Territorio, che cos’è?

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Il Territorio (interpretato come substrato, di un mondo naturale dinamico, che presiede gli equilibri vitali) fin dalla sua prima presenza nelle consapevolezze umane (e oggi ancor più nelle diverse direzioni disciplinari specialistiche delle conoscenze, delle scienze naturali e del pensiero umano), è stato al centro di attenzioni documentate che hanno spaziato fra realtà immanenti e proiezioni nel trascendente (dalle terre fertili necessarie per sopravvivere, alla Terra promessa in dono a un popolo eletto).

L’esplorazione del mondo della materia e le riflessioni sul mondo metafisico (che spesso è stato considerato anche come fondamento dei fenomeni fisici) propongono scenari articolati e alternativi sostenuti dalle diverse prospettive dei diversi punti di osservazione che l’uomo può sperimentare. L’insieme di tutte queste diversità, potrebbe offrire, alla nostra attenzione, una migliore rappresentazione della dimensione complessa della realtà e potrebbe, quindi, incentivare anche la ricerca del senso dei fenomeni vitali, attraverso un lavoro sinergico (sperimentale e di riflessione, analisi e interpretazione operativa, sempre da ristrutturare) fra gli esseri umani. Ma non è così perché non trova quasi mai spazio, nelle intenzioni umane più diffuse, anche solo l’idea di una possibile sintonia, con gli equilibri naturali, che potrebbe garantire, con una migliore sopravvivenza di tutti i viventi della Terra, anche una migliore qualità di vita per gli esseri umani.
Il Territorio, sembra essersi radicato, in particolare nella cultura occidentale, come un bene che le debolezze umane hanno trasformato in oggetto di un possesso compulsivo. Dobbiamo, purtroppo, prendere atto che l’idea di poter esercitare un «potere», usando i ricatti e le minacce consentite da un «avere» (dal possesso, in questo caso, anche di un piccolo spazio della nostra Terra, un piccolo regno, su cui signoreggiare), è sempre più, per l’uomo, un surrogato di certezze invincibile, pur se frutto solo di mistificanti soluzioni e di infertili (se non anche distruttivi) risultati.
In fisica è nota una grandezza, l’Entropia, che sembra possa essere richiamata non solo nei processi chimico-fisico-biologici (per interpretare le variazioni di energia, nelle trasformazioni a essi connesse, e la stabilità delle sostanze e dei prodotti di una reazione), ma anche nei fenomeni sociali. C’è una spontanea tendenza, da parte di qualsiasi fenomeno a degradare e a perdere, cioè, ogni qualità dinamica del suo stato fisico (della materia e dell’energia che lo caratterizza) e ogni qualità relazionale e creativa (per quanto riguarda la società degli esseri viventi e il progresso della qualità della vita umana). In particolare, nel caso dei comportamenti umani, così come avviene nelle trasformazioni chimico-fisico-biologiche che danno tenuta agli equilibri naturali, questa tendenza a cedere energia (ad aumentare l’Entropia del suo sistema) può essere virtuosamente impiegata per strutturare quelle qualità del saper creare sinergie (con la condivisione dei valori peculiari dell’autonomia di ogni singolo individuo e con la collaborazione diffusa nel perseguimento di finalità sociali), che sono alla base delle aspirazioni umane più profonde. Dunque, nel sociale, le energie invece di essere solo perse o spese in distruttive competizioni (fino alla pratica estrema delle sottomissioni terminali), possono permettere, passando attraverso stadi riorganizzativi intermedi, di spendere le stesse energie per scoprire le diversità del nostro senso del vivere e, nello stesso tempo, di condividere e arricchire le nostre esperienze e relazioni.
I concetti, che l’idea di Territorio deve evocare, non sono, quindi, quelli di un immutabile e garantito diritto esclusivo al suo possesso e uso, ma quelli di un equilibrio, chimico-fisico-biologico e socio-culturale dinamico, in continua evoluzione che, se pur non permetterà di dare compiutezza anche solo a una sua affidabile definizione, potrà aiutare a interpretare, con migliore e più conveniente approssimazione, la complessità dei processi naturali. Una condizione necessaria che consente sia di prevedere e prevenire i fenomeni di degrado, sia di definire (in presenza di modifiche che possono incidere sugli equilibri vitali) specifiche e opportune precauzioni. L’uso del Territorio dovrebbe, cioè, rispondere non alla volontà di chi ne vanta la proprietà, ma a finalità di progresso umano che trovano nell’esplorazione della realtà, nella ricerca per la conoscenza delle dinamiche dei contesti, le condizioni per la creazione di sinergie. Un Territorio, quindi, come contesto di equilibri nel quale non solo possiamo esprimerci socialmente, con i nostri personali modi di essere, ma possiamo, prima di tutto, condividere condizioni diverse di vita, per favorire le migliori relazioni fra gli esseri umani e fra questi e il resto del mondo naturale al quale apparteniamo.
I limiti della condizione umana permettono all’uomo di interpretare i fenomeni naturali solo con approcci riduzionisti. Solo, cioè, con quei pochi parametri che sono percepiti dai suoi sensi e che, nel loro limitato insieme, possono essere tenuti sotto controllo. Oggi i sistemi, sempre più sofisticati, di elaborazione di dati sperimentali, permettono di tenere sotto controllo un numero teoricamente illimitato di parametri e, quindi, di costruire modelli più affidabili di interpretazione e previsione dei fenomeni. Ma anche così, rimane irrisolta la ricerca e l’interpretazione del senso che è frutto solo di una capacità specifica dell’uomo di andare oltre la razionalità e le apparenti contraddizioni nell’interpretazione dei dati rilevabili dai fenomeni fisici
Sotto certi aspetti si può affermare che l’uomo, non disponendo della piena e diretta conoscenza e consapevolezza sul significato ultimo dei fenomeni naturali, sperimenta la vita con un approccio di tipo empirico. Ciò non toglie, però, che vi possa essere, come qui si vuol sostenere, anche tutta un’altra realtà, di più ampio senso umano delle cose, che l’uomo può mentalmente strutturare. Una realtà che, pur se imperscrutabile, è una sentita e necessaria presenza, in quelle relazioni uomo-Natura, che non possono essere ridotte a un rapporto dettato dal solo istinto di sopravvivenza o da una pur più compiuta, ma insufficiente, elaborazione di nuovi fattori fisici da mettere in gioco.
Se è vero che la Natura non ha bisogno di rimedi umani e tantomeno ha mancanze che l’uomo può o deve colmare, i suoi Territori possono essere correttamente considerati substrati autonomi e intelligenti che non solo accolgono e partecipano al divenire di un mondo di fenomeni naturali, ma che offrono anche spazi nei quali possono essere integrate esperienze e processi vitali che l’uomo sa, poi, riconoscere e condividere nella loro diversità e valore. Nella pratica, non possiamo però illuderci che quest’ultima prospettiva possa spontaneamente realizzarsi. Gli animali, da soli o in gruppi, segnano i loro territori indicando così anche una loro intenzione di prevenire conflitti. L’uomo, invece, non si limita a segnalare i propri territori, ma può impegnarsi anche a conquistare quelli degli altri, per mettere a propria disposizione le loro risorse, e a piegarli ai propri progetti di egemonia o anche solo destinandoli a funzioni strategiche fino l’esercizio, globale e assoluto, del proprio potere. La storia dell’uomo è piena di vicende che raccontano guerre sanguinose e sottomissioni di popoli e certamente, queste, non sono manifestazioni di quella intelligenza che si vorrebbe fosse segno di una qualità e di un senso delle cose che dovrebbe distinguere, per un suo maggior valore, l’uomo da tutti gli altri esseri viventi.
I Territori, ricchi di vitalità e di risorse naturali diverse, se non sono esposti a prepotenze e a guerre, sono sempre lì, al loro posto pronti a offrire occasioni per la ricerca del senso delle cose. In realtà, sono quasi sempre usati, invece, per qualche estemporanea volontà umana di «fare le cose». I Territori sono paesaggi, fonti di risorse alimentari, scrigni di materie prime per la produzione di beni e servizi, tutte energie e materiali a disposizione di chi li abita, ma che oggi sono, invece destinati a finire, in modo eterodiretto, sui mercati liberi dei consumi e, poi, anche a occupare in gran parte, come rifiuti, altri Territori destinati al loro confinamento terminale. I Territori, dunque, in particolare quelli esposti alla volontà di qualche inventore seriale di beni «usa e getta», sono devastati sia nei momenti nei quali sono depredati delle loro risorse, sia nella successiva fase di degradazione e di confinamenti terminali dei rifiuti prodotti.
Ma il Territorio è altro e non è richiesto un particolare impegno per rendersi conto che è un corpo vitale animato dalle sinergie fra fenomeni che sono in relazione dinamica fra loro. Oggi l’individualismo e la competizione sottraggono all’uomo le opportunità di entrare a far parte delle specificità, relazionali e creative, offerte dalle sinergie nei diversi Territori. La riflessione e la pratica delle responsabilità, necessarie per entrare in sintonia con le loro dinamiche vitali, sono viste, infatti, non come opportunità di collaborazione a un progetto di progresso anche umano, ma come ostacolo a un «fare le cose che si possono fare» senza vincoli (anche, se il farle, non ha alcun senso, ma il non farle sarebbe una sconfitta, perché «c’è sempre qualcun altro che prima o poi le farà al posto tuo, sottraendoti il successo, pur equivoco, di una vittoriosa competizione»).

