Luigi Baselice

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( Dottore di ricerca in Geobotanica )

Luigi Baselice è nativo di Biccari, farmacista, il primo vero botanico (Corrispondente di Miche Tenore, fondatore e Direttore dell’Orto Botanico di Napoli) che esplora la flora di un territorio considerevole della Capitanata, poiché se la sua meta è in qualche modo il Gargano, il suo viaggio comincia dalla pianura. Nei suoi elenchi che diverranno le prime liste floristiche del Gargano e più in generale della Capitanata, si trovano anche informazioni relative all’uso che ne facevano allora le comunità locali (alimentare, medicinale).
Di molte piante riporta il nome volgare e gli utilizzi pratici come quello della Reseda luteola (Sgagliazzo in San Marco in Lamis e Apricena) e della Thapsia garganica L. (Turbitto, in San Marco in Lamis) usato «per tingere gonne in giallo facendole bollire in acqua»; dell’Alkanna tinctoria (L.) Tausch, conosciuta a Manfredonia come Citcìt, che «donne usano succhiare la radice per bellettar segretamente».
Per restare sull’uso alimentare, ci troviamo Rumex acetosella L. («si mangia quando tenera specialmente donne gravide»); Pistacia terebinthus L. («a Sannicandro si mangiano i virgulti allorché son teneri»); Sonchus oleraceus L. ( S’vòn’, in Manfredonia, Cascino, in Monte S. Angelo e in Sannicandro) ove «si mangia quando è tenera con il pane». Documenta di uso comune anche piante che oggi sappiamo tossiche come Clematis viticella L. (Cucco a Monte S. Angelo), ove «si mangia cotto all’acqua» e soprattutto vi troviamo piante povere, di scarsissimo valore alimentare come Solanum nigrum L. («In insalata per povera gente»).
Troviamo però anche conferme di usi alimentari che si conservano ancora oggi come Asphodeline lutea L. Rchb. (Coda di Cavallo in Manfredonia, e in Monte S. Angelo; Calcavallo a San Giovanni Rotondo) ove «si mangia la pianta allorchè è tenera», o Pistacia terebinthus L. che veniva consumato a Sannicandro (virgulti teneri). Elementi di novità sono il particolare utilizzo di Valerianella locusta in «insalata con l’aglio», o della Reichardia picroides (L.) Roth. (Caccialepre) in brodo di carne, o infine dell’utilizzo di Rumex acetosella L. da parte delle donne gravide.
Dalle testimonianze di Baselice si scoprono inoltre specie che non sembrano avere nessun interesse alimentare come Scorzonera hirsuta L., consumata a San Marco in Lamis, San Giovanni e Manfredonia o quella che a San Severo chiamavano Sinapicalici [(Coronopus squamatus (Forsk) Asch.)]; o l’uso alimentare di specie di «chenopodi» (Chenopodium spp.) che Baselice rileva a San Severo e a Lesina. Il valore edule di Chenopodium album è noto, ciò che non risulta altrettanto è l’uso alimentare di Chenopodium hibridum e Chenopodium viride. La solita erba della povera gente!. È questa, che sulla propria pelle sperimenta le potenzialità alimentari delle piante, evidentemente ancora costretta a farlo anche ai tempi di Baselice.
Un altro esempio è quello di Hyoscyamus albus L., notissima pianta velenosa (presente anche nei nostri centri abitati) che Baselice trova a Manfredonia (Sugamele o Zampognara, in Manfredonia, Cascavalluzzo, in Monte S. Angelo) ancora oggetto di «sperimentazioni» culinarie, se per sopperire la fame, scrive Baselice: «Alcuni pastori, con l’aver mangiato uno di questi Giusquiami cotto con l’acqua insieme col


pane e condimenti, divennero frenetici per 24 ore». Un sintomo evidente e tipico degli alcaloidi di cui la specie ne è ricca.

Le erbe dimenticate

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( Dottore di ricerca in Geobotanica )

Una ricerca sulle piante eduli deve basarsi su lavori storici, di qui il valore dei personaggi citati, ma deve purtroppo puntare nella tradizione orale alla quale rimangono legate le conoscenze. E, infatti, ben poca cosa rimane oggi di questa cultura: nei mercati rionali (Foggia, San severo, Manfredonia) non manca qualche terrazzano che vende cicoriette selvatiche (Cicorium inthibus L.), marasciuoli (Diplotaxis erucoides L.), cimamàrell (Brassica rapa var. sylvestris); per il resto rimangono solo nomi che ho trascritto sul mio taccuino in una fugace vista nel mercatino rionale di Foggia (Natica, I recchji di prevt’, Spina d’argent, Cardùn asinin, Cardone di Lucera, Spaccaciunna), sufficienti però per cominciare a ricostruire il mosaico: Asparagi di Pungitopo (Spàrji di pungitoto, Ruscus aculeatus L.); Aspraggina (Lattuchèdd, Asprùcit, Picris echioides L., Sannicandro, Apricena, San Severo, Foggia Vieste); Caccialepre [ (Caccialepr’, Reichardia picroides (L.) Roth., Vico del Gargano…)]; Cime di Stracciabraghe, o Salsapariglia (Cìm di strasciagàtt’, Smilax aspera L., Vico del Gargano…); Corinoli comune (Cannìl, Accio selvaggio, Smyrnium olusatrum L., Vico del Gargano…); Crescione (Laurìdd’, Nasturtium officinale R. Br, Sannicandro, Lesina); Finocchio di mare (F’nucchji’ d’ mér, Crithmum maritimum L., Vieste); Ravanello selvatico (Rapìstr’, Raphanus raphanistrum L. subsp. raphanistrum, da Foggia al Gargano al Subappennino); Salicornia [(Savsodd’, Sarcocornia fruticosa (L.) A. J. Scott, Cagnano, Ischitella, Sannicandro, Carpino)].
Questo elenco deve continuare, è un mio impegno; si allunga incredibilmente se consideriamo le «erbe» della flora garganica in particolare, suscettibili di essere utilizzate alla stessa maniera degli ortaggi o come condimento, molte delle quali sono utilizzate in altre regioni o hanno avuto un uso storico (epoca romana, Medioevo, 700): si tratta di 350 specie, un numero elevatissimo; tra queste alcune tipiche della nostra Capitanata: Lampascione (Leopoldia comosa) e Carducc (Scolymus hispanica).

