La Lettera di Carlo Ripa di Meana

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Sorprendente leggere in questi giorni della sollevazione dei sindaci del Subappennino dauno contro la moratoria in materia di eolico prospettata dalla Giunta regionale pugliese. Cosa dovrebbe fare, infatti, una grande Regione come la Puglia se non difendere quanto resta della bellezza del suo paesaggio, dando attuazione a quanto solennemente richiesto dall’art. 9 della stessa Costituzione? Dopo la devastazione del Subappennino dauno, con centinaia e centinaia di torri eoliche industriali, ora si sta preparando l’assalto all’arma bianca al Parco nazionale dell’Alta Murgia e allo stesso Salento. Fermare il dilagare senza regole di questo nuovo assalto al territorio è dunque sacrosanto.
La realtà è che la Puglia di Nichi Vendola si affianca alla Sardegna di Renato Soru, che ha già stabilito un No totale ad ogni ulteriore centrale eolica industriale. Se da una parte c’è un partito dell’eolico costi quel che costi, che va dal viceministro Mantovano fino ad Edo Ronchi e a Legambiente, dall’altra parte constatiamo che sta prendendo corpo una vera e propria resistenza popolare alla devastazione paesaggistica, dall’Appennino ligure alle isole dell’Arcipelago toscano, dalle colline del Morellino e del Brunello all’Umbria della Val Nerina, dalla Basilicata (che ha varato regole molto severe in materia) all’alta Val Fortore, nel Sannio, dalla Calabria alla Sicilia.
Perfino nel Nord Europa si sta attuando ormai una strategia di graduale uscita dall’eolico, con le torri sempre più spostate in mare aperto per attutirne l’impatto paesaggistico. L’informazione nazionale dovrebbe dare conto di tutto ciò, perché le ragioni dell’imprenditoria eolica non possono davvero prevalere sul dovere, costituzionalmente garantito, di tutelare il patrimonio paesaggistico ed ambientale, l’economia turistica e la stessa identità del Mezzogiorno.
Nel plaudire, dunque, alla decisione della Giunta regionale pugliese di varare una moratoria generale in materia di impianti eolici, il Comitato Nazionale del Paesaggio annuncia che sta già lavorando ad una prossima grande riunione nazionale di tutti coloro che sono contrari alla proliferazione dell’eolico selvaggio, da tenersi in Puglia nel corso dell’estate, con l’obiettivo di rafforzare le ragioni della difesa del paesaggio e di manifestare tutta la propria solidarietà al Presidente Vendola e all’assessore Losappio.

Asia-Pacific Partnership on Clean Development and Climate

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Inaugural Ministerial Meeting – Sydney, January 2006

Cattura e confinamento dell’anidride carbonica (Carbon dioxide capture and storage – Ccs)

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Per la prima volta è stata considerata la possibilità di includere i Progetti di Ccs in formazioni geologiche come attività Cdm, in vista di una possibile decisione alla prossima sessione della Cmp. I delegati hanno concordato di lavorare ulteriormente su questo argomento, e di stabilire un piano di lavoro per il 2008, che comprende la raccolta di informazioni sugli aspetti tecnici, metodologici, legali, politici e finanziari.
(Conclusioni: unfccc.int/resource/docs/2007/sbsta/eng/l19.pdf).

(Fonte Ipcc Focal Point Nazionale)

La comunicazione sulle possibili interruzioni dei flussi di idrocarburi verso il nostro Paese

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Che l’Italia dipenda dall’importazione di idrocarburi troppo più degli altri Paesi nostri concorrenti lo sanno tutti. E poiché, come abbiamo visto nel capitolo II, i nostri concorrenti beneficiano delle nostre delocalizzazioni tanto più quanto più cresce il prezzo che le nostre imprese debbono pagare per l’energia, è comprensibile che si diano da fare per farcelo crescere.