La relazione uomo Territorio

Clima

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La produzione di energia elettrica rappresenta il 27% delle emissioni mondiali di CO2 prodotta dalle attività dell’uomo ed è per questo la principale sorgente di gas a effetto serra. Gli Esperti del gruppo di lavoro intergovernativo delle Nazioni Unite Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sono giunti alla conclusione che le emissioni di CO2, comprese quelle per la produzione di energia elettrica, devono essere dimezzate se si vuole mettere un freno e riportare a un livello tollerabile le conseguenze del cambiamento climatico.
L’energia nucleare potrebbe dare in futuro un contributo crescente alla generazione di energia elettrica e di calore per riscaldamento senza emissioni di CO2. L’energia nucleare non produce in pratica alcuna emissione di CO2 su tutto il ciclo produttivo. Sebbene l’obiettivo di riduzione delle emissioni delle Nazioni Unite richieda l’applicazione di un insieme di tecnologie, l’energia nucleare è la sola tecnologia priva di emissioni che abbia già dato prova della sua fattibilità e della sua capacità di fornire soluzioni adeguate su larga scala e di lunga durata.
Un’altra ricaduta utile della tecnologia nucleare potrebbe essere la produzione d’idrogeno a basso prezzo che a sua volta, grazie ad altri progressi tecnologici nel settore dei trasporti, potrebbe sostituire carburanti di origine fossile più inquinanti.
L’energia nucleare può infine offrire una maggiore sicurezza energetica e un’opportunità di riduzione degli effetti nocivi per la salute. La maggior parte dei costi «esterni» (cioè quelli non contabilizzati nel prezzo dell’energia, tra i quali le conseguenze del cambiamento climatico) sono normalmente internalizzati nella produzione di energia nucleare, mentre per i combustibili fossili i costi esterni non lo sono e rappresentano all’incirca la stessa cifra dei costi diretti.

La Carta europea dell’acqua

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A Strasburgo, il 6 maggio 1968, il Consiglio dei ministri della Comunità europea approvò un documento che suppone una dichiarazione di principi sull’acqua. Questi sono i principi basilari.

1) Non c’è vita senz’acqua. L’acqua è un bene prezioso, indispensabile a tutte le attività umane.
2) Le disponibilità d’acqua dolce non sono inesauribili. E’ indispensabile preservarle, controllarle e se possibile accrescerle.
3) Alterare le qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono.
4) La qualità dell’acqua deve essere tale da soddisfare le esigenze della utilizzazioni previste; ma deve specialmente soddisfare le esigenze della salute pubblica.
5) Quando l’acqua, dopo essere stata utilizzata, viene restituita al suo ambiente naturale, non deve compromettere i possibili usi, tanto pubblici che privati, che di quest’ambiente potranno essere fatti.
6) La conservazione di un manto vegetale, di preferenza forestale, è essenziale per la salvaguardia delle risorse idriche.
7) Le risorse idriche devono formare oggetto di un inventario.
8) La buona gestione dell’acqua deve formare oggetto di un piano stabilito dalle autorità competenti.
9) La salvaguardia dell’acqua implica un notevole sforzo di ricerca scientifica, di formazione di specialisti e di formazione del pubblico.
10) L’acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. Ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura.
11) La gestione delle risorse idriche deve essere inquadrata nel bacino naturale, piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche.
12) L’acqua non ha frontiere. Essa è una risorsa comune che necessita di una cooperazione internazionale.

Biodiversity Is the Life Insurance of Life Itself

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Press Information Bureau: May 19, 2005
Biological diversity, or biodiversity, encompasses the variety of all life on earth. The biodiversity we see today is the outcome of over 3.5 billion years of evolutionary history, shaped by natural processes and increasingly, by the influence of humans. Biodiversity forms the web of life of which we are an integral part and upon which we so fully depend.

“Biological diversity” means the variability among living organisms from all sources, including terrestrial, marine and other aquatic ecosystems and the ecological complexes of which they are part; this includes diversity within species, between species and of ecosystems. Biodiversity is the source of the essential goods and ecological services that constitute the source of life for all and it has direct consumptive value in food, agriculture, medicine, and in industry.

The value of biodiversity

Biological diversity is the natural biotic capital of the earth, and affects us all. Humanity derives its supplies of food, medicines, energy and many industrial products from biological resources. Some of the products obtained from bioresources without which life would be difficult include wood, fuel, bamboo, thatch, fodder, paper, cosmetics, material for clothing and housing etc. Biodiversity maintains the ecological balance and continues evolutionary processes. The very survival of humankind depends on these core ecological functions. The indirect ecosystem services provided through biodiversity include: photosynthesis, pollination, transpiration, maintaining the balance of atmospheric gases, maintaining hydrological cycles, chemical cycling, nutrient cycling, soil creation and maintenance, climate regulation, waste management, pest control etc. Biodiversity also has aesthetic and recreational value.

Threats to Biodiversity

Extinction of species and gradual changes in ecological communities is a natural phenomenon. However, the pace of extinction has increased dramatically as a result of human activities. Ecosystems are being fragmented or eliminated, and several species are in decline. The fragmentation, degradation, and loss of habitats pose serious threat to biological diversity. It has been estimated that species have been disappearing at 50-100 times the natural rate and this is predicted to rise dramatically. These losses are irreversible and pose a threat to our own well-being, considering our dependence on food crop and medicines and other biological resources.

The world’s forests are shrinking rapidly. Upto 10% of coral reefs which are among the richest ecosystems have been destroyed. Half of coastal mangroves, an important habitat for several species, have already disappeared. Global atmospheric changes such as ozone depletion and climate change have added to the stress. Global warming is already affecting habitats and the distribution of species. The loss of biodiversity often reduces the productivity of the ecosystem, thereby shrinking the nature’s basket of goods and services on which life depends. It destabilizes ecosystems and weakens their ability to deal with natural disasters such as floods, droughts, and hurricanes.
Our cultural identity, which is deeply rooted in our biological environment, is also affected adversely by the loss of biodiversity.

India: A Megadiverse Country

Biodiversity is not distributed evenly or uniformly across the globe.


Certain countries, lying wholly or partly within the tropics, are characterized by high species richness and more number of endemic species. These countries are known as Megadiverse countries. India, along with sixteen other megadiverse countries, which are rich in biological diversity and associated traditional knowledge, have formed a group known as the Like Minded Megadiverse Countries (LMMC). These countries are Bolivia, Brazil, China, Colombia, Costa Rica, Democratic Republic of Congo, Ecuador, India, Indonesia, Kenya, Madagascar, Malaysia, Mexico, Peru, Philippines, South Africa, and Venezuela. The LMMCs hold nearly 70% of all biodiversity.

The Convention on Biological Diversity

The Convention on Biological Diversity (CBD) is the first global comprehensive agreement to address all aspects of biological diversity, including conservation of biological diversity, sustainable use of its components, and fair and equitable sharing of benefits arising from its use. The Convention was signed by nations during the 1992 Rio Earth Summit. Since its entry into force in 1994, the CBD has been ratified by 180 Parties. India is a Party to the Convention on Biological Diversity.

One of the three objectives of the Convention on Biological Diversity, as set out in its Article 1, is the “fair and equitable sharing of the benefits arising out of the utilization of genetic resources, including by appropriate access to genetic resources and by appropriate transfer of relevant technologies, taking into account all rights over those resources to technologies, and by appropriate funding.”

International Biological Diversity Day

The United Nations has proclaimed May 22, the International Day for Biological Diversity, to commemorate the date of adoption of the text of CBD in 1992. The day is celebrated to increase understanding and awareness of biodiversity issues. The celebration each year of this day is an occasion to reflect on our responsibility to safeguard the precious heritage of bio-resources for our future generation. The theme for International Day for Biological Diversity 2005 is ‘Biodiversity: Life Insurance for our Changing World’.

The world is changing faster than ever before, and growing human populations and expanding consumption are placing severe pressure on biodiversity. This year’s theme reminds us that in addition to providing the physical conditions for life, biodiversity also plays an important role in protecting life and making it resilient to the pressures brought about by the change. Thus, biodiversity is the life insurance of life itself. More specifically, diversity within species helps a given specie survive rapid changes in surrounding ecosystem. Diversity between species increases the resilience of ecosystems by enhancing functions and providing multiple sources for ecosystem services. This makes sustainable development possible, protecting life from the potential consequences of change, including sudden changes to ecosystems, such as those brought on by disasters.

An additional focus for 2005 is the Millennium Ecosystem Assessment (MA). This five-year programme, initiated by the Secretary General, United Nations, studied the relationship between ecosystems and human well-being. The findings of MA report highlight the role of ecosystem services in sustaining life and providing protection for the


vulnerable. It also draws the link between the risks of rapid change and the increased demands that people are placing on ecosystems around the world. Ecosystem services provide human beings with options, which is of particular importance to the poor and vulnerable.

The report contains the following six key findings

What is the problem? (Finding 1): In the last 50 years, human actions have changed the diversity of life on the planet more than at any other time in history. Our activities have lifted many people out of poverty, but at the price of a loss of biodiversity. If we continue down this road, we will reduce biological diversity, with life-threatening consequences.

Why is biodiversity loss a concern? (Findings 2 and 3): Biodiversity is the foundation for human well-being. Not only does it provide the materials we need for food, clothing and shelter, but also gives us security, health and freedom of choices. The current pace and rhythm of our activities are harming ecosystems, consuming biological resources and putting at risk the well-being of future generations.

What are the causes of biodiversity loss and how they are changing? (Finding 4): Human activities are leading to the loss of the variety of life. Population increase and economic activity, fuelled by technological change and our patterns of political and cultural life are placing undue pressure on ecosystems. Our actions are changing habitats, the climate, overexploiting resources, creating pollution and promoting the spread of invasive alien species. If current patterns continue, the loss of biodiversity will accelerate, not diminish.

What actions can be taken? (Finding 5): We know that in the past, actions and programmes that promoted conservation and the sustainable use of biological diversity limited biodiversity loss. This is promising, but we are not doing enough. To further reduce and to stop the loss of biodiversity will require a whole host of new and stronger actions. Sustainable human development remains the primary goal and we need to strengthen the range and power of our ability to respond to biodiversity loss.
The 2010 target and its implications (finding 6): The size of the task ahead of us is so great that the 2010 biodiversity target will only realistically be achieved in certain areas and regions if we engage in substantial efforts. This sobering conclusion is not hopeless. Humankind can choose to act now for the conservation and sustainable use of biodiversity if it changes the way it is causing change, carefully chooses the ways it responds to change and makes the right tradeoffs.
Government of India.

