La Chimica sostenibile

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L’ultimo sviluppo della chimica, la cosiddetta Chimica Verde (un termine che a me non piace) trova fondamento nell’assunzione che chi progetta un prodotto chimico di qualsivoglia natura deve considerare gli effetti che dal suo uso si possono avere per l’ambiente e la salute umana. Questo significa cambiare la vecchia impostazione secondo la quale i 2 termini del binomio economia/ambiente sono fra loro incompatibili: o si procede pensando agli interessi dell’uno o dell’altro, non è possibile farlo negli interessi di entrambi.
Oggigiorno le compagnie si accollano costi dell’ordine delle centinaia di milioni di dollari per rimuovere diossine, metalli pesanti, amianto ed altri inquinanti. L’unica soluzione per ridurre drasticamente questi costi sta nella prevenzione: questo è il reale motivo che ha fatto divenire in questi ultimi 10-15 anni la chimica verde un affare da molti milioni di dollari.
Essa consiste sostanzialmente nel ripensare gli schemi di produzione in modo tale da cambiare i nostri stili di vita e di non danneggiare il nostro ecosistema. Molti chimici vi lavorano da anni, a partire dalla sua sede per eccellenza, l’Agenzia Americana per la Protezione dell’ambiente (Epa) sotto la cui egida sono stati portati avanti programmi di ricerca, di sviluppo e di implementazione di tecnologie chimiche innovative che vogliono prevenire l’inquinamento con metodi scientifici ed economici.
Ufficialmente la nascita della chimica verde si fa risalire al 1991. Da quella data la crescita progressiva che ne è seguita è stata sostenuta dalle nuove conoscenze relative ai materiali pericolosi ed a quelli innocui, dalla crescente abilità dei chimici a manipolare le molecole per creare i composti desiderati, dai costi crescenti derivanti dalle esigenze di smaltire materiali pericolosi.
I primi programmi di Chimica Verde non erano regolati e sostanzialmente procedevano con le partecipazioni volontarie di industrie, accademie, agenzie governative, società scientifiche, organizzazioni commerciali, laboratori nazionali e centri di ricerca per promuovere la prevenzione dell’inquinamento. I principi della chimica verde possono essere individuati nella prevenzione di rifiuti e scarti da smaltire o detossificare, nella produzione di «chemicals», sicuri ed efficaci, nella progettazione di metodi di sintesi meno rischiosi sia per l’uomo sia per l’ambiente, nell’impiego di materie prime rinnovabili (prodotti agricoli o scarti di altre produzioni), nell’uso di catalizzatori riutilizzabili più che di reattivi stechiometrici, nell’evitare in un processo chimico il procedere di processi aggiuntivi secondari (che produrranno altre scorie), nella ricerca della massima economia atomica e molecolare (come rapporto fra le moli della materia prima e quelle del prodotto finale), nell’uso di solventi e condizioni sperimentali quanto più sicure possibile, nella ricerca del massimo rendimento energetico (se possibile scegliere reazioni che avvengono a temperature e pressione ambiente), nelle progettazioni di prodotti che possono, alla fine del loro ciclo, essere smaltiti e degradati, senza accumuli ambientali, nel monitoraggio continuo al fine di evitare che si producano prodotti secondari, nel ridurre al minimo il potenziale rischio per incidenti (esplosioni, incendi, sversamenti). Oggi il termine è sempre meno utilizzato sostituito da Chimica sostenibile a cui Euchems, la Federazione europea della Società Chimica, sta per dedicare un premio. La differenza non


è solo terminologica. Sostenibile vuol dire capace di mantenersi a lungo, senza decadimento o interruzione quindi garantendo anche alle generazioni successive il dovuto contributo e le risorse ambientali, alimentari, produttive sulle quali tale contributo si basa.

I primi due giorni

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Lunedì 28

Si è aperta a Montreal lunedì alle 10 locali (ore 16 in Italia) la undicesima sessione della Conferenza delle Parti. Dopo la cerimonia di apertura ed un minuto di silenzio per onorare la memoria del Segretario Generale Unfccc: la sig.ra Waller-Hunter deceduta il 14 ottobre scorso è stato eletto per acclamazione come presidente della Cop-11, ma anche della Cop/Mop-1, il Ministro dell’Ambiente canadese Stephane Dion.