L’attacco della Francia, dell’Inghilterra e degli Usa alla Libia di Gheddafi viene oggi considerato da tutti come un errore. Ma non lo è stato affatto per il loro punto di vista, essendo riuscito a far scappare i nostri tecnici dell’Eni da quel Paese, che grazie proprio a Gheddafi era disponibile a fornirci un quarto del nostro fabbisogno. Ed abbiamo visto che quei tre Paesi (Francia, Usa, Inghilterra) sono in testa alla graduatoria dei beneficiari delle nostre delocalizzazioni.
Qui in Italia ci si chiede anche come mai a trattare con Putin non sia andata la Mogherini, quanto meno insieme a Merkel ed Hollande. La Mogherini avrebbe volentieri assunto un atteggiamento meno ostile, come risulta anche per iscritto, dalla bozza che aveva fatto circolare sul tema, che però è stata cestinata dagli altri. Infatti noi ci siamo lasciati dipendere dalla Russia per le importazioni di idrocarburi sino alla metà del nostro fabbisogno.
La gravità della situazione italiana è mascherata oggi dall’impressionante calo del prezzo del greggio. Ma dovremmo dedicare un po’ d’attenzione alla sua causa. Tutti sanno che è l’Arabia Saudita ad aver deciso questo spropositato aumento delle svendite di greggio, ben oltre la domanda attuale dei mercati. È ragionevole per noi italiani contarci per la nostra crescita economica? Non può essere, semplicemente, l’estrazione disperata di tutto quel che è ancora estraibile, la svendita disperata di tutto il vendibile, fin che lo è, prima che non lo sia più? Cioè prima di una interruzione incombente, che farà schizzare il prezzo degli idrocarburi alle stelle, e la nostra economia nelle stalle?
È meglio che andiamo a vedere meglio la situazione in questa zona, geografica e religiosa. Sinora l’Occidente l’ha presidiata con enormi spese militari. Non vi abbiamo soldati amici nostri che non siano da noi prezzolati, come ha notato recentemente Luttwak, aggiungendo che invece i volontari affluiscono abbondanti, nonostante tutti i nostri divieti, nelle file del neonato Stato Islamico. Sedicente? Autoproclamato? Certo: è il primo che non lo abbiamo proclamato noi con l’evidente scopo di sfruttarne il sottosuolo, scopo mascherato dai più vari pretesti.
I nostri media notano con stupore che lo Stato Islamico dedica una certa cura alla comunicazione. Sinora della comunicazione erano stati gelosissimi solo i governi locali amici nostri. Ci scandalizziamo dell’attacco islamico a Charlie Hebdo, in quanto repressivo della libertà di comunicazione. Ma quale libertà di comunicare abbiamo concesso sinora, noi ed i nostri Quisling, agli islamici?
Un articolo su l’«Economist» del 13 dicembre 2014 (pag. 38) quindi precedente all’imponente mobilitazione internazionale a difesa della libertà d’opinione di Charlie, elenca i precedenti fiotti di comunicazione dai nostri Quisling agli islamici, specialmente diretti a convertire i loro predicatori: «Converting the preachers» s’intitola. Chi rifiuta questa paradossale conversione, dice l’Economist passando in rassegna quegli Stati, viene o licenziato come predicatore, o imprigionato. Non cita quelli ammazzati, ma sono molti: ad esempio Al-Sisi, l’ennesimo nostro Quisling che ha militarmente spazzato via il governo egiziano eletto, ha ammazzato una mezza dozzina abbondante di giornalisti già nei primi mesi.
Il petrolio non ama la libertà di comunicazione, da nessuna parte. La comunicazione condizionata dagli interessi petroliferi non risparmia i Paesi che ne sono dipendenti, come l’Italia.
Anche al terzo gradino l’Italia arriva, con una lunga serie di morti ammazzati: Mattei ucciso nei giorni in cui si istituiva l’Enel; Pasolini che nel suo libro «Petrolio» aveva inserito il capitolo «Lampi sull’Eni», stracciato via dopo il suo assassinio; Mauro De Mauro che indagò sulla morte di Mattei; il giudice Scaglione cui De Mauro aveva riferito le sue scoperte, e saltò in aria il giorno prima di depositare tale testimonianza; Toni Bisaglia, affogato in poche spanne d’acqua; suo fratello prete che non si rassegnava alla tesi dell’annegamento casuale, e finì altrettanto casualmente in un laghetto di montagna, però senz’acqua nei polmoni, quindi ucciso prima, non annegato; Donat Cattin morto di setticemia per un bisturi sporco in sala operatoria; l’ing. Fornaciari morto per un virus incurabile, contratto in un Congresso in Giappone dove nessun altro vi è stato infettato; e varie altre morti sospette sebbene non sospettate dalla nostra magistratura, tutte preziose alla causa anti-nucleare e pro-petrolifera.