I processi di salinizzazione

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Il termine salinizzazione indica il processo di accumulo dei sali nel suolo. È un processo tipico delle zone aride e semiaride, in cui i sali solubili precipitano e si accumulano negli strati superficiali del suolo.
Le piante risentono negativamente della presenza di livelli crescenti di sali negli strati superficiali del suolo. L’eccessiva quantità di cloruro di sodio, bicarbonati, solfati di magnesio e di calcio influenza lo sviluppo delle piante sia in modo diretto, inducendo fenomeni di tossicità, sia indiretto, incrementando il potenziale osmotico ed ostacolando la suzione radicale. Nei climi asciutti, il continuo accumulo di sali può determinare fenomeni di desertificazione; in condizioni climatiche sub-umide o umide si verificano, a seconda della stagione di riferimento, processi di salinizzazione modesti o piuttosto rilevanti.
Il fenomeno dell’accumulo di sali nel suolo può avere una genesi diversa. Il termine può, quindi, riferirsi a processi diversi determinati da cause diverse che portano però al medesimo risultato. È possibile distinguere una salinizzazione primaria, generata dalle caratteristiche naturali del suolo, ed una salinizzazione secondaria, in cui sono le attività umane a svolgere un ruolo centrale nell’attivazione del processo.
Fondamentalmente, la salinizzazione di un suolo si verifica dove, a seconda delle caratteristiche del suolo stesso (permeabilità, profondità) della copertura vegetale e del livello dell’acqua sotterranea, l’equilibrio fra apporti meteorici, o irrigazione, ed evaporazione è a favore dell’evapotraspirazione.

Nella Figura 1 i principali fattori che influenzano l’accumulo di sali negli strati superficiali del suolo

Possiamo descrivere tre processi principali che causano la salinizzazione:

? l’innalzamento del livello delle falde acquifere: questo fenomeno, in terreni aridi, genera l’accumulo di sali nella superficie del suolo a causa dell’evaporazione dell’acqua;
? l’accumulo di sali per irrigazione, ciò si verifica in modo particolare nelle zone aride, ove le precipitazioni non sono sufficienti ad eliminare i sali presenti nel terreno mediante lisciviazione;
? l’intrusione dell’acqua marina nelle falde idriche: si verifica nelle zone costiere in cui l’acqua di mare sostituisce l’acqua di falda, oggetto spesso di sovra-sfruttamento.

Il primo processo descritto si verifica anche in climi moderatamente umidi, nelle pianure alluvionali o nelle depressioni con fondo impermeabile dove confluiscono le acque provenienti dalle aree circostanti i cui terreni o sedimenti contengono sali. L’acqua, per risalita capillare, viene assorbita dalla superficie e qui evapora, a causa della radiazione solare, lasciando depositi di sale. Quale indicatore della salinità di tali suoli, è possibile osservare, sulla superficie del terreno, le croste (efflorescenze) formate dai sali.
Il secondo processo è frequente nelle aree coltivate in cui l’irrigazione è associata ad elevati tassi di evaporazione e terreni argillosi. In questo contesto la lisciviazione risulta ostacolata e gli ioni del sodio, del magnesio e del calcio si accumulano sulla superficie del suolo.
L’ultimo processo, l’intrusione di acqua marina, si sta diffondendo lungo le zone costiere mediterranee, in cui il sovra-sfruttamento delle risorse idriche causa l’abbassamento dei livelli delle falde acquifere e l’ingressione dell’acqua marina.
La


crescente salinità della falda acquifera per il progressivo aumento della miscelazione di acque dolci con acque marine influenza la produttività dei terreni irrigati tramite i pozzi posti nell’area di transizione e, in una prospettiva di medio-lungo termine, contribuisce alla salinizzazione secondaria del suolo.
Occorre considerare, tuttavia, che anche in aree irrigate utilizzando acqua di «buona» qualità sono stati rilevati moderati livelli di salinità. Questo accade a causa dei metodi di irrigazione impiegati e delle condizioni di aridità. Viceversa, il fenomeno della salinizzazione può non verificarsi in terreni irrigati, per diversi anni, mediante acque ricche di sali. Questi esempi indicano che ogni area è caratterizzata da equilibri differenti e peculiari, che ne influenzano la possibile evoluzione.

Rabdomanzia e radioestesia, tra misticismo e scienza

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A proposito di una polemica

Che cos’è la Bio-Quantica

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La Bio-Quantica è la scienza che si occupa di dare risposta alla complessità della vita, sapendo che il «riduzionismo meccanico», sia classico sia quanto-meccanico di indagine analitica, è stato storicamente incapace di interpretare la auto-organizzazione olistica dei sistemi biologici.

Pertanto la «Bio-Quantica», si propone di re-interpretare e sviluppare ricerca sulla «Energia Vitale» rilanciando come fenomeno emergente un moderno «Bio-vitalismo», basato sulle evidenze teoriche e sperimentali della bio-vitalizzazione e bio-rigenerazione degli studi sulle «Energie Sottili» (Es); cioè sulla forma di energia ed informazione che la Medicina Cinese, ed il Taoismo, lo Yoga, ed altre antiche culture già conoscevano con i nomi di «qi» o «prana» o «pneuma», ecc. a seconda della cultura e l’epoca di provenienza.

Accettando il postulato fondamentale della scienza che dice: «la Energia totale è costante poiché essa non si crea né si distrugge ma si trasforma» dobbiamo sommare anche la emergente forma di Energia «Es»; quindi la somma totale della Energia condensata come materia (EM) + la Somma della Energia vibrazionale (Ev) ed inoltre + la somma della Energia Sottile (Es), deve essere = K (costante).
Allora le Variazioni (V) di tale somma per definizione sono uguali a Zero.
Cioè: V (EM) + V (Ev) + V(Es) = 0 da cui ricavo l’incognita: «+ V (Es) = – V (EM) – V (Ev)».

Pertanto possiamo definire la equazione precedente come «Principio di Fertilità evolutiva» che dice che la evoluzione dei sistemi viventi si ottiene per incremento della incognita (+ Es) a spese della degradazione della Materia (- EM) e/o della diminuzione della Energia vibrazionale (-Ev).
La evoluzione del sistema da materia inerte ed energia meccanica, dà quindi vita alla auto-organizzazione complessa degli esseri biologici, mediante una trasformazione «neg-entropica-circolare» che mediante la Energia Sottile (Es) genera la vita.

Questa è in breve la sintesi semplificata che permette di fare riferimento alle «Energie Sottili» come forma di «Energia vitale» evolutivamente relativa alle trasformazioni di materia (EM) ed Energia (Ev).

Il mettere in evidenza la Energia Sottile (Es) comporta quindi un netto superamento della scienza «meccanica» in quanto questa ha confuso la soggettività della nostra percezione in una falsa unicità e oggettività della realtà macroscopica, che è culturalmente e storicamente acquisita durante tutta l’epoca industriale oggi obsoleta.

In vero ciò che percepiamo come forme e colori suoni, emozioni è una costruzione della sinergia tra Mente / Cervello che realizza una visione del mondo come anticipazione delle nostre probabili interazioni nell’ambiente.

Pertanto comprendendo la costruzione cerebrale della percezione, la realtà contemporanea diviene più soggettiva che oggettiva, come è possibile dimostrare facendo riferimento agli stati mentali indotti dalle tecnologie della «realtà virtuale» nonché della «Intelligenza Artificiale» nella azione di un cambiamento del nostro modo consueto di vedere il mondo. Infatti le alternative percettive ed emozionali vengono a dipendere dai nostri stati di intenzionalità e di coscienza i quali attivano la immaginazione la creatività con modalità capaci di andare oltre nella scienza a nell’arte a ciò che è stato conservativamente percepito come realtà oggettiva.

Purtroppo anche la «meccanica quantistica» ha voluto ricadere nell’errore riconducendo la interpretazione quantica in modo da passare linearmente dal microcosmo quantico probabilistico al macrocosmo deterministico classico. Per far questo la Meccanica Quantistica è ricorsa allo stratagemma di far arbitrariamente scomparire il dualismo della onda associata al corpuscolo quantico (si parla infatti di «Crash della Onda») per limitarsi a calcolare le nuvole di densità di probabilità di trovare unicamente le particelle.

Purtroppo, e con questo trucchetto, di fatto si elimina la importanza delle onde e con esse del campo elettromagnetico associato alla funzione d’onda quantica come abbiamo messo in evidenza focalizzando come DNA nella Bio-Quantica assuma due funzioni, A) la prima per contatto DNA/RNA che serve a produrre proteine lineari; B) la seconda elettromagnetica quantica capace di irradiare a distanza «biofotoni» contenenti caratteri morfogenetici, necessari per dare forma funzionale alle proteine. Pertanto il DNA non e più visto soltanto come contenitore di codici genetici dati ma come un sistema di comunicazione e coordinamento della bio-informazione.

In conclusione la «Bio-Quantica» aprirà la immaginazione verso nuovi livelli di consapevolezza e più elevati gradi di conoscenza, sviluppando chiavi alternative di interpretazione ed elaborazione della realtà ancora recondita, permettendoci di ampliare le capacità simboliche di rappresentazione del pensiero creativo contemporaneo, finalizzato al miglioramento evolutivo dalla vita dell’uomo e dell’ambiente naturale.

Energia ausiliaria e uso della produttività in ambiente terrestre

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Alcuni ecosistemi si presentano particolarmente produttivi poiché, oltre alla disponibilità di energia radiante, di acqua e nutrienti (azoto, fosforo), usufruiscono di apporti ausiliari di energia. L’energia fondamentale che i vegetali trasformano in energia chimica, attraverso la fotosintesi, è quella del sole. Gli apporti ausiliari di energia si configurano in meccanismi ambientali che consentono di ridurre i costi di mantenimento a favore della crescita dei vegetali. Per esempio, una corrente marina che renda disponibili maggiori quantità di azoto e fosforo per le alghe che potranno assorbirli con minore spesa energetica, determinerà un incremento di produttività primaria netta.

L’intervento dell’uomo nei sistemi agricoli, dall’irrigazione alla concimazione, dal controllo dei parassiti alla selezione genetica, si configura come energia ausiliaria che riduce i costi di mantenimento delle colture a favore di una maggiore produttività. Così il frumento o il mais spendono molto meno per assorbire acqua e nutrienti o per difendersi dai parassiti e quello che non viene speso per queste «faccende», risolte dall’uomo con investimenti energetici (ed economici), può essere accumulato nei tessuti eduli.
Attraverso la selezione genetica è stato favorito in molte colture il «rapporto di resa» ossia il rapporto tra la parte commestibile e quella non commestibile. Però piante con un elevato rapporto di resa dispongono di minore strutture e fibre per la propria autoprotezione, per cui deve intervenire l’uomo con energie ausiliarie che forniscano protezione da parassiti e insetti nocivi.