Poi ci sono state richieste da parte di alcuni paesi per porre l’attenzione su alcune priorità quali il trasferimento di tecnologie dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, il problema dell’adattamento ai cambiamenti del clima e il problema di adeguate risorse finanziarie che invece mancano. L’Unione Europea ha invece richiesto la massima disponibilità senza pregiudizi (open mind) per concordare quello che sarà, a partire dal 2012, il dopo Kyoto.

Anche la Cop/Mop-1 del Protocollo di Kyoto è stata avviata in tarda mattinata con la richiesta della UE di formalizzare e ratificare in sede Cop/Mop gli accordi di Marrakesh e per procedere verso la regolamentazione di tutto il settore riguardante le verifiche, i controlli e le sanzioni per gli inadempienti. Infine sono stati avviati i lavori degli organi di supporto tecnico della Unfccc: e cioè il Sbsta e lo Sbi.

Martedì 29

Prosegue il lavoro degli organi tecnici della Unfccc sulla parte amministrativa e finanziaria del Protocollo di Kyoto e sui problemi di coordinamento delle ricerche scientifiche e delle osservazioni sperimentali internazionali sui cambiamenti climatici.

È stato presentato anche il rapporto Ipcc sul sequestro del carbonio ed il suo confinamento geologico, una delle possibili soluzioni per ridurre le emissioni di anidride carbonica che, contrariamente all’entusiasmo di molti paesi che si stanno impegnando in questo settore, Ipcc considera come soluzione integrativa del tutto temporanea e transitoria, con molti problemi da risolvere nel contesto delle contabilizzazioni richieste dal protocollo di Kyoto e certamente non di lungo periodo.

Critiche sono state espresse da molti delegati, oltre che sulla insufficienza dei fondi disponibili, soprattutto sul funzionamento e sulla vera efficacia del Gef, il fondo speciale della World Bank istituito per il clima, la biodiversità, l’ozono stratosferico e gli oceani.

Infine, è stato conferito agli Usa il primo premio per la giornata odierna (Fossil of the Day Award)che viene sarcasticamente assegnato dagli ambientalisti alle delegazioni governative che si distinguono in senso negativo nei negoziati sul clima.

Da 30 la CO2 è in crescita

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L’aeronautica militare comunica i dati di 30 anni di monitoraggio dell’anidride carbonica. Le misure di «concentrazione di anidride carbonica» (CO2) effettuate nel 2009 confermano l’oscillazione stagionale, fenomeno noto anche come il «respiro della Terra»

Il ciclo continuo della vita

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In ogni caso la vita fluisce attraverso un ciclo continuo di rapporti fra esseri viventi.

Ciclo che comincia con gli organismi vegetali che crescono utilizzando l’anidride carbonica dell’aria, l’acqua dell’aria e del terreno e i sali presenti nel terreno stesso per «produrre» (piccole fabbriche biochimiche) carboidrati, proteine, grassi, eccetera. Non per niente i biologi con spirito illuministico hanno dato ai vegetali il nome di organismi «produttori», per analogia con quanto avviene nelle manifatture che producono, appunto, merci trasformando alcune materie prime con le macchine e il lavoro. Dal momento che sono capaci di vivere nutrendosi da soli, un termine più elegante per indicare i vegetali è quello di organismi autotrofi, da autos, da solo, e trofe, nutrizione. Alla fine della loro vita i vegetali muoiono, generando con i loro semi, altra vita vegetale o animale, e lasciano nel terreno o nelle acque le loro spoglie.

Gli esseri viventi che non sono capaci di nutrirsi da soli e che dipendono da altri sono gli animali che i biologi hanno chiamato «consumatori», anche questo un termine preso a prestito dall’economia e dai commerci; o, con nome più appropriato, organismi eterotrofi, che si nutrono di altri viventi, vegetali ma, come vedremo, anche altri animali. Non c’è bisogno di dire che gli esseri umani sono animali consumatori di altri viventi. L’esempio iniziale della colazione mattutina dice che siamo consumatori sia di vegetali, sia di animali.

Nel corso del loro metabolismo gli animali trasformano le sostanze chimiche presenti nel cibo in molecole del proprio corpo e, in parte, in prodotti gassosi (per lo più anidride carbonica, ma anche metano e altri gas), liquidi e solidi. I gas vanno nell’atmosfera e i liquidi e solidi vanno nell’ambiente circostante, acqua o terreno che sia.