Un patrimonio da rivalutare

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( Dottore di ricerca in Geobotanica )

Il perdersi e ritrovarsi nella storia dell’uso delle erbe spontanee utilizzate nell’alimentazione, coincide, come abbiamo visto, soprattutto con la necessità, in periodi di carestie o calamità, di avere alimenti alternativi. La fitoalimurgia sta conoscendo oggi nuovi interessi, l’alimurgia ovviamente non è più la causa scatenante: nelle erbe spontanee si cerca storia, tradizione, si cercano sapori, potremmo dire un puro interesse per i prodotti naturali, si cercano geni (interesse scientifico). A livello della nostra Puglia non mancano ricerche in proposito; interessantissimo un lavoro (Specie erbacee spontanee eduli della flora pugliese, 1999) del prof. Vito V. Bianco, di cui mi onoro di una sincera stima, autorevole botanico del polo universitario barese, da qualche anno in pensione.
La salvaguardia di tale patrimonio assume un ruolo di estrema importanza poiché si tratta di: nuove forme orticole, utili per produrre miglioramenti genetici (maggiore rusticità, maggiore resistenza alle malattie) nelle attuali varietà di ortaggi; erbe con straordinari valori nutrizionali (sali minerali, antiossidanti). E soprattutto straordinari sapori ormai impercettibili nelle verdure coltivate (ormai diciamo tutti non sanno di niente). Con 350 erbe diverse potremmo preparare: ripieni di torte salate o rustiche, piadine, saltati in padella, piatti a base di carne, pesce, «ciammariche» e selvaggina e paste colorate (gnocchi, ravioli, tagliatelle, ecc.). Un’altra storia da raccontare per un turismo culturale (enogastronomico), che nella nostra Capitanata, nonostante le tante storie di cui è straordinariamente ricca, stenta ad affermarsi.

Bibliografia di Nello

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( Dottore di ricerca in Geobotanica )

Baselice G., 1812 ? Rapporto fatto dal Sign. Michele Tenore. Giorn. Enciclop. Anno V. T. 1:16-70. Napoli
Baselice G., 1813 ? Viaggio botanico eseguito nei circondari di San Severo. Giorn. Encicl. VII, t.1: 188-208; 265-299. Napoli.
Bianco V. Vito, 1993 ? Specie erbacee spontanee eduli della flora pugliese. Estratto da La flora e la vegetazione spontanea della puglia nella scienza, nell’arte, e nella storia. Atti del Convegno, Bari – 22-23 Maggio 1993.
Biscotti N., 2002 ? Botanica del Gargano, Vol. I, Vol. II. Gerni editore, San Severo.
Cassitto R.V., 1925 ? I lampasciuoli. Tip. P.Cardone. Foggia
Giuliani V., 1753 ? Memorie storiche, politiche ed ecclesiastiche della Città di Vieste. Presso Francesco Morelli, Napoli. Ristampa copia di Napoli da Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese, 1978.
Manicone M., 1806 ? La Fisica Appula, in La Fisica Appula di P. M. Manicone di F. Iavicoli, Tip. Leone, 1967.
Mattirolo O., Phytoalimurgia pedemontana. Come alimentarsi con le piante selvatiche, in ristampa/aggiornamento a cura di Gallino Bruno, Pallavicini Giorgio. Blu edizioni. Torino.
Targioni-Tozzetti G., 1767 ? De alimenta urgentia: Alimurgia, ossia modo per rendere meno gravi le carestie, proposto per il sollievo dei popoli. Firenze.

Le richieste presentate

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Queste le richieste presentate dal Gruppo di Lavoro Internazionale Zero Mercury avallate dallo studio:

? Il Consiglio Governativo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (Unep) deve stabilire una Commissione per la Negoziazione Intergovernativa (Inc) con il proposito di negoziare uno strumento legalmente vincolante sul mercurio nel prossimo meeting a Nairobi di metà febbraio.
? Nel periodo che intercorre prima che tale strumento diventi effettivo, il rapporto raccomanda l’Unep Governing Council di intraprendere le seguenti azioni: i governi e istituzioni internazionali che si occupano di mercurio e salute (come l’Oms e/o Unep) dovranno lavorare insieme per sviluppare una strategia di campionamento, completa e rappresentativa sul pesce, condotta in paesi chiave e/o regioni, per caratterizzare la concentrazione di mercurio in un vasta gamma di specie di pesci.
? Sono necessarie misure urgenti per il controllo delle emissioni di mercurio dai impianti di combustione del carbone, dalla trasformazione dei minerali, dalla produzione di cemento e da altre fonti e per mettere al bando l’uso internazionale di mercurio dai prodotti e dai processi industriali. Serve un’azione internazionale di collaborazione per raggiungere questi obiettivi.
? L’Unep e i governi membri dovranno fornire un’assistenza per rafforzare la capacità amministrativa necessaria e lavorare con i rappresentanti coinvolti per sviluppare programmi efficaci di comunicazione del rischio, per insegnare ai consumatori in tutti i paesi che il pesce contiene livelli significativi di mercurio e quali contengono i livelli inferiori così da poterli mangiare più spesso.
? In Europa, la proposta di regolamento per l’etichettatura dei prodotti alimentari, al momento sotto esame da parte del Parlamento Europeo, dovrebbe includere consigli verso i gruppi vulnerabili rispetto al contenuto di mercurio nel pesce e nei frutti di mare.