Stando alle stime riportate da Whittaker (1975), le terre coltivate, che coprono una superficie di circa 14 milioni di kilometri quadrati, producono annualmente circa 9 miliardi di tonnellate annue di sostanza organica. Questa cifra corrisponde a circa l’8% della produttività primaria netta delle terre emerse. Ovviamente, non tutta questa produttività corrisponde a prodotti alimentari per il consumo umano. Il raccolto destinato al consumo animale (mucche, cavalli, maiali, pecore, polli) supera di 5 volte quello destinato al consumo umano (Odum, 2001). Inoltre, molti terreni coltivati sono destinati alla produzione di fibre, di legno e, negli ultimi tempi, di biomasse vegetali per ottenere combustibili. Infine, esiste una notevole quantità di scarti dai raccolti (radici, foglie, cortecce, rami etc.) rispetto alle parti commestibili. Anche questi scarti, comunque, potrebbero essere utilizzati in differenti modi, dalla concimazione dei terreni alla produzione di energia.
Vitousek e collaboratori in un famoso articolo del 1986 (Human appropriation of the products of photosynthesis) indicava che l’uomo utilizza ogni anno per sé e per gli animali domestici soltanto il 3% della produttività terrestre come fonte di cibo ma se ne appropria di circa il 40% per altri scopi, tra cui la produzione di beni non commestibili, risorse di vario tipo estratte dalle foreste, tagli e incendi boschivi, pastorizia, rimozione di territorio naturale per attività umane (strade e infrastrutture), erosione dei suoli e conseguente desertificazione.

La produzione di cibo dall’agricoltura è aumentata enormemente nel secolo scorso grazie alla meccanizzazione, irrigazione, impiego di fertilizzanti e pesticidi. Ma questo è avvenuto soprattutto nei paesi industrializzati che dispongono di risorse economiche (energia ausiliaria) per muovere macchine, trattori e pompe


nonché per produrre fertilizzanti e pesticidi. L’agricoltura intensiva dei paesi industrializzati è sostenuta da una fonte energetica gratuita e pressoché inesauribile, quella radiante, e da una a costi sempre più elevati perché in esaurimento, quella del petrolio. L’agricoltura intensiva dei paesi industrializzati ha aumentato la produzione di cibo destinato al consumo umano, ma anche determinato profonde alterazione dell’habitat. Basti pensare al disboscamento o all’inquinamento delle acque prodotto dall’uso di fertilizzanti e pesticidi. Pertanto, per una corretta valutazione del reale beneficio sociale derivante da questo tipo di agricoltura bisognerebbe aggiungere ai costi energetici ausiliari quelli del degrado ambientale.

Considerando che per raddoppiare il rendimento dei raccolti bisognerebbe decuplicare gli input di energia ausiliaria (Odum, 2001), si capisce perché la produzione di cibo nei paesi in via di sviluppo è ancora molto bassa rispetto alle esigenze della popolazione. Nella parte povera del pianeta, l’incremento nella produzione di cibo è determinato soprattutto dall’aumento di terra coltivata piuttosto che dall’aumento dei rendimenti delle colture.
Purtroppo, l’aumento di terra da coltivare viene realizzato con il taglio della foresta tropicale ottenendo risultati tragici su differenti fronti.
Infatti, i suoli dei tropici sono poveri di nutrienti poiché il loro ciclo si realizza soprattutto all’interno della biomassa vivente degli alberi con il supporto di organismi simbionti, come funghi delle micorrize, alghe e licheni. Una volta tagliata la foresta l’humus esposto all’intensa radiazione solare e alle elevate temperature dei tropici si esaurisce in breve tempo e così i pochi nutrienti presenti in questi suoli vengono in breve tempo dilavati dalle piogge torrenziali. A causa del regime climatico il suolo subisce una profonda erosione per cui l’agricoltura, così come realizzata nei paesi industrializzati, risulterebbe fallimentare per gli ingenti investimenti economici necessari per rigenerare idonee condizioni per le colture. A tutto questo si deve aggiungere la perdita della biodiversità della foresta tropicale nonché del ruolo che questa ha nel riciclo dell’anidride carbonica a livello planetario.

Come prima detto, una grossa frazione della produttività primaria è utilizzata anche per altri scopi. Tra questi vi è la produzione di combustibili. Anche se questo uso della produttività terrestre costituisce un tema di grande attualità a causa dell’esaurimento del petrolio, di fatto si tratta di un uso vecchio quanto l’umanità.
Senza considerare il petrolio, che in realtà si tratta di produttività primaria trasformata, sotto la superficie terrestre, nel corso di ere geologiche, il legno costituisce per oltre la metà della popolazione mondiale il combustibile principale. In alcuni paesi più poveri è usato dal 99% della popolazione come unico combustibile. Viene usato per cucinare, riscaldare e illuminare nonché per l’industria leggera spesso ad una velocità superiore a quella necessaria per ricrescere (Odum e Barrett, 2007). Da un po’ di tempo anche nei paesi industrializzati si sta pensando di utilizzare le biomasse provenienti sia dalle foreste sia dall’agricoltura per far fronte alla crisi energetica dovuta alle ridotte disponibilità di petrolio.

Alcune delle opzioni possibili richiederanno ulteriore terra per la coltivazione di piante da cui estrarre combustibili (come biodiesel dall’olio di


colza) o su cui far crescere alberi a rapida crescita e da tagliare in breve tempo («foreste combustibili»), determinando competizione tra produzione di cibo e di combustibili in terreni arabili ed aggravando la situazione alimentare nei paesi in via di sviluppo. Rispetto alle azioni da intraprendere, è di fondamentale importanza tener presente che foreste, boschi, praterie, zone umide e altri ecosistemi naturali sostengono la vita sul pianeta attraverso la produzione di beni e servizi per tutti i viventi e, quindi, per il funzionamento della biosfera. Bisognerà acquisire la saggezza di non erodere ulteriormente questo capitale naturale.

Monitoraggio dell’attività respiratoria

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Pletismografia con sensori piezoresistivi

Per monitorare l’attività respiratoria, si possono utilizzare sensori piezoresistivi posizionati a diverse altezze del tronco, in particolare per discriminare tra attività respiratoria a livello toracico ed attività respiratoria a livello addominale, si possono localizzare i sensori all’inizio e a metà dello sterno. I sensori possono essere integrati nell’indumento o essere applicati in forma di banda elastica all’altezza voluta. La risposta di questi sensori è stata valutata attraverso un confronto con sensori piezoelettrici, i due segnali presentano morfologie confrontabili e valori di frequenza respiratoria coincidenti.
I sensori piezoresistivi sono intrinsecamente soggetti ad artefatti da movimento, tuttavia consentono di discriminare tra attività toracica e attività addominale, come può essere visto in Figura 4, dalla figura è possibile notare che le fasi del respiro addominale e toracico sono opposte, nell’esperimento si è simulato il respiro paradosso.

 

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Figura 4. Respirazione toracica (sopra) e respirazione addominale (sotto), durante l’acquisizione è stato simulato il respiro paradosso.

 

Pletismografia a impedenza

I sistemi indossabili basati su tessili elettronici si prestano all’implementazione di misure di tipo impedenzometrico. Una misura d’impedenza prevede la valutazione della variazione dell’impedenza corporea in corrispondenza dell’applicazione di una corrente ad alta frequenza e bassa intensità, la corrente fluisce attraverso due elettrodi e viene misurata la caduta di potenziale causata dal movimento di cariche. La misura dipende dalla massa corporea e dal flusso di fluidi attraverso il corpo. La pneumografia a impedenza consente di rilevare l’effetto della variazione di flusso d’aria attraverso i polmoni, attraverso il valore d’impedenza toracica. La misura può essere fatta con due o con quattro elettrodi. Il metodo con quattro elettrodi è meno soggetto ad artefatti di movimento, gli elettrodi interni sono usati per iniettare corrente, quelli esterni per rilevare la variazione di potenziale dovuta al cambio d’impedenza legato all’attività respiratoria.
Il valore dell’impedenza varia in funzione del volume d’aria presente nei polmoni, per questo motivo il sistema può essere calibrato con uno spirometro. La pneumografia a impedenza presenta meno artefatti da movimento rispetto ad altre tecniche indirette, tuttavia la qualità del segnale è influenzata dal valore della resistenza di contatto pelle-elettrodo.
In Figura 5 sono riportati i segnali acquisiti simultaneamente con sensori tessili confrontati con il segnale acquisito con un pirometro commerciale Biopac; nonostante le differenze in morfologia, dovute al diverso principio fisico di misura, le fasi d’inspirazione ed espirazione possono essere identificate.
I massimi e i minimi dei segnali acquisiti sono sincronizzati, com’è possibile osservare dai grafici riportati. Nella figura successiva è evidenziata la possibilità di monitorare la presenza di apnee.

 

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Figura 5. Confronto tra i segnali respiratori acquisiti a riposo con uno pirometro commerciale Biopac e diversi sensori in tessuto. Dall’alto: spirometro, pneumografia a impedenza con elettrodi in tessuto, pletismografia toracica con sensore in tessuto, pletismografia toracica con sensore stampato, pletismografia addominale con sensore in tessuto.

 

 

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Figura 6. Confronto tra i segnali respiratori acquisiti a riposo con uno pirometro commerciale Biopac e diversi sensori in tessuto. Dall’alto: spirometro, pneumografia a impedenza con elettrodi in tessuto, pletismografia toracica con sensore in tessuto, pletismografia toracica con sensore stampato, pletismografia addominale con sensore in tessuto.

ENVIRONMENT: Climate Change Science: Adapt, Mitigate, or Ignore?

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David A. King Chief scientific adviser to H. M. Government United Kingdom

Climate change is real, and the causal link to increased greenhouse emissions is now well established. Globally, the ten hottest years on record have occurred since 1991, and in the past century, temperatures have risen by about 0.6°C. In that same period, global sea level has risen by about 20 cm–partly from melting of land ice and partly from thermal expansion of the oceans. Ice caps are disappearing from many mountain peaks, and summer and autumn Arctic sea ice has thinned by up to 40% in recent decades, although there is some evidence for stabilization. In Britain, usage of the Thames Barrier, which protects London from flooding down the Thames Estuary, has increased from less than once a year in the
1980s to an average of more than six times a year. This is a clear measure of increased frequency of high storm surges around North Sea coasts, combined with high flood levels in the River Thames. Last year, Europe experienced an unprecedented heat wave, France alone bearing around 15,000 excess or premature fatalities as a consequence. Although this was clearly an extreme event, when average temperatures are rising, extreme temperature events become more frequent and more serious. In my view, climate change is the most severe problem that we are facing today–more serious even than the threat of terrorism.