Qui incontriamo un’altra popolazione di «servitori» della vita, gli organismi decompositori, già ricordati, che hanno la funzione di trasformare le molecole presenti nelle spoglie vegetali e negli escrementi animali (cellulosa, amido, proteine, grassi, eccetera) in molecole più semplici, anche queste in parte gassose, in parte solubili nelle acque e nel terreno. Con queste si completa il circolo della vita: produttori-consumatori-decompositori, ciascuno utile agli altri, ciascuno dei quali, egoisticamente, cerca la prosecuzione della propria vita. Tutti «vogliono vivere», ma tutti sanno che il loro destino è contribuire alla vita di altri. In natura non esiste la morte perché ogni sostanza di un organismo che ha finito il suo ciclo, genera altra vita. Come dice la cinica espressione: «mors tua vita mea», che meglio non potrebbe sintetizzare la «lotta per l’esistenza».

Cos’è Epica

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Epica (European Project for Ice Coring in Antarctica) è un consorzio di 10 nazioni europee (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Olanda, Norvegia, Svezia, Svizzera). Epica è coordinato dalla European Science Foundation (ESF) e finanziata dalle nazioni partecipanti e dalla Unione Europea.
Il gruppo di ricercatori Epica utilizza una documentazione climatica unica, presente nelle carote di ghiaccio, per studiare le relazioni tra la chimica dell’atmosfera e i cambiamenti climatici negli ultimi 740.000 anni, specialmente gli effetti della CO2, del metano e degli altri componenti dell’atmosfera. I risultati saranno usati per verificare e migliorare i modelli utilizzati per la previsione del clima futuro. Lo scopo di Epica è di perforare due carote di ghiaccio fino alla base della calotta Antartica, una Dome C, la seconda nella Terra della Regina Maud. Entrambe le perforazioni dovrebbero raggiungere il loro scopo nei prossimi due anni.
Le carote di ghiaccio sono cilindri di ghiaccio del diametro di 10 cm e lunghi fino a 3 m, che vengono progressivamente perforati ed estratti. I fiocchi di neve raccolgono particelle nell’atmosfera e bolle d’aria rimangono intrappolate tra i cristalli di neve, quando questa si trasforma in ghiaccio. Le analisi della composizione chimica e delle proprietà fisiche della neve e delle bolle d’aria, inclusi i gas atmosferici che contribuiscono all’effetto serra, quali CO2 e metano, mostrano come il clima sulla Terra sia cambiato nel tempo.
Il lavoro in Antartide è una sfida sia scientifica che ambientale: Dome C (75° 06′ S, 123° 21′ E) è uno dei luoghi più ostili sulla terra, con temperatura media annua inferiore a – 54 °C. I ricercatori vi giungono con un piccolo aereo o con carovane di trattori e slitte, attraversando oltre un migliaio di chilometri di un deserto di neve, dove bufere e tormente sono comuni.

La partecipazione italiana al progetto Epica si è svolta nell’ambito e con il supporto finanziario e logistico del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra), promosso dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Al progetto Epica hanno partecipato gruppi di ricerca afferenti a numerose università italiane, al Cnr ed all’Enea. In particolare hanno collaborato l’Università di Milano Bicocca (responsabile nazionale), l’Università di Firenze, l’Università di Milano, l’Università di Parma, l’Università di Trieste, l’Università di Venezia. Hanno inoltre collaborato l’Università di Modena, l’Università di Bologna, il Centro di Ricerca dell’Enea Casaccia a Roma, il Cnr di Pisa.
Determinante al successo delle attività svolte a Dome C è stato l’apporto logistico italiano da parte dell’Enea Progetto Antartide, dal 2003 Consorzio Pnra scrl. In particolare, in più occasioni, decisivo è stato il sostegno dell’ing. Mario Zucchelli, prematuramente scomparso. Pure molto prezioso è stato il contributo tecnologico alla perforazione, offerto dall’Enea Brasimone.