(Fonte Legambiente)

L’Italia in ritardo ma non sfigura

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«Molte utilities in parte per far fronte ad obblighi previsti dalle normative nazionali e in parte per diversificare la propria produzione, considerano ormai di importanza strategica il comparto delle rinnovabili e stanno incrementando notevolmente gli investimenti nell’energia verde, aumentando la quota di rinnovabili nel proprio portafoglio». Lo ha dichiarato Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico di Kyoto Club, al convegno «Kyoto, transizione energetica, rinnovabili. La grandi aziende energetiche verso Copenaghen e gli obiettivi 2020».
In questo senso i dati sono confortanti: nel 2008 in Europa l’eolico, in termini di nuova potenza istallata, è al primo posto con il 35%, medaglia d’argento al gas (29%) e di bronzo al fotovoltaico (19%). Ma quello che realmente stupisce è il dato complessivo del periodo 2000-2008, che, considerate le variazioni nette della potenza elettrica installata in Europa, vede l’eolico attestarsi al secondo posto (45%), dopo il gas (68%) e prima del fotovoltaico (7%). Mentre il nucleare, a carbone e a olio) ha registrato un saldo negativo.
Dal punto di vista internazionale «il recente World Energy Outlook 2008 ? ha dichiarato Paolo Frankl, responsabile dell’Unità Energia Rinnovabile della Iea (International Energy Agency) ? ha prodotto un risultato nuovo per l’agenzia che porta ad identificare un obiettivo che condurrà ad una vera e propria rivoluzione, orientata a ?decarbonizzare? il mix energetico del settore elettrico, con un 50% al 2050 rappresentato da fonti rinnovabili».
Il progetto, fortemente ambizioso, prevede in Europa investimenti diretti pari a 350 miliardi di euro per la produzione elettrica verde nei prossimi 12 anni e 150 miliardi di euro per il potenziamento delle rete elettrica, a cui andranno aggiunti quelli per le rinnovabili termiche e per il comparto dei biocombustibili. È evidente come, in queste considerazioni, debbano essere comprese anche le politiche energetica della Cina e degli Usa, che rispettivamente prevedono di arrivare al 2020 con la copertura del 15% dei consumi energetici da parte delle rinnovabili e di raddoppiare l’energia verde nell’arco di 3 anni.
Ma come si presenta la situazione per l’Italia?
Per «contraddistinguersi» l’Italia è partita in ritardo rispetto agli altri Paesi, ma sta rapidamente recuperando. «Con 1010 MW eolici, 200 MW fotovoltaici, 400.000 mq di solare termico installati nel solo 2008 ? ha spiegato Gianni Silvestrini ? il nostro Paese si posiziona ai primi posti d’Europa e del mondo, la cui realizzazione ha comportato rispettivamente investimenti pari a 1,8 miliardi di euro, 1,2 miliardi di euro e 0,4 miliardi di euro. A questi devono essere aggiunti quelli relativi alle biomasse, ai biocarburanti, alla geotermia a bassa ed alta entalpia e al mini idroelettrico. Cifre importanti queste, che vedono impegnate ormai migliaia di aziende». Per centrare gli obiettivi europei al 2020 (17% dei consumi finali di energia) all’Italia servirà una partecipazione attiva del comparto energetico, con una chiara identificazione dei ruoli ricoperti dai singoli attori e, ancora più, un’attenzione maggiore e mirata da parte delle istituzioni e delle imprese, con la conseguente definizione di una nuova politica energetica che faccia delle rinnovabili il motore per avviare questa rivoluzione, se lo


scopo ultimo è il contenimento del riscaldamento globale.