Some climate change can always be attributed to natural cycles and disturbances in the Earth’s climate system, but we cannot explain the general warming trend over the last century without invoking human-induced effects. For instance, researchers from the United Kingdom’s Hadley Centre modeled the effects on climate of such factors as volcanic eruptions and changes in solar output and compared these with the effects of additional greenhouse gases emitted through the burning of fossil fuels, land-use change, and industrial processes. Only the forcing from increasing greenhouse gas and aerosol concentrations could explain the general upward trend in temperature over the past 150 years.

In less than 200 years, human activity has increased the atmospheric concentration of greenhouse gases by some 50% relative to preindustrial levels. At about 372 ppm, today’s atmospheric carbon dioxide level is higher than at any time in at least the past 420,000 years. Owing to the inertia of the climate system, it is already too late to stop any further warming from occurring. However, if we could stabilize the atmosphere’s carbon dioxide concentration at some realistically achievable and relatively low level, there is still a good chance of mitigating the worst effects of climate change. For instance, current models suggest that stabilizing carbon dioxide levels at around 550 ppm by 2100 could reduce flooding frequency by some 80 to 90% along the most vulnerable parts of the Indian and Bangladesh coastlines, as compared with a scenario of continuing growth in consumption of fossil fuels.

To begin to assess risks and potential responses in the United


Kingdom, I convened a team of national experts to investigate the specific threat of increased flooding and coastline vulnerabilities that the we are likely to face from global warming. The panel considered a period from 30 to 100 years into the future and used climate change scenarios published by the Tyndall Centre and based on the Hadley Centre models. Four scenarios were presented, ranging from low to high emissions. Socioeconomic scenarios were developed by researchers at the University of Sussex for the U.K. Office of Science and Technology and represented (among other policy differences) different levels of government intervention in emissions control.

The researchers concluded that a combination of sea-level rise and increased storminess will allow storm surges to reach much further inland, so that Britain’s coastal defenses will be subjected both to higher water levels and to more energetic wave attack. If we assume continuation of existing shoreline management strategies, these combined effects have the potential to increase risk of floods in 2080 by up to 30 times present levels. In the highest emission scenario, by 2080, flood levels that are now expected only once in 100 years could be recurring every 3 years. Also in the worst-case scenario, the number of people at “high” risk of flooding in Britain will more than double to nearly 3.5 million. Potential economic damage to properties runs into tens of billions of pounds per annum. Under the current insurance market, properties in many flood plain areas would be uninsurable.

There is also potential for serious increases in coastal erosion. The coastline of England and Wales totals approximately 3700 km, two-thirds of which could experience significant erosion. A totally noninterventionist strategy with regard to greenhouse gas emissions and shoreline management would lead to erosion 9 times more severe than the present day.

I have commissioned a new team to consider ways that the United Kingdom can attempt to mitigate this threat, and they are due to report early in 2004. But we already know that the costs of adapting to such a worst-case scenario would be enormous.

The U.K.’s Flood and Coastal Defences Report is a single case study, considering some of the effects of global warming in just one part of the world. As a consequence of continued warming, millions more people around the world may in future be exposed to the risk of hunger, drought, flooding, and debilitating diseases such as malaria. Poor people in developing countries are likely to be most vulnerable. For instance by
2080, if we assume continuing growth rates in consumption of fossil fuels, the numbers of additional people exposed to frequent flooding in the river delta areas such as the Nile, the Mekong, and Bangladesh, and from coastline cities and villages of India, Japan, and the Philippines, would be counted in hundreds of millions assuming no adaptation measures were implemented.

The United Kingdom is now seeking international commitment to reduce carbon dioxide and other greenhouse


gas emissions worldwide under the framework of the United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Our ambition is for the world’s developed economies to cut emissions of greenhouse gases by 60% from 1990 levels by around 2050. The British government has already committed to reducing the country’s emissions by this figure over this time scale. Delaying action for decades, or even just years, is not a serious option. I am firmly convinced that if we do not begin now, more substantial, more disruptive, and more expensive change will be needed later on. We need early, well-planned action, for example, to allow businesses to plan to act in the course of normal capital replacement cycles and to encourage the development of new energy technologies.

We in the United Kingdom intend to achieve our emissions cuts by reducing the amount of energy we consume and by substantially increasing our use of renewable energy resources. Though our target for emissions reduction sounds ambitious, we have calculated that it will not have a serious impact on the U.K. economy. This analysis must be treated with a certain amount of caution–it requires projection long into the future and is naturally sensitive to the initial assumptions. But, in agreement with our analysis, an extensive review by the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) suggests that stabilizing atmospheric carbon dioxide at 550 ppm would lead to an average gross domestic product (GDP) loss for developed countries by
2050 of only around 1%. This figure should be more than offset by the reduction from the risks, for example, of flooding associated with climate change. For instance, if just one flood broke through the Thames Barrier today, it would cost about £30 billion in damage to London, roughly 2% of the current U.K. GDP.

Moreover, it’s a myth that reducing carbon emissions necessarily makes us poorer. Taking action to tackle climate change can create economic opportunities and higher living standards. Between 1990 and 2000, Great Britain’s economy grew by 30%, employment increased by 4.8%, and our greenhouse gas emissions intensity fell by 30%; our overall emissions fell by 12%. And this example does not simply apply to industrialized nations. Between 1990 and 2000, the Chinese economy grew by over 60% yet their emissions intensity fell. Europe, Japan, and the United States contain the vast majority of the world’s scientific and technological capacity, and it is in our own interest to help developing countries leapfrog into non-carbon emissions technologies by creating new products and services.

As the world’s only remaining superpower, the United States is accustomed to leading internationally coordinated action. But at present, the U.S. government is failing to take up the challenge of global warming. The president has recently published a report saying that more research is needed. New research will clearly be beneficial, but not because of doubt about what is driving global warming. Understanding in greater detail the response of our complex climate system to human interventions will


help countries and businesses adapt to the climate change that is inevitable and help target investment where it is most needed. But we already know enough about the problem to agree on the urgent need to address it.

The Bush Administration’s current strategy relies largely on market-based incentives and voluntary actions. The market will certainly be valuable for choosing among mitigation approaches. We need to investigate all means of reducing atmospheric carbon dioxide: sequestration, fusion, fuel cells, renewables, and so on. But the market cannot decide that mitigation is necessary, nor can it establish the basic international framework in which all actors can take their place. That requires a political decision based on sound scientific evidence, and the U.K. government firmly believes the time to make that decision is now.

Although the U.S. government has declared support for the objectives and activities of the UNFCCC, it has refused to countenance any remedial action now or in the future, and it failed to ratify the Kyoto accord for emissions reductions. The Kyoto Protocol has been criticized repeatedly on the basis that its targets are too low to have a significant impact. However, the point of the Kyoto Protocol was to set up an international process whose scope could then be ratcheted up. As well as emissions targets, Kyoto provides a detailed economic process that puts a value on not emitting carbon dioxide and enables countries to trade carbon emissions. Europe has already set up a preliminary emissions trading market that will be operating by 2005–putting us ahead of the game for when global trading commences, as it surely will. If Russia ratifies Kyoto, the first steps toward trading will immediately come into force. With or without U.S. participation, this will be a very significant market, eventually worth trillions of dollars.

New discussions are about to start under the auspices of the UNFCCC to tackle climate change beyond 2008-12. Future agreements about emissions control do not need to follow the exact pattern of Kyoto–alternative ideas are always welcome at the international table, indeed, they will be needed. But any alternative would need to accept that immediate action is required and would need to involve all countries in tackling what is a truly global problem. And developing countries would need to be brought into the process as part of a North-South science and technology capacity-building exercise embedded in a framework that recognizes that issues of justice and equity lie at the heart of the climate change problem.

Climate change is no respecter of national boundaries. We in Great Britain are attempting to show leadership, and many other countries, including some of our European partners, are also in the vanguard. But we cannot solve the problem in isolation. The United Kingdom is responsible for only around 2% of world’s emissions, the United States for more than 20% (although it contains only 4% of world’s population).

The United States is already in the forefront of


the science and technology of global change, and the next step is surely to tackle emissions control too. We can only overcome this challenge by facing it together, shoulder to shoulder. We in the rest of the world are now looking to the U.S.A. to play its leading part.

Il test olfattivo per l’auto-riconoscimento conferma: i cani hanno coscienza di sé!

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Una nuova ricerca ha utilizzato l’approccio alternativo al «test dello specchio» per confermare l’ipotesi di autocognizione nei cani proposta dal prof. Roberto Cazzolla Gatti

I tipi di dune

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Per piazzarci i nostri ombrelloni spesso arriviamo a smantellare le stesse dune embrionali; abbiamo privato il sistema, che vive, dei suoi primi strati esterni e protettivi nei confronti di quelli interni. Un po’ come una cellula che si dota di pareti, membrane, senza delle quali nucleo e citoplasma sono direttamente esposti alla distruzione. Privandolo del primo tassello (spiaggia asciutta), e poi del secondo (dune embrionali) e poi del terzo (dune mobili) la mareggiata può direttamente attaccare (ecco l’erosione), senza incontrare nessuna azione frenante, il tassello che segue: la duna fissa, un altro tassello pulsante del sistema spiaggia. E se non arriva il mare c’è il vento a seppellire di sabbia quest’altra fascia (deflazione eolica), fenomeno, altrettanto destrutturante quanto l’erosione.

Nella duna fissa, la sabbia (di qui il nome) è imbrigliata e fissata appunto da una fittissima rete di apparati radicali, questa volta di piante perenni (e non in genere annuali come negli altri) come arbusti di ginepro coccolone (Juniperus macrocarpa) e ginepro fenicio (Juniperus turbinata). Siamo nella boscaglia costiera, resa più intricata da lentisco (Pistacia lentiscus), fillirea (Phyllirea sp.), stracciabraghe (Smilax aspera) che si è potuto strutturare e perché tutti i tasselli antistanti hanno reso la sabbia gradualmente sempre più fissa e stabile.