Il contributo scientifico italiano ha riguardato: 1) le indagini geofisiche e geodetiche per la localizzazione del sito di perforazione (Università di Milano e Bologna), 2) la partecipazione alle attività di preparazione dei campioni e di analisi in situ delle carote di ghiaccio estratte e le analisi nei laboratori italiani. In particolare i gruppi Italiani hanno curato


parte delle analisi chimiche continue e discontinue dei principali ioni presente nel ghiaccio (Università di Firenze), degli elementi in traccia (Università di Venezia), della composizione isotopica del ghiaccio (Università di Trieste e di Parma), delle polveri fini atmosferiche contenute nel ghiaccio (Università di Milano Bicocca e di Modena, Enea Casaccia). Alle attività in Antartide hanno preso parte 16 tra ricercatori e tecnici italiani, mentre molto maggiore è stato il numero degli addetti nei laboratori in Italia.

La primavera della fusione fredda

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Ho conosciuto il prof. Focardi molti anni fa. Ero un giovane docente dell’Università di Milano dedito ad aiutare giovani ad acquisire competenze in Informatica. Da Fisico, Amavo la Fisica. I posti di lavoro in Fisica erano pochi. E quindi cercavo di rendermi utile in altro modo. Il prof. Focardi mi aveva capito. Stava facendo nascere un Corso di laurea in Scienze dell’Informazione a Cesena. M’invitò a tenere la prima lezione agli studenti del primo anno di quel corso, in fase di avviamento.

Da allora, sono passati molti anni, ho seguito come osservatore esterno gli sforzi scientifici del prof. Focardi, nel suo tentativo di spiegare le anomalie energetiche del Nikel impregnato di idrogeno. Il fenomeno era noto dal 1936, ma di fatto pochi, fra cui Focardi, lo avevano preso sul serio. La ricerca sul Nikel, e quella sulla così detta fusione fredda, è sempre state ignorata e considerata cattiva scienza da una parte del mondo accademico.

Anche Fleishman, uno degli iniziatori assieme a Pons della così chiamata fusione fredda, era informato del fenomeno. Me lo descrisse personalmente e tuttavia decise di abbandonare quel filone per varie ragioni. Il fenomeno nei suoi aspetti esterni era ben evidente. Il nikel in particolare condizioni si scaldava e manteneva il suo calore per molto tempo. L’assenza di spiegazione teorica induceva molti accademici a ignorare la cosa seppure segnalata da Focardi e altri. Il fenomeno poi era poco riproducibile. Il che lo rendeva di scarso interesse applicativo. Quel fenomeno entrava nella linea di quella produzione di calore che molti sognatori, anche ispirati da Giuliano Preparata di Milano, immaginavano come soluzione ai problemi energetici dell’umanità, in alternativa, ai combustibili fossili.

Energia infinita

Accanto al giudizio sulla cattiva qualità su quelle ricerche sorgeva anche una certa ostilità per le ricerche sulla fusione fredda, forse pilotata da oscuri sentimenti che non escludevano la realtà di quei sogni.

Tuttavia molti scienziati se ne occuparono, spesso di nascosto e con non poche difficoltà. I fondi dedicati a quel tema molto scarsi e certamente non pilotati da una lobby analoga ad altre ben presenti e forti nel mondo della ricerca e sviluppo. In Italia, sono stati pochi gli scienziati che hanno lavorato a quei temi. La loro costanza tuttavia ha dato esempio a molte iniziative in tutto il mondo. Iniziative, pubblicizzate solo da un giornale dal titolo «Energia Infinita». Inutile dire che lo leggevano gli appassionati (io sono fra quelli) e gli addetti. Mentre gli sforzi teorici di Preparata ed altri venivano costantemente screditati. Le linee di ricerca erano molte, spesso orientate a costruire un’immagine accademica al settore della Fusione Fredda: In fondo chi se ne occupava avrebbe voluto conquistare un posto nella Accademia oltre a regalare alla umanità un nuovo fuoco che veniva proposto come inesauribile e privo di scorie di qualsiasi natura.

La convinzione di molti era che la natura delle anomalie energetiche fosse di origine nucleare, ovvero conseguenza della frammentazione di nuclei di atomi con associata emissione di energia. Ma, come potevano i nuclei rompersi, ovvero, nel linguaggio dei fisici, come nascevano quelle reazioni nucleari? Il problema era di massimo interesse anche scientifico, ma negato da buona parte del mondo dei fisici nucleari per ragioni chiare ben comprensibili.