Come cambia la loro presenza nell’ambiente

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Di qui la necessità della gestione più rispettosa e, al contempo, più consapevole ed efficiente dell’ambiente naturale, soprattutto attraverso la mitigazione dell’impatto delle attività umane, perché se non fossero ormai tanto impattanti la Natura sarebbe certamente bastevole a sé stessa, sopratutto in termini di «equilibrio dinamico» tra la componente abiotica o «biotopo» (terra, acqua, aria) e componente organica o «biocenosi» (piante e animali).
Abbiamo già accennato al fatto che per un più attento esame del territorio, insieme ad una valutazione dei livelli di salute ambientale, sono di grande aiuto gli Insetti, segnatamente quegli esapodi alati ed onnipresenti, generalmente chiamate «farfalle diurne».
Al contrario dei vertebrati che, come scrive Fabio Cassola, sono di solito relativamente longevi, vivono in un territorio spesso abbastanza vasto con una capacità riproduttiva piuttosto bassa, unita ad una specificità ambientale quasi del tutto assente, i lepidotteri diurni sono considerati degli ottimi indicatori ambientali perché stiamo parlando di numerose specie molto selettive e poco adattabili, dotate di una percezione dell’ambiente molto dettagliata (in ecologia, percezione «fine grained» dell’ambiente), di contro a pochissime specie molto adattabili e ubiquitarie, e che quindi spesso connotano habitat più antropizzati e degradati.
Oltre a queste caratteristiche fondamentali, i lepidotteri diurni sono molto utili per la bioindicazione in quanto, tra gli esapodi alati, sono tra i più appariscenti, facili da osservare e identificare, come anche da campionare e classificare, a tal punto che la loro presenza (o assenza) risponde in modo chiaro, utilmente decifrabile, alle modificazioni dell’ambiente, sia che vengano da cause antropiche o da altri fattori biotici o abiotici.
Periodiche e costanti ricerche in corso di svolgimento sul campo (Murgia martinese, soprattutto), mi hanno convinto che un buon numero di questi nostri «vezzosi» bioindicatori sia già «in affanno», quasi sempre per l’uso a senso unico che l’uomo fa del suo territorio e dell’ambiente naturale: distruzione di siepi e di vegetazione spontanea (piante nutrici e nettarifere), uso smodato e incontrollato di pesticidi in agricoltura, trasformazione e scomparsa di aree prative, processi sistematici di sfalcio e di incendio controllato, incendi devastatori colposi o dolosi, ecc., sono tutte azioni che, comunque, distruggono un numero considerevole di uova, larve e pupe di tantissimi Ordini di artropodi, tra cui le nostre farfalle, per non parlare poi, «ciliegina sulla torta», del cosiddetto effetto serra, col nefasto carbonio cui stiamo dando grandi ali in atmosfera!
A tal punto, ormai, che la Navoncella o Pieride del Navone (Pieris napi L.), ecologicamente «sciafila» (=abbisogna di habitat più freschi e ombrosi), non frequenta più i prati e le radure fiorite che pur costellano, colorate e radiose, le boscaglie della nostra Murgia del sud-est: in estate, con l’accresciuto lievitare delle temperature, lei s’è rifugiata nei valloni (bosco Pianelle e pochi altri solchi gravinali boscati), e solo qualche sporadico esemplare osa avventurarsi a quote maggiori, dove la bella stagione suole ormai imperare in torride calure!

Giova ricordare anche la Tecla della Quercia (Tecla quercus L.), che


per gli stessi motivi ha abbandonato le sommità dei fragni (ricordo che, circa quarant’anni fa, per campionare qualche esemplare bisognava avere un retino dal manico lunghissimo!), per popolare oggi, numerosa, l’umido terreno delle radure nei valloni più boscati.
Alcune specie poi sono addirittura scomparse persino da questi, come la Pafia (Argynnis paphia L.), guarda caso anche lei sciafila e di quota, per non parlare della Vanessa Io, o Occhio di Pavone (Inachis io L.), avvistata qualche anno fa nel fondo della grande gravina di Laterza, e oggi sempre più rara e sporadica dalle nostre parti.

Ci sarebbe altro da dire sui lepidotteri bioindicatori che salgono di quota o che si rifugiano nei valloni a causa dell’aumento delle temperature tardo-primaverili e estive, ma ci terrei molto a ricordare, rendendole molto onore, un’altra farfalla, un tempo felice tra i Ninfalidi europei più comuni, che s’è molto rarefatta, anzi è quasi scomparsa del tutto a causa delle tonnellate e tonnellate di veleni che andiamo spargendo in agricoltura!
Anche lei ha un nome gentile e poetico: si tratta della Vanessa Variopinta o Multicolore (Nymphalis polychloros L.), altrimenti detta Vanessa dei Frutteti, e penso che noi tutti le dobbiamo molto, dacché, specie negli ultimi vent’anni è quasi del tutto scomparsa dai nostri giardini, dai campi, dalle periferie e dai parchi, proprio lei ch’era perla preziosa nello scrigno delle naturali meraviglie, felice trastullo di mamme e di bambini.
A noi, quindi, cogliere il messaggio che la Vanessa Multicolore ci manda, e questo suo «eroico» sacrificio non sarà vano se capiremo, una buona volta per tutte, che su questo nostro Pianeta, foriero d’immense dolcezze, un po’ per avidità, un po’ per inerzia e un po’ per strafottenza stiamo alterando equilibri secolari, eccellendo soprattutto come distruttori della sua preziosissima diversità biologica, quindi della vita stessa che, impoverendosi sempre più, rischia di perdere la capacità di diffondersi (siamo già su questa strada…) e infine rinsecchirà, travolgendo ogni cosa!
La medicina? Rinsavire, stornare la nostra tensione verso le cose artificiali e artificiose create dall’uomo e dedicare almeno un po’ del nostro tempo culturale ed emotivo alla bellezze a alle splendide armonie che ancor’oggi possono offrire le Cose Naturali, perché conoscenza e consapevolezza si traducano finalmente in azione positiva.

Gli scenari del fabbisogno energetico

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In questo scenario la capacità globale di produzione nucleare all’orizzonte del 2050 usando due diversi scenari di crescita, che si indicano con il termine «alto» e «basso». Ecco i risultati in sintesi: La capacità di produzione di energia elettrica da fonte nucleare crescerà di un fattore compreso tra 1,5 e 3,8. Nello scenario «alto» la quota di produzione elettrica da fonte nucleare crescerà dal 16% di oggi al 22%. In entrambi i casi, la produzione elettrica da fonte nucleare rimane prevalentemente nei Paesi Ocse e, sebbene ci siano Paesi che non dispongono ora di energia nucleare e che pianificano di entrare nel club nucleare, il loro apporto rappresenta solo il 5%.
Queste previsioni sono in accordo sostanziale con le previsioni di altre organizzazioni internazionali; l’esperienza pregressa fa ritenere inoltre possibile costruire centrali nucleari ad un ritmo adeguato a soddisfare le proiezioni dello scenario «alto», di qui fino al 2050.
Le risorse conosciute di uranio sono sufficienti ad alimentare un’espansione della capacità di produzione elettrica nucleare, senza ricorrere ad altre tecnologie di cui parleremo, almeno fino al 2050. Le stime basate sui dati geologici regionali, valutano ad alcune centinaia di anni la disponibilità di uranio al fabbisogno corrente. L’energia nucleare offre un grado di sicurezza di rifornimenti superiore al petrolio e al gas perché il suo combustibile, l’uranio, proviene da una pluralità di Paesi e i principali fornitori operano in Paesi politicamente stabili. L’altissima densità di energia dell’uranio (1 tonnellata di uranio produce circa la stessa energia di 10.000?16.000 tonnellate di petrolio secondo le tecniche attuali) comporta che il trasporto del combustibile è meno vulnerabile alle interruzioni di fornitura e lo stoccaggio di grandi riserve di energia è assai più facile ed economico di quello dei combustibili fossili.
Analizziamo nel dettaglio gli elementi più importanti di queste nuove prospettive.