Questo tratto può avere sviluppi estesi essendo riparata dai venti (dune mobili e fisse) e più umida e dovrebbe consentire lo sviluppo di un bosco a leccio (foresta mediterranea); nelle fasce retrodunali si realizzano inoltre depressioni ove si hanno accumuli di acqua salmastra (stagni retrodunali) con altre comunità di piante.

Che cosa sono le caldere

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Quando viene eruttata una grande quantità di magma in breve tempo, il serbatoio nel quale il magma era accumulato prima dell’eruzione (camera magmatica) si trova in parte svuotato e le rocce che vi stanno intorno possono fratturarsi e crollarvi dentro. Lo sprofondamento delle rocce all’interno della camera magmatica può propagarsi verso l’alto, fino a formare in superficie estese depressioni che prendono il nome di caldere. Alcuni vulcani hanno i fianchi incisi da profonde depressioni a forma di anfiteatro, aperte all’estremità inferiore. In questi casi le frane asportano interi settori dell’edificio vulcanico creando depressioni tipiche a forma di ventaglio che si possono estendere anche fino alla base del vulcano. Le caldere, in tali casi, vengono definite «caldere da frana». Alcune caldere hanno un rigonfiamento a forma di cupola nella parte centrale e sono chiamate caldere risorgenti. Il rigonfiamento è provocato da duomi lavici che si formano appena sotto la superficie per la risalita di nuovo magma. Il sollevamento può evolvere e arrivare a una o più fasi eruttive, seguite da un ulteriore collasso.

La Storia a ritroso

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Proponiamo l’accostamento alla ricerca storica seguendo un iter a ritroso, dall’effetto alle cause. I ragazzi e i giovani vivono nella contemporaneità … è indispensabile vivere il presente e camminare insieme alla riscoperta del passato. Non succederebbe mai che discepoli degli ultimi anni non abbiano trovato le ragioni del presente per il quale vivono, credono e per il quale scelgono.

Immaginiamo lo studio della Storia a cominciare dalla storia, dalla istorìa cioè dalla ricerca sul divenire dell’essere che «è» in quanto sarà e si fa futuro … In verità il futuro ha più spinte esistenziali del passato: questo non va dimenticato, per esso va fatta la ricerca, la istorìa che ci spiega il presente. Pensiamo alle ultime classi degli istituti in cui si giunge, alla fine dell’anno scolastico, a lambire appena gli inizi del 900! L’Utopia che è il senso verso cui si muove la storia, come tutte le storie individuali, è nel futuro: un appuntamento inderogabile a cui le nuove generazioni sono sempre chiamate. Ma i nostri testi scolastici sono privi di metastoria: essi catalogano, riesumano morti ma non si spendono più di tanto per la progettazione del futuro.

I mutamenti sociali, veloci e frantumati, alimentano occidente e oriente, il nord e il sud del mondo. La scuola non è al di là di questo crocevia, è nel vivo dell’intersecarsi delle esperienze con l’interpretazione.

Impostando l’insegnamento della storia secondo il metodo a ritroso dall’effetto alla causa abbiamo notato la partecipazione degli alunni viva e vivace: essi hanno avuto l’opportunità di «rileggere» l’attualità nella durata di tutto l’anno scolastico con l’atteggiamento del ricercare per capire, e così aveva un senso il ricordare. La didattica diventa metodologia culturale: lo standard era superabile.

Esemplifichiamo un percorso:

  1. Partiamo dalla conoscenza del sistema elettorale italiano e dal dettato Costituzionale: come non chiedersi il perché della Costituzione «questa»? la sua origine riporta alla conclusione del II conflitto mondiale;
  2. L’indagine richiama il campo delle cause, degli squilibri scatenati, a loro volta effetti provocati dalle cause che ci riportano ad altro precedente campo di crisi e di revocazioni che impegnavano l’Italia e l’Europa fin dalla prima metà del 900;
  3. La ricerca sull’Unità d’Italia, inserita nel contesto generale, fa risalire ai motivi scatenanti.

 

Francesco Sofia

La Wicca

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Nel 1920 l’archeologa Margaret Murray pubblica due libri di successo «The Witch Cult in Western Europe» e «The God of the Witchess». L’ipotesi di Murray era che le streghe europee erano parte di una linea sopravvissuta al folclore magico.

Nel 1949, l’inglese Gerarld Gardner pubblica una fiction «High Magic’s Aid» e successivamente un libro di successo «Wittchcraft Today» che descrive, come se fossero reali, il mondo Wicca e le sua pratiche esotiche.
Oggigiorno si riconoscono varie correnti Wicca, soprattutto nel Nord America: Alessandriana, fondata da Alex Sanders, usa la nudità rituale nelle cerimonie ed adotta rituali molto complessi; British Traditional Wicca, trae origine da Gerald Gardner e Alex e Maxine Sanders; Celtica, focalizzata sul Panteon degli dei e delle pratiche druidiche delle isola britanniche; di Diana, focalizza la superiorità della donna; Eclettica, aperta a varie fedi di cui assorbe rituali e filosofie; Gardneriana, fondata da Gardner, è una delle più diffuse nel Nordamerica, focalizzano il culto del dio e della dea riconoscendo alla dea la maggiore importanza; Giorgiana, fondata nel 1971 in California da Gorge Patterson incoraggia gli adepti agli studi magici; Wicca ereditaria, tramandata oralmente nell’ambito della stessa famiglia; Mohsian tradizionale, fondata nel 1960 come una tradizione americana eclettica che si rifà alla Gardenaria ed allo shamamismo europeo, con influenze celtiche; Stregoneria tradizionale, fondata da un italo-americano, Raven Grimassi, perpetua la tradizione della stregoneria italiana.
La Wicca può essere definita come una sorta di nuova religione magica neopagana che si basa sul culto della dea e del dio dotati di corna, fondata da Gardner nel 1947 (11). Vi sarebbero ricomprese, inoltre, alcune correnti femministe che adorano esclusivamente la dea (quasi tutti gli adepti della Wicca sono infatti donne) (12).
La religione ha introdotto il concetto dell’autoiniziazione; una novità nell’universo magico esoterico. Un neoadepto può entrarvi a far parte mediante un rito di iniziazione solitario (13). Molto importante nella Wicca è anche l’esaltazione della figura e del ruolo della «strega» intesa come adepta della dea dalla quale riceve i poteri magici. Altri importanti precetti sono: la credenza nella reincarnazione; l’importanza della magia e dell’astrologia; la convinzione che il mondo sia stato creato dalla dea e non da una divinità maschile; la credenza nell’esistenza di fate, gnomi, ed elfi; la convinzione che le donne sono superiori agli uomini in quanto sono gli esseri più vicini alla perfezione della dea; l’accettazione e l’esaltazione dei rapporti lesbici.
La Wicca sembra aver ottenuto un grande successo negli ultimi 20-30 anni. Dal momento che molti wiccan mantengono segreta la loro appartenenza a tale religione e poiché esiste anche il rituale dell’autoiniziazione, il numero reale dei wiccan è probabilmente superiore a quello riportato nelle statistiche ufficiali (13). Il Pellegrino, cercando di dare una spiegazione sociologica dell’aumento del numero dei wiccan, sottolinea la presenza di una costellazione di fattori psicosociali, quali: il grande interesse per la magia e per l’astrologia; il ruolo di Internet (molti sono i siti della Wicca); il grande spazio che in molte nazioni i mass-media dedicano alla Wicca; il numero crescente di libri dedicati; il soggettivismo religioso; la presenza di tematiche femministe, ecologiste; il desiderio di avere contatti con la dimensione soprannaturale senza accettare limitazioni di carattere morale; il ritorno di una mentalità chiaramente neopagana. Da sempre propellenti in grado di scatenare tali processi sono l’uso magico dell’erotismo, o magia sessuale e l’assunzione controllata di droghe.
I wikka coltivano l’aromaterapia mediante l’uso di miscele di oli con l’intento di ridurre lo stress e l’ansietà.

 

Erbalismo Wicca

L’amore della natura unito al rispetto degli antichi culti ha fatto sì che i Wicca inserissero nei loro rituali magici e nelle loro pratiche curative le piante aromatiche, officinali e le piante considerate sacre nelle antiche religioni.
Numerosissime sono le piante adoperate dai Wikka nelle loro pratiche rituali. Di seguito sono riportate le più comuni piante adoperate e l’uso magico delle stesse, tralasciando gli effetti farmacologici, pur da loro presentate.
È da considerare però che l’uso improprio e l’assunzione di talune piante può portare tuttavia ad una serie di effetti, anche molto diversi fra loro serie intossicazioni.

Di seguito è riportato in breve il significato magico delle piante adoperate nei rituali wicca rinviando ad altro momento il rituale del loro uso attuale e nell’antichità.

Acacia (Gomma arabica), usata per purificare.
Alloro, per le visioni, chiaroveggenza e profezie.
Artemisia vulgaris, posta nel cuscino facilita sogni profetici.
Atropa (Atropa Mandragora), come amuleto per protezione. Il thé preparato con le radice produce allucinazioni.
Basilico, per la fedeltà.
Bardana, protegge, dona ricchezza.
Benzoino, la resina è bruciata per favorire un lavoro astrale.
Boswellia (Frankincese, Incenso), la resina è bruciata per purificare un area e dare protezione.
Cacao, come afrodisiaco, euforico, contro la depressione, riavvicina l’amato.
Camomilla, usata nei rituali per dare pace e rilassamento.
Cedro del Libano, per la purificazione, la ricchezza e la protezione.
Cicuta (Conium maculatum), assiste nelle pratiche astrali e nelle pratiche di purificazione rituale.
Finocchio selvatico, usato per allontanare le energie negative.
Ortica, l’erba seccata è usata come amuleto per rimuovere una maledizione e rinviarla indietro. Cosparsa intorno alla casa tiene il male. Una delle nove erbe sacre della cultura anglosassone.
Sandalo (Sandalo citrino), bruciato come un incenso aumenta le capacità nelle pratiche magiche e nella divinazione e nel lavoro con gli spiriti.
Timo, contro la tristezza e per attirare l’amore.
Verbena, viene adoperata nella divinazione e nella profezia.

– La Santeria

Il Protocollo di Nagoya

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Non è solo il più recente accordo complementare alla Cbd, ma fornisce un quadro giuridico trasparente per l’effettiva attuazione di uno dei tre obiettivi della Convenzione: la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche (Cbd, Art. 1).