Scendendo al secondo livello, dei vivi intrappolati da inchieste giudiziarie, la storia italiana è anche ricchissima: Ippolito, presidente del Cnen, accusato di colpe ridicole in tandem da Saragat e Leone, premiati poi con due presidenze della Repubblica e cioè anche del Csm, Consiglio superiore della nostra magistratura; il giudice Almerighi, scopritore dello «scandalo dei petroli» e quindi punito dallo stesso Csm per assenteismo quando lui neppure fruiva di tutte le sue ferie; Pelosi, incarcerato per l’assassinio di Pasolini e terrorizzato perché non se ne potessero discutere le modalità in tempo utile; Craxi, che era «fuori della grazia di Dio» racconta compiaciuto Martelli quando (incassati 50 milioni di dollari dall’Eni, solo come prima di molte tranche) decise di favorire il referendum antinucleare: Craxi voleva discutere del testo referendario e dell’Euratom prima di chiudere le centrali proprio mentre Di Pietro prometteva al Console americano di farlo fuori con le sue future Mani Pulite; Scajola, di tutta la storia italiana e mondiale delle tangenti, unico destinatario di assegni circolari nominativi, poco dopo aver dichiarato in TV tutto il suo entusiasmo per la ripresa nucleare e quindi economica dell’Italia, e disponibile a discutere con Veronesi i reali rischi del nucleare rispetto alle sue reali alternative; Clini, che alla radio aveva chiesto di discutere di nucleare in quanto tecnologia, unico indagato per il cattivo uso delle nostre multe climatiche italiane destinate alla Cina, dove Report è andato a vedere se le biciclette ivi acquistate col contributo del ministero di Clini erano state tenute bene o mal conciate; e così via.
Scendendo ancora al livello musulmano più basso, quello del licenziamento, vediamo molti petrolieri arrogarsi direttamente il ruolo di datore di lavoro dei nostri giornalisti, come proprietari di vari media, senza che mai nessuno obietti su un conflitto d’interesse fra le due qualifiche. L’unica obiezione che ho colto, in tanti anni, è un breve commento di Dagospia alle posizioni anti-nucleari del gruppo Repubblica-L’Espresso, posseduto dallo stesso proprietario di Sorgenia. Che adesso vanta i benèfici ammonimenti da essa erogati alle nostre imprese, insegnando a risparmiare sugli idrocarburi che riesce a vender loro sin che non delocalizzano.
Resta da vedere dove porta i musulmani e gli italiani questa repressione della libertà di discussione sui propri media, e viceversa la ripresa di discussione libera offerta da Internet.
Nello stesso numero dell’«Economist», una sola pagina prima di quella citata, si esamina come proprio Internet costituisca per quegli stessi islamici l’alternativa alla comunicazione vincolata dai petrolieri, ed un accesso alla discussione da essi proibita. Per combattere quella loro comunicazione, ci stiamo alleando con gli hacker di Anonimous: ma abbiamo valutato quali conseguenze potrebbero derivare alla sicurezza dei nostri apparati elettronici?
La Francia si lagna oggi del suo primo assaggio degli attacchi che i due citati articoli dell’«Economist» prevedevano. La Francia ha difeso Saddam perché favorevole alla Total, e massacrato Gheddafi, il suo Governo, l’intero Stato libico perché favorevoli all’Eni: l’emorragia di nostre imprese verso la Francia, che abbiamo numerato sopra, è stata causata anche da fiumi di sangue non metaforico. Dovremo cercare di disinnescare la violenza dei volontari Isis, ma non ci riusciremo se non ripensando prima alle tante guerre che abbiamo inflitto a quelle popolazioni solo perché hanno petrolio sotto i loro piedi, come diceva Mattei: lui non voleva trasformare quella loro fortuna in disgrazia. Come non lo voleva Eisenhower, quando lanciava «Atoms for peace», precursore di Euratom, ed ammoniva, nel suo ultimo «Discorso alla Nazione», che l’apparato militar-petrolifero intendeva minare le nostre democrazie, la nostra capacità di discutere e di decidere liberamente. Quella simbiosi fra petrolieri e grandi eserciti ha bisogno che si inferociscano i rapporti fra Paesi egualmente dipendenti dall’esportazione e dall’importazione degli idrocarburi. Per questo l’Italia è forse davvero il prossimo target degli attacchi dello Stato Islamico. Solo che ormai i nostri eserciti hanno paura, persino a bombardarli, dopo la fine che hanno inflitto al pilota giordano. Non è escluso che fra un po’ si abbia paura a bombardarli pure con i droni, che non rischiano il pilota sul campo, ma attirano ritorsioni sul Paese che li telecomanda.
È improbabile che noi italiani diventeremo tanto feroci quanto questi musulmani, e sarebbe anche sproporzionato, rispetto ai danni che hanno subito quelle popolazioni.
Però anche a noi lo stesso divieto di discussione sulle sorgenti energetiche è costato molto caro: ci ha derubati e ci sta ancora derubando sostanziosamente della nostra capacità di creare del Made in Italy, cioè prodotti che il mondo desidera quanto pochi altri, forse quanto nessun altro insieme nazionale di produzioni.
Noi italiani, brava gente, non creeremo nulla di simile allo Stato Islamico, e pure dopo gli attentati che subiremo forse resisteremo alla tentazione di dare l’ennesimo calcio a quel vespaio sempre più esasperato.
Comunque, se questo divieto di discuterne continuerà per troppo tempo, ci diventerà difficile non vendicarci contro la parte di Europa che il nostro prezioso lavoro ce lo ha rubato, tradendo il Trattato Euratom che insieme avevamo sottoscritto proprio per evitare questo furto.