Clima

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La produzione di energia elettrica rappresenta il 27% delle emissioni mondiali di CO2 prodotta dalle attività dell’uomo ed è per questo la principale sorgente di gas a effetto serra. Gli Esperti del gruppo di lavoro intergovernativo delle Nazioni Unite Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sono giunti alla conclusione che le emissioni di CO2, comprese quelle per la produzione di energia elettrica, devono essere dimezzate se si vuole mettere un freno e riportare a un livello tollerabile le conseguenze del cambiamento climatico.
L’energia nucleare potrebbe dare in futuro un contributo crescente alla generazione di energia elettrica e di calore per riscaldamento senza emissioni di CO2. L’energia nucleare non produce in pratica alcuna emissione di CO2 su tutto il ciclo produttivo. Sebbene l’obiettivo di riduzione delle emissioni delle Nazioni Unite richieda l’applicazione di un insieme di tecnologie, l’energia nucleare è la sola tecnologia priva di emissioni che abbia già dato prova della sua fattibilità e della sua capacità di fornire soluzioni adeguate su larga scala e di lunga durata.
Un’altra ricaduta utile della tecnologia nucleare potrebbe essere la produzione d’idrogeno a basso prezzo che a sua volta, grazie ad altri progressi tecnologici nel settore dei trasporti, potrebbe sostituire carburanti di origine fossile più inquinanti.
L’energia nucleare può infine offrire una maggiore sicurezza energetica e un’opportunità di riduzione degli effetti nocivi per la salute. La maggior parte dei costi «esterni» (cioè quelli non contabilizzati nel prezzo dell’energia, tra i quali le conseguenze del cambiamento climatico) sono normalmente internalizzati nella produzione di energia nucleare, mentre per i combustibili fossili i costi esterni non lo sono e rappresentano all’incirca la stessa cifra dei costi diretti.

Effetti sulla Salute

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L’utilizzo dell’energia nucleare potrebbe contribuire a ridurre i danni alla salute che derivano dall’utilizzazione di combustibili fossili. Gli effetti sulla salute delle emissioni delle centrali nucleari in normale operazione sono trascurabili se paragonati ai danni alla salute delle emissioni delle centrali elettriche che usano combustibili fossili. Infatti qualsiasi valutazione razionale degli effetti sanitari connessi con le diverse tecnologie per la produzione di elettricità deve tener conto degli effetti sanitari sul lungo periodo dovuti sia al rilascio di radioattività in caso di incidente nucleare sia alle emissioni che provengono dallo sfruttamento delle risorse fossili.
Gli effetti dovuti a quest’ultime sono di gran lunga i più seri. Le emissioni di gas e di particolato connesse con il consumo di combustibili fossili (composti di zolfo, azoto e polveri fini) sono note per i loro effetti deleteri e gravi soprattutto a livello polmonare. L’analisi di ciclo delle differenti forme di produzione di elettricità dimostra che l’energia nucleare (tenendo anche conto dei rilasci di radioattività in fase di operazione) è una delle forme più efficaci di produzione di elettricità se si vogliono evitare gli effetti sulla salute dovuti alle emissioni dallo sfruttamento di combustibili fossili. La perdita di vite umane dovuta a tali emissioni tossiche supera largamente quella dovuta agli incidenti che possono occorrere in tutte le filiere del rifornimento energetico prese nel loro insieme.
Le curve di frequenza-conseguenza afferenti agli incidenti occorsi su tutto l’insieme delle filiere energetiche nei Paesi membri dell’Ocse tra il 1969 e il 2000 e stabilite a partire dai dati statistici rivelano che il nucleare è stato nettamente più sicuro del petrolio, del carbone e del gas naturale, e che quest’ultimi sono stati molto più sicuri del gas di petrolio liquefatto (Gpl). Tuttavia le preoccupazioni del grande pubblico e dei politici si focalizzano sulla probabilità, molto bassa, di incidenti gravi che, a lungo termine, potrebbero risultare in perdite di vite umane per contaminazione radioattiva.

Sicurezza

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La sicurezza nucleare è una questione globale: un serio incidente in un Paese può avere conseguenze anche sui suoi vicini; l’industria nucleare pone la sicurezza e la protezione ambientale al primo posto e così dovrà continuare a fare. Sarà sempre necessario mantenere un livello molto alto di controlli sul rispetto rigoroso e costante dei regolamenti e delle prescrizioni di sicurezza.
Assolutamente eccellente è il curriculum della sicurezza di tutti gli impianti della filiera nucleare nei Paesi Ocse; tutti gli indicatori statistici di sicurezza lo confermano. Questo risultato sottolinea il grado di maturità raggiunto dall’industria e l’affidabilità delle procedure di sicurezza e dell’osservanza dei regolamenti.
Il livello di sicurezza dell’industria nucleare ha continuato a migliorare negli ultimi trent’anni. I reattori in esercizio commerciale e di progettazione recente possiedono caratteristiche di sicurezza passiva che mettono spontaneamente la centrale in uno stato sicuro, in caso di un evento inatteso, senza richiedere l’intervento di alcun controllo attivo. In considerazione del crescente interesse per la realizzazione di nuove centrali nucleari e dell’avvento dei reattori della prossima generazione, la comunità internazionale sta lavorando su diversi fronti per aumentare l’efficacia e l’efficienza del sistema delle regole. Qualora Paesi senza esperienza precedente nel campo nucleare decidano di intraprendere la costruzione di nuove centrali nucleari, essi devono essere aiutati affinché possano acquisire e applicare le «buone pratiche» nel campo industriale, regolamentare e giuridico.