Questo obiettivo è di particolare importanza per i Paesi in via di sviluppo, in quanto essi detengono la maggior parte della diversità biologica mondiale ma, in generale, non ottengono una quota equa dei benefici economici derivanti dall’uso delle loro risorse per lo sviluppo di prodotti derivante dalla diversità genetica, quali varietà coltivate ad alto rendimento, prodotti farmaceutici e cosmetici.

Un tale sistema riduce l’incentivo per i paesi biologicamente più ricchi, ma economicamente più poveri del mondo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le loro risorse per il beneficio di tutti. La condivisione dei benefici deve essere basata su condizioni reciprocamente concordate nel Protocollo di Nagoya (2014).

Le risorse genetiche vegetali, animali, microbiche, terrestri e marine e l’uso delle biotecnologie sono oggi alla base di molte attività di ricerca di base e applicata e sono fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti in svariati settori. Considerevole è la richiesta di accesso a risorse genetiche che proviene dal mondo della ricerca accademica, di laboratorio, dalle industrie biotecnologiche, farmaceutiche e cosmetiche o dall’agricoltura.

Nel 2010 la Conferenza delle Parti della Cbd ha approvato il Global Strategic Plan, la strategia mondiale per la tutela della biodiversità per il periodo 2011-2020. Il piano prevede 20 obiettivi, suddivisi in 56 indicatori, nel complesso noti come Aichi Biodiversity Targets, i quali stabiliscono il quadro di riferimento per la definizione di target nazionali o regionali e per promuovere gli obiettivi fondamentali della Cbd.

Purtroppo, l’ultima edizione del Global Biodiversity Outlook dell’Onu ci dice che, quando mancano meno di tre anni alla scadenza del decennio d’impegno, gran parte degli sforzi internazionali per raggiungere gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità stanno fallendo miseramente e che se non si cambia passo gran parte delle nazioni non riusciranno a raggiungere gli obiettivi.

Dei 56 indicatori, solo 5 sono sulla buona strada per il 2020; 33 segnalano qualche progresso, ma a un tasso insoddisfacente per raggiungere l’obiettivo previsto, 10 non mostrano alcun progresso, mentre 5 mostrano addirittura un peggioramento e 3 non sono stati valutati. Un raggio di luce è il cammino verso l’obiettivo di raggiungere il 17% di protezione rispetto alla superficie terrestre totale, che sarà presumibilmente raggiunto. Ma alcuni scienziati sostengono che almeno metà della superficie terrestre dovrebbe essere riservata alla natura.

In base alle attuali tendenze, le pressioni sulla biodiversità continueranno ad aumentare almeno fino al 2020 e lo stato della biodiversità continuerà a diminuire. Tutto questo, nonostante il fatto che le risposte della società alla perdita di biodiversità stiano aumentando significativamente e che, sulla base di piani e impegni nazionali, si prevede che continueranno ad aumentare per il resto di questo decennio. Questo ritardo può essere in parte dovuto al ritardo temporale tra l’assunzione di azioni positive e risultati positivi percepibili. Ma potrebbe anche essere dovuto al fatto che le risposte sono insufficienti in relazione alle pressioni, tali da non poter superare gli impatti crescenti dei fattori che causano la perdita di biodiversità.

Ciascuno degli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità non può essere affrontato isolatamente, poiché alcuni obiettivi dipendono fortemente da altri obiettivi raggiunti. Le azioni verso determinati obiettivi avranno un’influenza particolarmente forte sulla realizzazione del resto. In particolare, vi sono obiettivi relativi alla risoluzione delle cause alla base della perdita di biodiversità (in genere gli obiettivi nell’ambito dell’obiettivo strategico A), lo sviluppo di quadri nazionali per l’attuazione degli obiettivi di biodiversità Aichi (obiettivo 17) e la mobilitazione delle risorse finanziarie (obiettivo 20).

Proseguire gli sforzi avviati per gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità contribuirebbe in modo significativo a raggiungere anche gli Obiettivi SDGs (Sustainable Development Goals) per lo Sviluppo Sostenibile, come ridurre la fame e la povertà, migliorare la salute umana e assicurare un approvvigionamento sostenibile di energia, cibo e acqua pulita. Aver incorporato la biodiversità negli obiettivi di sviluppo sostenibile ha offerto l’opportunità di portare la biodiversità nella corrente principale del processo decisionale.

Esistono percorsi plausibili per raggiungere la visione del 2050 per la fine della perdita di biodiversità, in concomitanza con i principali obiettivi di sviluppo umano, limitando il riscaldamento climatico a due gradi Celsius e combattendo la desertificazione e il degrado del suolo. Tuttavia, il raggiungimento di questi obiettivi congiunti richiede cambiamenti radicali nella società, incluso un uso molto più efficiente del territorio e del suolo, dell’acqua, dell’energia e delle risorse naturali, ripensando le nostre abitudini di consumo e in particolare i sistemi alimentari dominanti.

(Fonte Ispra)

Il Voodoo o Vudù

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Vodun, conosciuto anche come Voodoo, Hoodoo o Vudù, ebbe origine e fu inizialmente praticato negli ambienti caraibici dell’isola di Haiti, ma si estese poi in tutta la regione caraibica, incluse la Giamaica e Trinidad. I fondamenti sono le religioni Yoruba originarie dell’Africa Occidentale, che gli schiavi portarono con sé ad Haiti. Il termine Vodun deriva da Vodu, che significa «spirito» o «divinità» nell’antico linguaggio dei Dahomey (16).

Ad Haiti, le credenze africane Yoruba si mescolarono ben presto alle credenze cattoliche degli abitanti francesi dominanti, per formare una religione sincretica, il Vudù. I bianchi proibivano agli schiavi l’esercizio della loro religione e li battezzavano come cattolici. Al cattolicesimo imposto con la forza e la violenza i nativi risposero praticando i loro riti e le loro credenze in segreto. Divinità tribali, o Loa, presero quindi forme di santi cattolici. I fedeli stessi percepirono questo mutamento come un arricchimento e progresso della loro fede ed inclusero nei loro rituali statue cattoliche, candele e reliquie sacre. Ancora largamente praticata ad Haiti, il Vudù è migrato quindi in molte altre parti del mondo, soprattutto nel Nordamerica; folte comunità esistono a New Orleans, Miami e New York. Ognuna di queste comunità ha generato quindi nuove evoluzioni di Vudù. Si stima che in tutto il mondo si potrebbero contare attualmente anche cinquanta milioni di seguaci.
Il Vudù è caratterizzato prima di tutto da una fede nei Loa. I devoti credono che tutte le cose servono i Loa e così, per definizione, sono espressioni ed estensioni della divinità. I Loa sono molto attivi nel mondo e spesso «possiedono» letteralmente i devoti durante i rituali, durante i quali i fedeli fanno loro delle offerte per nutrirli, ma anche per evocarli per aiuti o fortune. I praticanti si riuniscono in una comunità, chiamata Société. Questa si riunisce attorno ad un Hounfort, dove sono eseguiti i rituali da un sacerdote o una sacerdotessa, chiamati rispettivamente Houngan e Mambo. Le Sociétés sono molto compatte e garantiscono una struttura organizzativa centrale alle piccole comunità ad Haiti.
Essendo una religione molto malleabile, le credenze e le pratiche Vudù possono variare enormemente da comunità a comunità anche nella stessa Haiti. Diversamente da molte altre religioni Caraibiche basate sulla originale religione africana Yoruba, il Vudù ha un sistema di credenze molto ampie e altamente sviluppate, legate alla parte «oscura» dei Loa e degli esseri umani.
È praticata anche la magia nera da sacerdoti chiamati Bokor e da società segrete che si sono allontanate dalle principali comunità Vudù. Pozioni, erbe, droghe, funghi, hanno la funzione non solo di consentire di raggiungere l’estasi, la trance, ma anche di tenere sotto controllo i seguaci e sottometterli. Nella iniziazione Rites of Passage (17), viene eseguita sugli adepti una «incisione», che diventa quindi elemento di riconoscimento, sulla quale, in cambio di offerte, vengono strofinate piante secche danno la protezione della divinità. Il sacerdote esegue quindi una serie di operazioni magiche che includono l’uso di polveri che contengono farmaci e resti di animali come il pesce palla (che contiene tetradotossina, veleno paralizzante estremamente tossico), molluschi gasteropodi della famiglia dei Conidi, ed il rospo (che contengono bufotenina e serotonina, potenti allucinogeni). Sono queste le «polveri» che creano lo stato di zombie, uno stato catatonico durante il quale il battito cardiaco della vittima cala drasticamente.
Le piante utilizzate per costruire il Baridda (ciò che spazza via la malattia) sono costituite invece da limoni, uova o fiori. La Florida Water (L’Acqua Florida) (17), sostanza usata nei riti di purificazione, è in realtà un «profumo» costituito da vari oli floreali e alcool.
L’uso di erbe medicinali (Plantas Medicinales) costituisce la tecnica curativa primaria usata dal Curandero. La conoscenza specialistica delle erbe consente di utilizzarle non solo a scopo curativo, ma anche come piante magiche, capaci di fornire energia e vibrazioni.
Le piante adoperate nei rimedi domestici Remedios Caseros vengono adoperate con infusi, polveri, oli e persino saponi. Fra questi è noto l’uso dell’estratto della ruta, pianta abortiva che stimola l’utero provocando l’espulsione del prodotto del concepimento, ma anche tossica per il sistema nervoso, i reni ed il fegato della madre. Aborti con decesso anche della madre per assunzione di decotti di Ruta, Sabina e Prezzemolo (che contiene apiolo) sono stati osservati nel meridione d’Italia sino agli anni Settanta.

