I referendum non hanno risolto alcune situazioni ed anzi regioni come la Puglia e la Sicilia stanno facendo forti resistenze affinché la gestione dell’acqua non sia pubblica per mantenere il potere di gestione nelle mani delle società per azioni
La Puglia è stata tra le prime regioni d’Italia a creare sbarramenti burocratico-istituzionali per contenere il fiume in piena che avrebbe dovuto rivoluzionare la gestione dell’acqua pubblica. Ma il primato pugliese potrebbe essere eguagliato da una importante regione meridionale, la Sicilia.
Il dibattito in Sicilia è stato acceso, perché cambiare forma all’ente gestore (così come i cittadini si sono espressi nei due referendum il 12-13 giugno) in questa terra significa fare i conti con antichissimi «principati», che portano alla mente il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. In effetti, come ha raccontato Andrea Palladino sul Manifesto di ieri, «si prova a cambiare tutto senza cambiare nulla».
Le proposte approdate sui banchi dell’assemblea siciliana sono state tre, di cui quella più vicina alle posizioni del comitato siciliano «Acqua bene comune» era portatore di un «refuso», che forse il suo estensore, un consigliere regionale del Pd e sindaco di Bivona nell’Agrigentino, non aveva proprio visto.
In realtà come in altre regioni qualcuno (più d’uno) sta provando a mantenere il potere di gestione nelle mani delle società per azioni, invece di passare tutto (come esplicitato nei due referendum) nelle mani di un soggetto pubblico.
Palladino precisa che «la proposta di Giovanni Panepinto, sindaco di Bivona, è il disegno di legge preso come base nella commissione ambiente nell’assemblea siciliana… È dunque il testo di partenza, l’articolato di riferimento». Ma il paradosso è che delle tre proposte depositate il disegno di legge del sindaco del Bivona è caratterizzato da un punto che lo rende «differente dalle altre due: non vengono eliminate le società per azioni. Dunque i gestori pubblici dell’acqua potranno continuare ad utilizzare forme societarie private, andando contro la proposta che il movimento per l’acqua da sempre promuove» e che i cittadini hanno sancito con il voto referendario il 12 e 13 giugno.
In effetti «nel dossier ripubblicizzazione dell’acqua in discussione – continua Palladino – in Sicilia ci sono altre due proposte, una presentata da 130 comuni ed una terza presentata dal Forum siciliano dei movimenti acqua pubblica. Un groviglio di articoli, commi, norme, richiami, dove è facile perdere la bussola e dove è più facile che mai cadere nel cambiare tutto per non cambiare nulla».
I tanti militanti siciliani del movimento per l’acqua bene comune, così come i loro compagni di lotta delle altre regioni, sono consapevoli che la battaglia per cambiare la modalità di gestione dell’acqua è tortuosa e di non facile riuscita.
Replicando le parole di Palladino c’è da urlare che si sta percorrendo «una strada contraria e opposta a quella segnata dai referendum del 12 e 13 giugno, basata sostanzialmente su una mediazione che tende a non cambiare nulla».