Disattivazione degli impianti e gestione delle scorie nucleari

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Questo rimane l’unico punto di criticità dell’utilizzo su vasta scala dell’energia nucleare. I ritardi e i fallimenti di alcuni dei più importanti programmi di smaltimento dei rifiuti radioattivi ad alta attività e a lunga vita continuano ad appannare fortemente l’immagine di tutto il settore. I governi, l’industria nucleare, le autorità di sicurezza e gli enti di ricerca devono lavorare assieme per assicurare lo smaltimento sicuro e definitivo delle scorie nucleari in depositi idonei.
Poiché nessun deposito di combustibile nucleare irradiato e di scorie altamente radioattive è stato realizzato finora, la costruzione di questi impianti viene ritenuta, a torto, tecnicamente difficile o addirittura impossibile.
Al giorno d’oggi sono state disattivate senza problemi numerose installazioni nucleari; negli Stati Uniti numerose centrali con potenze superiori a 100 MW-elettrici sono oggi completamente smantellate. I costi di gestione della messa in sicurezza delle scorie e della disattivazione delle centrali nucleari rappresentano il 3% soltanto del costo totale di produzione dell’energia nucleare; anche per queste attività esistono meccanismi collaudati di finanziamento e di copertura assicurativa.

Sicurezza sulla non proliferazione

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La comunità nucleare internazionale deve lavorare di concerto per evitare la disseminazione di armi nucleari tra gli Stati e l’uso delittuoso di sostanze radioattive da parte di gruppi terroristici o di organizzazioni criminali. Da una quarantina d’anni il trattato di non proliferazione delle armi nucleari è stato la solida fondazione giuridica e politica sulla quale poggia un regime internazionale che ha permesso di limitare efficacemente la disseminazione delle armi nucleari.
Gli approcci multilaterali alla gestione del ciclo del combustibile nucleare, che sono oggi oggetto di discussione, possono assicurare alla comunità internazionale le garanzie necessarie affinché le tecnologie nucleari sensibili, che presentano un rischio di proliferazione, non si propaghino. Le centrali nucleari più avanzate posseggono caratteristiche tecniche tali da renderle più resistenti sia ai rischi della proliferazione sia a quelli di sabotaggio o di attacco terroristico.

Reattori avanzati

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Fanno parte dei reattori avanzati quelli di generazione III, III+ e IV. Circa 80% delle centrali nucleari odierne utilizzano reattori ad acqua leggera (Lwr) di seconda generazione, costruiti in gran parte durante gli anni 1970 e 1980. Questi reattori continueranno a dominare la produzione elettronucleare fino alla metà del secolo. Le centrali nucleari future saranno della terza generazione.
Quattro reattori di generazione III+ sono già in servizio e diversi altri sono in costruzione. Questi tipi di reattore offrono caratteristiche di sicurezza e prestazioni economiche migliori che i reattori di seconda generazione ora in funzione.
A più lungo termine, le centrali di generazione IV, basate su nuovi modelli di reattori avanzati, dovrebbero essere disponibili su scala industriale dopo il 2030. È importante sottolineare che i reattori di quarta generazione avranno una resistenza alla proliferazione, una protezione fisica rinforzata contro le minacce terroriste ed inoltre produrranno scorie a bassa radioattività. Oggi i progetti di ricerca e sviluppo.
Infine per quanto riguarda la fusione nucleare, si è riusciti finora a realizzarla su scala di ricerca solo per qualche secondo. Cadarache in Francia è stata selezionata per l’installazione del reattore termonucleare sperimentale Iter (International Thermonuclear Experiment Reactor) che rappresenterà la prossima grande tappa dello sviluppo di questa tecnologia. Si tratta di una tecnologia molto più complessa di quella della fissione, le cui prestazioni economiche sono molto incerte. Infatti, non si pensa che la fusione possa essere utilizzata per la produzione d’elettricità su scala industriale prima della seconda metà di questo secolo.