Informazione e disinformazione

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Sulla questione nucleare sarebbe sicuramente interessante un’indagine su com’è cambiato il «sentiment», verso il nucleare espresso dai quotidiani dal 2000 ad oggi. Sono stati molti gli scienziati e gli economisti che, fino al 2006, si esprimevano in modo chiaro e coerente sugli «svantaggi» del nucleare:
– «Ma il nucleare non è la soluzione giusta» titolava un articolo di Geminello Alvi (economista certamente non in quota al movimento antinuclearista) sul «Corriere della Sera» in Corriere Economia del 14 luglio 2004;
– «Il carbone pulito è la nuova frontiera per i ?maestri? del nucleare di GE» (nientemeno che della «General Elettric» detentrice di importanti brevetti del nucleare civile!) titolava, «la Repubblica» in Affari&finanza del 16 ottobre 2006;
– «Nostalgia del nucleare, ma costa troppo» titolava invece un articolo di J. Giliberto su «Il Sole-24 Ore» dell’11 giugno 2005 che riportava una ricerca economica, condotta per conto del ministero dell’Energia Usa, sul vero costo del nucleare «senza sovvenzioni statali»: 47-71 $ del MWh nucleare contro i 35-45 $ del MWh del turbo gas a ciclo combinato. Un confronto, sui costi, che per la fase transitoria, a cui sono destinate le attuali tecnologie, metterebbe fuori mercato il nucleare al di là di ogni altra valutazione sulla sicurezza degli impianti, sulle scorie non confinabili…
[Ricordiamo, qui (dovendo rilevare una certa latitanza in materia e quindi anche volendo evidenziare le mistificazioni di quella perfida pratica di dimenticare ciò che «non conviene», per sostenere, invece, altre «convenienze» assolute, preordinate e poco trasparenti) che il turbo gas a ciclo combinato è stata una scelta molto importante e vantaggiosa, fatta in Italia alcuni anni fa. Questa tecnologia, infatti, ha un limitato inquinamento e un elevato rendimento (55% rispetto al 40% degli altri impianti) (fonte Cnr)].
Ma, poi, in nome della «mobilità del pensiero» e delle convenienze del momento, nel biennio 2007-08 gli argomenti della questione nucleare diventano di ben altro tenore:
– «L’energia [nucleare] negata» titolava, con toni quasi strazianti, il «Corriere della Sera» in «Corriere del Mezzogiorno» del 5 giugno 2007;
– «Veronesi: solo il nucleare ci salverà» titolava «la Repubblica» del 30 maggio 2007, riportando la voce profetica di un oncologo;
– «Nucleare, tra dieci anni pronta la prima centrale …», anche se «restano le questioni irrisolte della sicurezza e dei costi economici» e anche se si prevede un «costo almeno di 40 miliardi [di euro]», il «nucleare», cioè, secondo «la Repubblica» del 17 marzo 2008, è ormai un «dato di fatto», anche se … vi sono notevoli e gravi questioni «irrisolte»! Tutte cose che sembrerebbero, però, non impensierire i «disinvolti» sostenitori del «fare le cose» e quelle nucleari in particolare;
– il 3 novembre 2007 il «Sole-24 Ore» esce con un allegato di 4 pagine «Nucleare a 20 anni dal referendum». Dispersi in più articoli, anticipati dal titolo «Si incrina il fronte del ?No?», in realtà vi sono interessanti notizie, «forse» in contrapposizione con lo «spirito» del dossier. Da un collage di argomenti ne viene fuori un quadro emblematico


