possibile solo se abbiamo connessioni dirette e libere con le dinamiche e i significati che possiamo rilevare dalla percezione dei fenomeni. Non possiamo, infatti, attribuire senso e valore di merito a risultati che sono frutto di un nostro modo addomesticato e inconsapevole di vivere (come quello indotto dall’economia dei consumi). Non possiamo, neanche, illuderci di trovare riscontri, sul senso e valore delle cose, in modo astratto, solo impegnandoci a garantire la nostra tenuta mentale sui più nobili ideali o sulla bontà presunta e immutabile delle più profonde convinzioni personali.
Per una valutazione della realtà, coerente con la portata e i limiti dei fenomeni umani, è necessario essere, anche, consapevoli che dietro ogni nostro idealismo c’è, poi, la concretezza quotidiana del dover sopravvivere. Il rischio di trovarci dissociati fra il rigore delle idee e il pragmatismo necessario per continuare ad andare avanti è evidente. Anche se è vero che, in questi casi, riusciamo a sopravvivere attuando un’istintiva ricerca di rassicuranti conferme e consolazioni, almeno sulla tenuta statica e inanimata di buoni principi (amore per il prossimo, uguaglianza, solidarietà…), è inevitabile, però, che ogni nostra incoerenza e ogni nostro errore, si trasformino, poi, in paralizzanti ansie e crisi esistenziali.
Non possiamo essere inconsapevoli e inerti di fronte alla nostra incauta tendenza ad affidarci alle forti suggestioni di un bene che verrà, di un salvatore della patria o di un mitico e prossimo Eden tecnologico. In questo modo, infatti, offriremmo, da sprovveduti, solo ingiustificabili occasioni di successo a chi chiede consensi acritici, a chi ci rassicura sul bene di un «darsi da fare» senza senso. Rischieremmo, così, confondendo ideali di riferimento e interpretazioni ideologiche delle attese e dei risultati, di logorare le nostre speranze e ostacolare il già faticoso cammino verso possibili assunzioni di responsabilità sociali, come sono quelle della solidarietà con i nostri simili.