Cicli di combustibile avanzati

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Oggigiorno alcuni Paesi riprocessano il combustibile nucleare irradiato, altri invece intendono smaltirlo direttamente in un deposito geologico, dopo averlo «confezionato» in contenitori appositi. Fra i Paesi con i parchi nucleari più grandi, la Francia riprocessa il suo combustibile ed offre servizi di riprocessamento commerciali ad altri Paesi; il Giappone riprocessa il suo combustibile ed utilizza servizi di riprocessamento all’estero, ma allo stesso tempo sviluppa la sua propria capacità di riprocessamento; infine gli Stati Uniti non riprocessano il loro combustibile benché ne abbiano la capacità.
Le tecnologie di riprocessamento oggi utilizzate su scala industriale permettono il recupero dell’uranio non utilizzato e del plutonio con lo scopo di riutilizzarli in combustibili a ossidi misti destinati ai reattori ad acqua leggera e ai reattori veloci del futuro e di ridurre il volume delle scorie da smaltire nei depositi geologici. Durante gli anni 90 il prezzo dell’uranio era talmente basso che il riprocessamento appariva economicamente poco interessante e la separazione del plutonio rappresentava possibili rischi di proliferazione. In questi ultimi anni il prezzo dell’uranio si è rivalutato.
Alcuni Paesi stanno mettendo a punto tecnologie avanzate di riprocessamento nell’ambito di cooperazioni internazionali quali il foro internazionale Generazione IV ed il partenariato mondiale per l’energia nucleare guidato dagli Stati Uniti. Queste tecnologie dovrebbero procurare diversi vantaggi. I rischi di proliferazione possono essere diminuiti evitando la separazione del plutonio dall’uranio. La separazione d’isotopi a lunga vita del combustibile (separazione spinta) con lo scopo d’irradiarli ulteriormente (trasmutazione) dovrebbe consentire l’eliminazione di questi isotopi. La radioattività delle scorie rimanenti dopo i processi di separazione spinta e di trasmutazione potrà diminuire per decadimento radioattivo naturale in qualche centinaio d’anni ad un livello inferiore a quello dell’uranio naturale che è servito a produrre inizialmente il combustibile. Con questa tecnica la carica termica delle scorie da smaltire nei depositi geologici può essere diminuita considerevolmente e ciò aumenta la capacità di smaltimento dei depositi stessi.
È possibile utilizzare anche il torio per produrre energia nei reattori nucleari. Questo elemento si trova in maggiore abbondanza dell’uranio nella crosta terrestre, e l’isotopo del torio che si trova in natura può essere trasmutato in un isotopo fissile dell’uranio. Diversi Paesi hanno fatto ricerche sul ciclo del combustibile al torio, però questa tecnologia non ha ancora raggiunto lo stadio dell’utilizzazione industriale.

Costi

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Sulla base dei costi attualizzati, la costruzione e l’operazione di nuove centrali nucleari sono economicamente vantaggiose nella maggior parte dei casi; tuttavia i governi che desiderano incoraggiare l’investimento in centrali nucleari devono adoperarsi per limitare i rischi finanziari associati alle procedure di autorizzazione e di pianificazione e quelli che la comunità finanziaria associa alla gestione delle scorie radioattive e alla disattivazione degli impianti.
Una comparazione internazionale del 2005 dei costi attualizzati della produzione di elettricità da centrali nucleari, a carbone e a gas ha mostrato che la soluzione nucleare è competitiva rispetto a carbone e gas, in modo più o meno netto a seconda delle particolari circostanze locali. Dal tempo di quello studio i prezzi del petrolio sono aumentati (si pensi che il costo del barile di petrolio nel Giugno 2008 ha raggiunto la cifra record di 150 US$) e i prezzi degli altri combustibili fossili stanno seguendo la stessa tendenza. Il costo dell’uranio peraltro non rappresenta che il 5% circa del costo totale di produzione dell’elettricità da fonte nucleare.
La sfida economica nel caso dell’energia nucleare riguarda il finanziamento dell’investimento iniziale (costo della struttura più attivazione del reattore) piuttosto che i costi attualizzati della produzione di elettricità. Infine il miglioramento della disponibilità delle centrali, l’aumento della potenza delle centrali e il rinnovo delle autorizzazioni di esercizio hanno permesso in molti casi di aumentare ulteriormente il ritorno sugli investimenti nel settore nucleare. In media nel mondo la disponibilità delle centrali nucleari è migliorata del 10% negli ultimi quindici anni per raggiungere oggi un valore di 83%. La potenza di numerose centrali è stata aumentata, a volte fino al 20% e numerosi reattori hanno visto rinnovata la loro licenza di esercizio da 40 a 60 anni.

Un dibattito ancora aperto

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Darwin e Wallace, pur attraverso percorsi differenti, condivisero peraltro la nuova teoria dell’evoluzionismo; qualcuno ipotizza persino che lo stesso Darwin, più che l’ideatore della teoria, ne sia stato l’erede e il divulgatore.
L’impostazione scientifica di Wallace cede però alla convinzione che è una intelligenza superiore a guidare l’uomo, così come l’uomo guida la vita e lo sviluppo delle specie animali e vegetali inferiori.
Nonostante alcuni punti deboli della teoria darwiniana, poi, composti nella cosiddetta «Sintesi moderna dell’evoluzione», che fonde il concetto della selezione naturale con la genetica di Gregor Mendel, non c’è dubbio che portare nel piano del dibattito scientifico il tema dell’origine dell’uomo e della sua natura come discendente dagli animali fu un evento epocale con profonde influenze sul piano religioso, filosofico, politico e culturale in senso ampio.
Questa ricorrenza appare significativa, non tanto per riproporre il conflitto tra i darwinisti e i creazionisti sostenitori dell’Intelligent Design, (che pure in taluni contesti anima ancora il dibattito tra laici e cattolici ed ha conseguenze rilevanti dal punto di vista culturale e sociale: basti pensare alle ricadute sui programmi d’insegnamento scolatici) quanto, piuttosto come occasione di riflessione sulle potenzialità del libero pensiero, che non può che formarsi con la conoscenza e la consapevolezza.

Per diffondere e far conoscere meglio il «libero pensiero» dello scienziato che ha cambiato la nostra comprensione della natura si moltiplicano i siti che offrono l’opera omnia dello scienziato, le numerosissime lettere, le foto, il «Viaggio del Beagle», diario di cinque anni di viaggio in America e Africa in cui mise a punto la sua teoria.
Molte sono le iniziative in programma, di cui si può avere notizia attraverso i siti internet. I biologi evoluzionisti a Torino, dal 24 al 29 agosto, terranno il loro congresso europeo. La mostra «Darwin 1809 ? 2009», allestita in collaborazione con il Museum of Science di Boston, The Field Museum di Chicago, il Royal Ontario Museum di Toronto e il Natural History Museum di Londra, inaugurata l’11 febbraio a Roma al Palazzo delle Esposizioni, si sposterà a Milano da giugno a novembre, presso la sede della Rotonda della Besana. Da segnalare anche una serie di iniziative a cura del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica «L. Pardi» dell’Università di Firenze «Firenze 2009 ? Anno Darwiniano» con diversi appuntamenti che a partire dal 12 febbraio proseguiranno per tutto l’anno.