delle incertezze esistenti sul nucleare:
I costi dell’atomo … sono decisamente competitivi … quando fanno parte di un programma statale … o monopolistico, … se la gestione delle scorie è a carico della collettività [prelievo in bolletta per lo smaltimento], … se vi sono sovvenzioni e garanzie finanziarie pubbliche, … se le assicurazioni possono godere di limiti nei risarcimenti, … se gli impianti sono molti e tutti uguali, … se tutto procede più o meno per il verso giusto, … se la progettazione si rivela davvero priva di errori, … se gli impianti sono pronti entro cinque anni, … [se] il modello è consortile, … se si gestiscono impianti già esistenti [senza costi di costruzione], … se ben confezionate nella tecnologia e nella finanza, … se si ottiene un prestito dalle banche inferiore al 5%.
Se si adottano i suddetti accorgimenti, «niente affatto scontati», … solo così è un vero affare!

Intanto, mentre le cose cambiavano (nel mondo dell’informazione, ma non per la tecnologia nucleare scelta, rimasta la stessa dagli anni 60 del secolo scorso), noi avremmo voluto capire chi stava «guidando» l’informazione e «gestendo» anche il cambiamento della visione della realtà. Non avremmo, certamente, voluto fare, come invece abbiamo dovuto fare, gli spettatori di una fiction già definita nella trama e nell’epilogo. Così, alla fine, ci siamo trovati tutti a fare la parte del «popolo bue» e (per chi avesse voluto indagare su alternative e opinioni diverse) a fare anche la parte del vaso di coccio fra i vasi di ferro.
È, quindi, certamente opportuno ed urgente fare una riflessione sui meccanismi che alterano le nostre visioni della realtà e sul loro uso che azzera la pratica, informata e consapevole, della partecipazione dei cittadini alle scelte democratiche.

La produzione di energia elettrica in Italia rappresenta, oggi, meno del 30% (fonte: Unione Petrolifera su dati 2003 ministero delle Attività Produttive) del totale dell’energia necessaria al nostro paese, misurata come petrolio equivalente consumato per produrla. La quota ben maggiore di energia, consumata nel nostro paese, è invece quel 70% di energia per usi non elettrici, costituito, soprattutto, dal consumo di oli combustibili (per usi termici diretti) e di carburanti (per il sistema dei trasporti).
Ma, fino a qualche decina di anni fa (anni 70), i consumi di energia elettrica (calcolati sulla media di due anni disponibili forniti da elaborazioni Enea su dati ministero dell’Industria) erano notevolmente più bassi (molto meno del 15% circa), cioè molto meno della metà dei consumi percentuali più recenti. Un divario percentuale a cui, oggi, non fa riscontro un parallelo aumento percentuale di consumi elettrici per la produzione industriale, la cui percentuale sui consumi elettrici è, anzi, diminuita (le serie di dati disponibili mostrano un passaggio, dagli anni 70 al 2000, dal 60% circa al 50% circa.
Valori calcolati dai dati disponibili forniti da elaborazioni Enea su dati ministero dell’Industria). È evidente, dunque, che il maggior consumo, rilevato oggi, deve essere attribuito ai maggiori assorbimenti di energia elettrica per usi civili e commerciali.


Ffra questi, quelli per il condizionamento climatico degli ambienti chiusi (come chiaramente indicato dai picchi dei consumi estivi e dai relativi rischi di black-out elettrici, quando invece si registrano i minimi della produzione industriale) e per una sempre più diffusa illuminazione notturna delle vie di comunicazione urbane ed extra urbane.
Detto in altri termini, fino a qualche decina di anni fa vivevamo così come, in buona sostanza, viviamo oggi, ma con consumi elettrici molto inferiori e, sicuramente, con meno urgenze e angosce del «fare» e del «consumare», più tempo per «osservare» e più serenità per «pensare».

Ioni e salute umana

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L’altro sostegno è infine dovuto all’arrivo nel gruppo di ricerca di Fabrizio Guidi, un giovane ingegnere elettronico sempre di buon umore e molto preparato nella sua materia.