Infatti, per rompere dei nuclei occorre introdurre delle specie di bombe nei nuclei che, rompevano gli equilibri interni sviluppano, si potrebbe dire, dei terremoti nucleari, le cui conseguenze sono emissione di energia. Fenomeni ben conosciuti nel mondo della fisica delle stelle (anche sul sole) e in laboratori di ricerca. Le bombe che possono penetrare nei nuclei sono i neutroni, particelle grandi quanto un nucleo dell’atomo di idrogeno, ma senza carica elettrica. Essendo neutri, i neutroni possono superare la barriera elettrostatica che rende impossibile alle cariche positive di penetrare nel nucleo.

Per rompere molti nuclei occorrono molti neutroni, nel nikel chi genera quei neutroni? Il nikel ha una sua struttura metallica (cristallina). Certamente l’idrogeno sparso nel nikel perde elettroni. Ma diventano solo cariche positive che sono respinte dai nuclei e, solo a temperature di centinaia di milioni di gradi riuscirebbero a rompere nuclei.

Dunque emergeva un problema ancora molto discusso e con una varietà di spiegazioni, ancora non definitive! Qui un buon ingegnere fisico avrebbe potuto illuminarsi e concludere che avrebbe potuto usare il fenomeno, per produrre energia attraverso la rottura di nuclei atomici indotta dalla presenza dell’idrogeno nel nikel, accettando una qualche spiegazione sulla esistenza del fenomeno. Fenomeno, che sul piano sperimentale era seriamente indubitabile.

Un incontro fortunato

Così avvenne: il destino ha fatto incontrare Rossi con Focardi. La scintilla è nata.

Qui l’ingegno di un ingegnere accanto a un fisico ha fatto capire che si sarebbe potuto immettere un piccolo flusso di idrogeno nel nikel, alzare la temperatura dello stesso a un livello a cui il fenomeno della produzioni di «neutroni» o entità simili, avrebbe potuto verificarsi.

Occorreva rompere nuclei senza ricorrere ai fenomeni di reazione a catena noti nella ingegneria nucleare. Era opportuno introdurre corrette sostanze, preparate in modo da essere in intimo contatto con i «neutroni prodotti». Lì, la temperatura sarebbe aumentata per le reazioni nucleari: l’acqua fredda avrebbe tenuto la temperatura sotto controllo, ovviamente scaldandosi. Così grazie al destino incrociato di Rossi e Focardi, il fuoco di prometeo è stato acceso, come in una candela in cui lo stoppino brucia lentamente mentre assorbe la cera!

Ora è il tempo della saggezza. E il contesto è difficile, per tutti: Quel fuoco di Prometeo promette energia senza emissione di anidride carbonica, è certamente possibile la sua riproduzione industriale (già avviata in Grecia). Quel fuoco non produce scorie. Le poche radiazioni emesse si fermano con uno schermo di piombo del tutto simile a quello che protegge i radiologi negli ospedali. L’energia elettrica si produce facilmente a partire dal calore prodotto. Molte strade si aprono… veramente molte.

Alcune conseguenze

Si può così capire che il mondo dei combustibili fossili che stava accettando le nuove idee sulle energie alternative anche come conseguenza della percezione dei limiti delle risorse petrolifere, si possa preoccupare e continui a sperare in qualche bugia interessata di chi nega se non il fenomeno, la relativa utilizzabilità.

Ma alcune conseguenza vanno assunte subito:

– Si potrebbe ad esempio proporre di bloccare lo sviluppo di biocombustibili che utilizzino terreno agricolo. Gli incentivi di quelle attività potrebbero essere indirizzati verso impianti per la produzione di energia con il nuovo fuoco di Prometeo.

Le Nazioni Unite hanno già preso una decisa posizione contro la sostituzione di beni alimentari con la produzione di biocombustibili, in una situazione che, si sa, sta portando molti nel mondo, verso la fame.

– Si può progettare come la graduale sostituzione dei combustibili fossili con queste nuove fonti di energia, possa essere compensato con una forte riduzione delle tensioni internazionali grazie alla partecipazione di tutti, anche dei produttori di combustibili fossili. Questi dovrebbero prevedere una loro riconversione industriale.

– Si può valutare la conseguenza della disponibilità di energia sulla desalinizzazione dell’acqua, con possibile riduzione delle guerre per il futuro controllo delle risorse idriche.

Certo serve la buona volontà del mondo, tutto. In questo contesto, le Nazioni Unite possono svolgere la loro missione utopica: Accendere il fuoco di Prometeo per chi ne ha necessita e soprattutto impedire che i pompieri della violenza cerchino di spegnerlo.