(Debora Badii, Urp Arpat Arezzo)

La gestione degli ecosistemi

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Il 60% degli ecosistemi terrestri, da quelli vegetali e forestali, a quelli animali sia terrestri sia marini, è seriamente danneggiato ed in fase di progressivo degrado. Il maggiore fattore di distruzione degli ecosistemi terrestri è una agricoltura che occupa ormai il 25% di tutte le terre emerse e che in molte parti del mondo è ormai diventata insostenibile e che ha portato soprattutto nella fascia intertropicale alla distruzione di foreste che ormai sono scomparse in 25 paesi e distrutte al 90% in altri 29 paesi. A peggiorare l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, aumentando nel contempo anche il rischio di desertificazione, vi è stata anche la recente tendenza alla produzione intensiva di biocarburanti che, oltre a sottrarre aree all’agricoltura per l’alimentazione, e alle foreste, ha creato nuova povertà nei paesi in via di sviluppo, peggioramento delle condizioni socio sanitarie e conflitti per l’accaparramento dei suoli.
Non migliore è la situazione degli ecosistemi marini dove una pesca intensiva e spesso illegale ha portato alla distruzione a partire dal 1960 del 90% delle specie marine più commerciali.

Sostanze nocive rifiuti pericolosi

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Nel mondo si producono ogni giorno più di due miliardi di tonnellate di rifiuti di cui il 60% circa nei soli paesi industrializzati che rappresentano meno del 20% della popolazione mondiale.
Poiché la gestione ambientalmente sostenibile dei rifiuti è praticamente inesistente nei paesi in via di sviluppo e abbastanza carente in molti paesi sviluppati (tra cui l’Italia), il risultato è che molte delle sostanze tossiche, nocive o comunque pericolose entrano nella catena alimentare, contaminano il cibo e pongono seri problemi sanitari alla popolazione anche dei paesi sviluppati (i recenti casi di diossina nella mozzarella prodotta in Campania e la contaminazione da insetticidi in molti prodotti alimentari giapponesi, ne sono un esempio).
Altro caso eclatante per i paesi in via di sviluppo è, invece, il latte alla melanina prodotto in Cina che ha portato a gravi conseguenze sanitarie e perfino alla morte di molti bambini in diversi paesi del sud est asiatico ed in Africa.
Di non minore importanza è la contaminazione delle risorse idriche da parte degli scarichi industriali o derivanti da fitofarmaci e pesticidi usati in agricoltura. Anche la contaminazione batterica è in aumento soprattutto nelle risorse idriche dei paesi in via di sviluppo dove focolai di colera e da altre malattie infettive provenienti da acqua contaminata stanno aumentando invece di diminuire.
Neanche le risorse marine sono state risparmiate dalla contaminazione dei prodotti chimici usati dall’uomo. In particolare la contaminazione da mercurio e da altre sostanze tossiche di molte specie ittiche pone seri problemi non solo sulla salute umana, ma anche sulla sopravvivenza delle stesse specie.

Cambiamenti climatici

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Nel 2008, la banchisa artica ha fatto una specie di avanti e indietro dopo la fusione estiva. La copertura dei ghiacci marini raggiunta al 12 settembre 2008 era un po’ più di 4,5 milioni di Km2. Anche se nel 2008 l’estensione dei ghiacciai artici era il 10% in più rispetto al 2007, anno del minimo assoluto, tuttavia l’estensione complessiva dei ghiacciai artici è stata di oltre il 30% al di sotto della media degli ultimi 30 anni. Inoltre, per il secondo anno consecutivo il mitico passaggio a nord-ovest tra le isole del Canada settentrionale è stato completamente libero dai ghiacciai.
Va osservato, dice l’Unep, che nel 2008, con l’apertura simultanea di due passaggi, si è verificato un evento di passaggio a nord ovest che verosimilmente non si era mai manifestato prima dell’ultima era glaciale, cioè circa 100.000 anni fa.
Anche l´Antartide occidentale comincia a preoccupare con un aumento dello scioglimento dei ghiacciai che è cresciuto del 60% tra il 1996 e il 2006, con il record della Penisola Antartica, dove il tasso di scioglimento nello stesso periodo è aumentato del 140%.
Un altro fatto preoccupante è la progressiva diminuzione della capacità degli oceani di assorbire l’anidride carbonica atmosferica, fatto questo che provocherà un’accelerazione dell’accumulo di anidride carbonica in atmosfera se le emissioni di gas serra non subiranno una drastica riduzione.
La cosa diventa ancor più preoccupante perché con il riscaldamento degli oceani vengono immessi nell’atmosfera gli idrati del metano sepolti nei fondi oceanici polari e nel permafrost. Ed il metano ha un potere riscaldante ben 20 volte superiore di quello dell’anidride carbonica.
Il rapporto dell’Unep presenta anche nuovi studi sull’Amazzonia che potrebbe essere fortemente danneggiata a causa del riscaldamento climatico per una diminuzione delle piogge del 40%, che a sua volta porterebbe ad una diminuzione della crescita della vegetazione intorno al 53%. Una perdita vegetale di questa ampiezza potrebbe accelerare il riscaldamento climatico e far aumentare le temperature locali di 8 gradi con ripercussioni anche sulle portate del Rio delle Amazzoni.