Ci siamo finora permessi qualche divagazione, intrecciata alle storie personali dei protagonisti del gruppo di ricerca. Esaminiamo adesso il contributo che essi hanno fornito nello studio del rapporto tra ioni aerei e effetti di questi sulla salute umana. Per prima cosa sintetizziamo semplificandolo, il modello descrittivo dell’interazione tra uomo e ambiente proposto da Scalia e dal suo gruppo.
Con riferimento alla fig. 1, vediamo che tutti noi, il sistema uomo, viviamo immersi in un ambiente che per comodità di rappresentazione è stato suddiviso in fattori di origine terrestre, extraterrestre, tecnologica e socio-culturale. Le freccette che convergono tutte su di noi ci dicono che tutti questi fattori possono influenzare la nostra vita fisica e mentale.

 

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Fig. 1 – Schema a blocchi dell’interazione tra esseri umani ed ambiente fisico e sociale. In una visione di insieme del modello illustrato, il sistema uomo agisce sui fattori socioculturali, ma a sua volta ne è influenzato. Anche i fattori di origine tecnologica sono legati con un doppio rapporto ai sistemi viventi umani e alla loro cultura. Infine, il sistema uomo subisce anche l’influenza degli elementi di origine extraterrestre, che esplicano a loro volta un’azione sui fattori di origine terrestre, i quali sono in rapporto diretto con i fattori tecnologici prodotti dall’uomo12

 

I fattori di origine terrestre sono gli elementi del clima che percepiamo durante l’anno, il caldo dell’estate e il freddo dell’inverno, l’umidità che ci fa sudare se è accompagnata da temperature elevate o ci procura dolori alle articolazioni se invece la temperatura è bassa; infine la pressione dell’aria che cambia quando si avvicina il tempo perturbato. Ci sono poi altri elementi naturali, che, in generale, non siamo in grado di percepire, ma che hanno accompagnato la nostra evoluzione: il campo elettrico e il campo magnetico naturali, che sono statici, cioè non variano nel tempo; il campo elettromagnetico a alte frequenze; la radioattività naturale; e, infine, i piccoli ioni aerei, che sono le molecole di aria che respiriamo, alcuni carichi negativamente e altri positivamente.
Accanto a questi fattori ci sono quelli extraterrestri che provengono dallo spazio. Come nella situazione precedente, alcuni fattori quali la luce solare possiamo percepirli; si pensi alla sensazione di calore che ci procura una giornata soleggiata. Altri no, come, ad esempio, la radiazione elettromagnetica cosmica, in realtà una successione di impulsi ad alta frequenza, dovuta principalmente all’attività del sole e delle galassie che piove sulla Terra.
Pur se non siamo in grado di percepire tutto l’ambiente fisico naturale, questo è capace di interferire con i nostri sistemi di regolazione corporei, quelli che i medici indicano come omeostasi. In che modo? Alcuni individui, quelli che hanno la capacità di regolazione più labile, meno efficiente, quando c’è una variazione notevole dei fattori naturali avvertono, per esempio come succede alla sottoscritta, sensazioni di malessere.
Fin qui tutto sembra rientrare nell’ordine delle cose. L’analisi si complica per la presenza di quelli che nello schema della fig. 1 sono indicati come fattori di origine tecnologica. In pratica, gli inquinanti chimici, che possono costituire un rilevante rischio sanitario o quando sono ingeriti con i cibi o quando vengono inalati con l’aria, nella quale operano la sostituzione dei piccoli ioni aerei con quelli grandi, non salutari per noi; seguono i campi elettromagnetici artificiali e le radiazioni ionizzanti legate ad attività diagnostiche, industriali o ad impianti o trasporti di materiale nucleare.
E le intensità dei campi elettromagnetici artificiali (trasmissioni radio e televisive, radar, telefonia cellulare, elettrodotti che trasportano la tensione di rete, elettrodomestici, ecc.) variano da migliaia a, in qualche caso, milioni di volte quelle dei campi naturali.
I campi artificiali e i grandi ioni sono immaginabili come degli stimoli ambientali a cui non siamo abituati e nel linguaggio medico vengono detti agenti stressanti. Un agente stressante o stressore, se prolungato nel tempo, può innescare la reazione di stress, in altre parole è in grado di danneggiare la nostra capacità regolatoria, quindi indebolire il sistema immunitario e nervoso. Risultato: maggiore vulnerabilità alle malattie e facilitazione all’insorgenza del cancro.