– Lo Sciamanesimo e Curanderismo

Religione, magia e religioni magiche. Viaggio nella profondità dell’io

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I movimenti magici pur avendo poche migliaia di aderenti in Italia, rappresentano tuttavia la punta di un iceberg che ha dimensioni molto più vaste: il cosiddetto «ritorno della magia», che porta numerosissime persone a rivolgersi a maghi a pagamento, indovini, cartomanti, ed a credere nell’efficacia delle pratiche magiche. Anche il rinnovato interesse per la magia è un sintomo della crisi della modernità e del passaggio al postmoderno. Alla fine del secolo scorso lo studio del successo relativo di alcuni nuovi movimenti religiosi (e del declino di altri) ci indica quali sono le credenze «alternative» più diffuse oggi: un’attesa ansiosa della fine del mondo, la speranza che dopo la morte ci sia un’«altra possibilità» con la reincarnazione (tipica dei movimenti orientali), una «spiritualità del Sé» dove l’uomo non è più creatura ma creatore (che incontriamo in alcuni gruppi), e anche un complesso insieme di credenze magiche. Se gli aderenti ai movimenti magici organizzati sono pochi, in Italia più di un giovane su cinque dichiara di avere partecipato a sedute spiritiche, oppure crede nell’efficacia della magia e nella possibilità di comunicare con l’aldilà. Quell’uno per cento che appartiene ai nuovi movimenti religiosi ci dice allora molte cose su quali credenze, paure, fantasmi vivono in quel Far West della religione costituito dal cinquantasei per cento degli italiani, che dichiarano di credere ma non sanno o non vogliono precisare in che cosa credono.

Il pensiero della Chiesa. Le nuove religioni hanno apportato ai grandi concetti del cristianesimo profonde sostituzioni: 1) l’illuminazione interiore prende il posto della fede che è obbedienza di tutto il nostro essere a Dio; 2) la liberazione del proprio potenziale creativo prende il posto della salvezza; 3) la preghiera si trasforma in un viaggio nelle profondità dell’io; 4) una «vaga armonia» con l’universo rimpiazza il richiamo concreto all’impegno sociale; 5) la teologia è spodestata dalla psicologia o dalla teosofia; 6) la rivelazione si trova più nel cuore della persona che nella storia. Tutto questo può servire a «sentirsi meglio» per qualche tempo. Ma non dà valide risposte a problemi tragici quali la sofferenza, la morte, né a condurre all’amore, alla vera gioia, alla pace profonda» (Card. Paul Poupard, in Jesus, ottobre 1993, pp.118-119).

Obiettivo del presente lavoro è tuttavia quello di segnalare le «religioni magiche» oggi esistenti ed evidenziare, quando presente, l’impiego di sostanze tossiche o psicotrope e descrivere infine le piante «vietate» che possono essere adoperate o somministrate agli adepti.

Per molto tempo magia e religione sono convissute mutuando e rivisitando scambievolmente rituali e pratiche. James Frazer (1) nel suo saggio «The golden bough» (Il ramo d’oro) sostiene che l’evoluzione dell’uomo è passata attraverso tre fasi: magia, religione e scienza. Quando l’uomo, agli albori della civiltà, non riusciva a dare un senso ai fenomeni della natura ha cercato di spiegarli dapprima con la magia, poi, nel corso dell’evoluzione, con la religione e, infine, nell’età moderna, con la scienza. Dunque magia, religione e scienza sono legate tra loro da un filo comune: l’uomo e la fragilità del suo essere al mondo.
Il termine magia rimanda a saperi, conoscenze, tematiche attraverso cui poter influenzare gli eventi naturali che sovrastano l’uomo; dominare i fenomeni fisici che sfuggono al suo controllo; dominare l’uomo stesso. L’etimologia del vocabolo «magia» (in greco Mαγεία) rimanda d’altronde al termine con cui venivano indicati i «magi» (Mάγοι), gli antichi sacerdoti Zoroastriani (2).
La magia sembra accompagnare l’uomo nelle sue diverse epoche storiche, da quelle meno evolute fino ai giorni nostri. Ricorrono a pratiche magiche sia classi sociali più svantaggiate, per le quali la magia potrebbe costituire un surrogato simbolico che soddisfi i bisogni primari frustrati, sia classi sociali più privilegiate, per le quali potrebbe costituire corollario delle proprie aspirazioni di controllo e di dominio (3).
Magia e religione si pongono entrambe di fronte al mistero della creazione e della esistenza della divinità, cercando di fornire risposte esaustive. Talvolta, non è facile tracciare una separazione netta fra magia e religione: spesso esse si fondano fino a creare rituali e gesti comuni ancora oggi in uso. Rituali, rintracciabili sin dall’antichità nelle diverse chiese e confessioni e sovente usati ancora oggi.
Sostanzialmente sovrapponibili i sentimenti sottesi: la paura, il desiderio di dominare gli eventi naturali o quello di facilitare le difficoltà della vita quotidiana (rituali per la caccia, la pioggia, i raccolti; un dio che interceda e garantisca prosperità). Riti che presuppongono officianti in grado di realizzarli in maniera efficace: il sacerdote del culto, o il «mago», che spesso sostiene di entrare in contatto con il soprannaturale, con il divino, ricorrendo a rituali e formule magiche.
Parte integrante del rito, a volte ritenuta fondamentale per raggiungere l’entità invocata, è l’uso di «sostanze» in grado di avvicinare l’officiante e, tramite lui i partecipanti, alla divinità superiore (4). Nelle culture prescientifiche del Terzo Mondo, ad esempio, le sostanze vengono utilizzate per entrare in contatto con le forze sovrannaturali, per porsi sotto la loro protezione, ma anche per favorire il raggiungimento di fini particolari come, per es., guarire delle malattie, pronosticare il futuro, proteggersi da sortilegi o da nemici dell’intera comunità (5). Questo è vero soprattutto nel caso delle «religioni magiche»; sono religioni, perché il divino è correttamente concepito come onnipotente o trascendente in rapporto al mondo e all’uomo, ma sono magiche nella misura in cui le finalità che si prefiggono restano immanenti al mondo. Inoltre, l’uso rituale di piante psicoattive, presenti in diversi riti, contribuiscono probabilmente a rinsaldare il rapporto tra l’officiante e gli adepti, provocando peraltro, in alcuni casi, effetti di cui gli adepti potrebbero non essere consapevoli. Di qui il dubbio che siano proprio i diversi effetti sulla psiche quelli ricercati nella scelta ed utilizzo delle sostanze all’interno di riti da parte degli officianti.

– L’uso di «sostanze» nelle antiche religioni

Che cos’è e che fa l’Ipcc

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L’Ipcc è un organismo delle Nazioni Unite, istituito nel 1988 dalla Organizzazione Mondiale per la Meteorologia (World Meteorological Organization ? Wmo) e dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UN Environment Programme ? Unep), allo scopo di fornire ai politici una valutazione obiettiva e corretta della letteratura tecnico-scientifica e socio-economica disponibile in materia dei cambiamenti climatici, impatti, adattamento e mitigazione.

L’Ipcc è strutturato in tre Gruppi di lavoro (Working Group ? Wg) ed una Task Force:
Il Gruppo di Lavoro I (Wg1) si occupa delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici (osservazioni strumentali, osservazioni indirette e proiezioni climatiche con modelli e scenari);
Il Gruppo di lavoro II (WgII) si occupa della vulnerabilità dei sistemi naturali ed umani, degli impatti dei cambiamenti climatici su essi e delle opzioni di adattamento;
Il Gruppo di Lavoro III (WgIII) si occupa della mitigazione dei cambiamenti climatici (in altre parole della analisi dei diversi scenari di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra);
la Task Force ha ad oggetto gli Inventari Nazionali dei gas ad effetto serra.

L’attività principale dell’Ipcc è quella di realizzare ogni sei anni i Rapporti di Valutazione scientifica sullo stato delle conoscenze nel campo dei cambiamenti climatici, i Rapporti Speciali e gli Articoli Tecnici su argomenti ritenuti di particolare interesse scientifico. E’ importante ricordare che l’Ipcc è l’organismo ufficiale che fornisce l’informazione scientifica per le deliberazioni della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (Un Framework Convention on Climate Change ? Unfccc).

(Fonte Focal Point dell’Ipcc per l’Italia)

Предисловие к русскому изданию

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В книге итальянского биолога-исследователя, доктора Роберто Каццолла Гатти «Биоразнообразие: теоретические основы» изложены современные представления о причинах, эволюции и значении многообразия форм живых организмов на планете Земля, а также механизмах, способствующих его поддержанию. Отдельное внимание автор уделяет вопросам антропогенного влияния на биоразнообразие, особенно в связи с экономическим ростом. В книге обсуждаются последствия этого влияния, уже имеющие место и возможные в будущем. Рассмотрена проблема сохранения видов и возможные пути ее решения. Материалы, представленные в книге, являются частью лекционного курса Роберто Каццолла Гатти «Биоразнообразие», а также массового открытого онлайн-курса «Biological Diversity: Theories, Measures and Data sampling techniques».

Книга содержит пять глав, в каждой из которых последовательно представлены теоретические аспекты закономерностей существования разнообразия живых организмов на Земле и поддержания этой сложной динамичной системы в состоянии равновесия. Следует отметить строгую системность материала, прекрасное использование автором математических моделей и понятий для интерпретации сложных процессов эволюции и сосуществования видов, а также оригинальный взгляд автора на некоторые движущие силы эволюции. Во второй главе представлен новый подход для объяснения реальных уровней биоразнообразия и сосуществования видов. Автор склоняется к идее чрезвычайной важности стратегии сотрудничества для выживания видов и увеличения их разнообразия. Интересна также фрактальная модель биоразнообразия (модель «цветной капусты»), представленная в четвертой главе. Нельзя не отметить глобальный масштаб проблем, которые затрагивает автор, при этом он предлагает конкретные пути их решения, как на уровне отдельных экосистем, так и на межгосударственном уровне.
Данная книга будет полезна не только студентам, аспирантам и специалистам в области биологии и экологии, занимающимся вопросами изучения, оценки и сохранения биологического разнообразия в природных экосистемах, но также широкому кругу читателей, интересующихся вопросами охраны окружающей среды. Материал, представленный в книге, способствует более глубокому пониманию эволюционных процессов в природе и механизмов влияния на них человеческой деятельности, экономического роста, а также выявляет место самого человека в сложной системе биоразнообразия. Книга побуждает переосмыслить стратегию развития человеческого общества, приложить усилия к тому, чтобы деятельность человека на Земле была направлена не только на улучшение его собственного благосостояния, но и на сохранение среды обитания для всех населяющих ее живых существ, одним из которых является и сам человек.
При изложении материала данной книги на русском языке мы старались, по возможности, сохранить авторскую стилистику, что дает читателю возможность в полной мере познакомиться с неординарным взглядом автора на ряд актуальных вопросов эволюции живых организмов, а также по-новому рассмотреть процессы и явления, способствующие созданию и сохранению биоразнообразия на Земле.