12 Estratto da: M. Scalia, M. C. Mazzi, G. Sacco, F. Pulcini, F. Guidi, M. Sperini e F. Marinelli: Il fascino discreto dell’elettromagnetismo. Tutto quello che dovreste sapere sull’inquinamento elettromagnetico: scienza, salute e ambiente (pag.21-23), Edizioni Andromeda s.r.l., 2012

Sincerità e incertezze, le indicazioni della Natura

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Sono molti i palazzi del potere che si propongono alla nostra vista con ampie e luminose vetrate, anche se è del tutto improbabile che queste possano mostrare e far comprendere l’articolazione delle attività e le scelte che, al loro interno, decidono le nostre sorti, al di là della retorica su finalità e risultati che vengono raccontati.

Negli attuali scenari di deformato e disorientato rapporto con la realtà, sono, forse, molti quelli che vorrebbero poter attribuire, alla sincerità delle relazioni umane, la funzione essenziale di strumento personale e indispensabile per animare una casa di vetro ideale, che offra concrete trasparenze (a finalità e obiettivi condivisi) e occasioni di partecipazione ai processi e alle verifiche di miglioramento della qualità di vita.
Ma la sincerità può apparire trasparente, solo come intenzione accompagnata dalle sue incerte verifiche. Se viene perseguita e realizzata attraverso un dialogo, fra le diverse attese dei singoli individui e i loro modi di essere, può trovare, però, sintonie in interessi comuni, ma non garantisce automaticamente anche una conseguente trasparenza di qualità, degli individui e delle loro comunità, spendibili in termini di condivisione e di valore delle scelte etiche e culturali. Sulla sincerità (non distintamente valutabile fra le incertezze delle sue precarie tracce formali), possono, così, prevalere non la continuità delle intenzioni, perseguite da chi le assume come riferimenti di un proprio stile di vita, ma le personali convinzioni utilitaristiche di altri: per esempio, quelle dei suoi interlocutori, strumentalmente costruite sui vantaggi che ne possono trarre.
Oggi, la sincerità non è, dunque, un attributo affidabile neanche in contesti del tutto trasparenti alle nostre osservazioni. È una predisposizione personale che, pur se lealmente ricercata, sembra poi destinata a manifestarsi in modi estemporanei e a risentire delle interferenze determinate dalla complessità degli eventi nei quali viene espressa. Rimane, comunque una prospettiva di cambiamento che trova, già oggi, costruttivi riscontri in comunità di piccole dimensioni.
Dobbiamo, però, evidenziare anche il pericolo che, nel senso comune delle cose, sia considerata sincerità, non solo l’espressione di un modo autonomo di essere, ma anche la fedeltà mantenuta a una parola data, indotta da sottomissioni a un potere che si propone di trarne un proprio vantaggio anche a danno di altri. Un comportamento socialmente asimmetrico che può condizionare pesantemente la qualità e le scelte di vita di interi territori.
In questi casi c’è il rischio che venga distrutta anche quella complessità vitale che è un’indispensabile prerogativa dei processi naturali, che operano per la tenuta degli equilibri globali. La complessità, infatti, non offre vantaggi a un particolare fenomeno a danno di altri, ma impegna le capacità specifiche disponibili, in ciascun individuo di qualsiasi specie, per lo sviluppo di condizioni di equilibrio a favore di tutto il sistema vitale naturale.
La Natura non propone il successo di una specie o innovazioni strutturali e funzionali per inseguire lo sviluppo di una tecnologia, ma cambiamenti che offrono continuità e migliore articolazioni creative (complessità) ai fenomeni vitali: la natura muta la composizione dei fenomeni biologici riconoscendo, nel tempo, le priorità e le integrazioni richieste per alimentare gli equilibri vitali (quindi arricchisce e non riduce la diversità solo a ciò che può servire in un certo momento); la Natura non usa energie per infertili consumi entropici, ma offre soluzioni su come ottenere alti rendimenti, ingegnosi e vitali (pur se sottoposti ai vincoli dei processi termodinamici), per generare fertili e creativi equilibri biologici; la Natura non ha il possesso delle risorse e non agisce con esse in mercati speculativi, ma le mette a disposizione in funzione delle necessità diffuse di uno sviluppo vitale che è in sintonia con tutte le diversità che animano i fenomeni naturali; la Natura non violenta le specie con interventi meccanici immotivati di sostituzione di pezzi del loro Dna originale (per produrre Ogm al di fuori delle relazioni e modificazioni biochimiche spontanee che, da sempre e con continuità, hanno dato tenuta ai processi evolutivi e a tutto il sistema vitale terrestre), ma lascia che i processi biologici interagiscano, nei modi favoriti dai diversi contesti, per trovare sinergie e convenienti soluzioni evolutive.
Queste ultime, dunque, sono segno di una scelta specifica di direzione, di un progetto in sintonia con le qualità delle risorse disponibili e non contro le loro vocazioni naturali, pur se usando efficaci artifici. L’uomo, fin dai primi tempi della sua storia, ha saputo interpretare e applicare, con buoni risultati sul miglioramento genetico delle specie, i suggerimenti della Natura usando le stesse procedure non invasive (per esempio quelle della selezione e della ibridazione).
Se certe mutazioni del Dna, rese possibili dall’ingegneria genetica, non avvengono spontaneamente in natura è plausibile che esistano delle ragioni (almeno allo stato attuale delle cose). Il mettere in vetrina, i risultati dell’ingegneria genetica, come simbolo del progresso, diventa, allora, solo un modo suggestivo ma infido, per convincere l’uomo ad affidarsi ciecamente alla tecnologia.
Se si finisce col seguire gli atti impulsivi dettati da suggestive applicazioni meccaniche delle tecnologia nei campi affidati, invece, alle nostre consapevolezze e autonomia di giudizio, si accetta, implicitamente, anche una visione della realtà parziale, privata della riflessione sulle cose di questo nostro mondo e della conseguente possibilità di effettuare scelte responsabili.
Dobbiamo, purtroppo, prendere atto che gli attuali stili di vita sono spinti da automatiche applicazioni delle scoperte scientifiche: dalla devozione dogmatica verso l’innovazione tecnologica che (qualcuno ne è totalmente convinto) salverà il mondo; da un’idea di progresso ridotto a sviluppo di prodotti e servizi avanzati; da una mistificante idea di libertà che rimuove il concetto di confine, non solo come segno dei limiti intrinseci della materia, ma anche come vincoli che sono, invece, risorse necessarie per superare approcci solo teorici e poter, così, operare concretamente in condizione di realtà. Sono, queste, tutte idee, di progresso e di libertà, deformate che, per rendersi ben riconoscibili e per dissociarsi dai riferimenti alla diversità contenuti nel concetto di libertà, hanno dovuto, necessariamente, presentare e far riconoscere, con un nuovo termine (quello del «liberismo»), il proprio dogma ideologico, difeso dalla barriera inviolabile dell’assoluto. Una barriera trasparente come il vetro, per mettere in mostra la deviante semplicità interpretativa dei fenomeni e il conseguente accattivante determinismo lineare dei suoi assunti, ma anche una barriera impenetrabile ai rischi di essere modificata da alternative, da libere riflessioni sul senso delle cose, da valutazioni critiche sulla compiutezza presunta dei suoi argomenti e sugli effetti della pratica dei suoi dettati.

Riduzione e razionalizzazione dei costi energetici

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Con l’intesa le Amministrazioni provinciali di Matera e Potenza si impegnano a trasmettere alla Sel, entro 30 giorni dalla sottoscrizione, tutte le copie complete delle bollette del gas e di energia elettrica degli ultimi due anni con relativi contratti. Inoltre, le due province delegano la Sel a richiedere alle Società di vendita di energia elettrica e gas tutti i dati riguardanti i propri consumi ed i relativi costi. E delegano alla Sel tutte le attività correlate e propedeutiche all’approvvigionamento energetico, quali il monitoraggio dei consumi e l’organizzazione e la gestione delle gare di approvvigionamento.

La Sel, dal suo canto, si impegna a contattare tutti gli attuali fornitori di gas naturale e di energia elettrica per rinegoziare i contratti di fornitura attualmente in essere ed a provvedere a quanto necessario per organizzare l’acquisto aggregato del gas naturale e dell’energia elettrica. La Sel, inoltre, costituirà un archivio completo in formato elettronico dei dati relativi ai consumi annui che saranno pubblicati sul suo sito internet.

Per queste attività la Sel implementerà una rete di coordinamento con gli energy manager delle province di Matera e Potenza e delle Agenzie Provinciali per l’Energia e l’Ambiente (Apea) di Matera e Potenza per lo scambio di best practice nel settore energetico.

(Fonte Regione Basilicata)