Agli intellettuali spetta capire che una seria ingegneria basata sulla scienza e sulla sapienza dell’etica, può far sognare l’umanità, per un ritorno della bellezza.

E a chi crede che sia impossibile, forse vale la pena segnalare che lo stesso risultato si potrà ottenere anche per altre vie. La cultura sarà comunque il punto di partenza. La parola «cultura» tuttavia non potrà essere usata solo da chi ritiene di possederne il controllo. La cultura è difesa di tutti. Ed è patrimonio dell’umanità.

Questa nota è conseguenza di molti tentativi di capire la crisi, le sue cause e la possibilità di contribuire alla sua riduzione.

Ma senza la costante collaborazione di Vincenzo Valenzi nel monitorare le opportunità che la scienza può fornire questa nota non avrebbe potuto prendere la luce.

Un’immensa riconoscenza va riconosciuta agli scienziati italiani che hanno incoraggiato altri a rendere possibile una nuova pagina del mondo. Gli osservatori e i fan come il sottoscritto non possono non essere grati e felici di poter dire anche solo: c’ero anch’ io!

(http://lnx.boriani.eu/gda/).

Un pensiero al Giappone

Dopo il Terremoto in Giappone, non si può che osservare in Silenzio quel grande paese. Molte cose ci hanno colpito. La calma e l’accettazione degli eventi. Non si poteva non notare che il personale nei supermercati impediva con propri gesti gli scaffali di cadere mentre la terra tremava. Certo ciò è un suggerimento per tutti. Per la superiorità dell’uomo nella lotta alle avversità. Così non possiamo non ricordare il senso del sacrificio del popolo giapponese nella costruzione di una industria importante che ha permesso loro di accettare la limitatezza del loro territorio e la totale mancanza di risorse. Non potevano per sopravvivere che trasformare altro in prodotti per tutti noi. A loro, noi tutti dobbiamo molto: la elettronica in primis. La presenza nucleare ne era la obbligata scelta. Come lo sarà ancora. Ma grazie anche alle loro ricerche sulla fusione fredda (Arata Iwamura Takahasi e altri) anche in associazione con ricerche di vari gruppi italiani (Rossi Focardi, Celani, ed altri). Il Giappone forse per primo al mondo saprà sostituire l’energia nucleare degli impianti nucleari tradizionali con nuove forme di energie rinnovabili, sempre nucleari, ma senza il timore di una radioattività da esplosione.

Le proposte del Patto per Kyoto

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Efficienza Energetica

Con opportune misure di risparmio è possibile ridurre ogni anno la domanda energetica di almeno il 2% per il settore privato e del 3% per il settore pubblico. Più volte è stato sottolineato quanto un chilowattora risparmiato abbia costi nettamente minori di un chilowattora prodotto da nuovi impianti, persino escludendo i costi ambientali e sociali esterni causati dall’impianto generativo.
Occorre un forte impegno per la valorizzazione delle soluzioni ecocompatibili: incentivi, campagne di informazione, legislazione e regimi fiscali ad hoc, certificazione energetica degli edifici, sono solo alcuni degli strumenti a disposizione. Il settore residenziale in Italia mostra potenziali di risparmio energetico fino al 50% con notevoli benefici ambientali ed economici.
Protocolli di intervento garantiti, che assicurino tempi di ammortamento brevi ed efficacia dei risultati, sono ormai diffusi in tutta Europa. Lo standard GreenLight, ad esempio, permette di ridurre del 30% i consumi rispetto alle tecnologie standard di illuminazione, recuperando l’extracosto in meno di 4,7 anni.

Biomasse

Le biomasse costituiscono un’opportunità per la produzione «pulita» di energia e carburanti, anche se molto dipende da come l’energia viene prodotta. Fatta salva, infatti, quella parte di biomasse, soprattutto quelle umide, da destinare al compostaggio di qualità e al successivo impiego agronomico, fondamentale per fissare al suolo rilevanti quantità di carbonio, la loro trasformazione in biocarburanti e, soprattutto, in combustibile per la produzione di energia elettrica e calore, può fornire un importante contribuito per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, a patto che gli impianti siano dimensionati in maniera tale che la biomassa necessaria ad alimentarli sia reperita nel raggio di poche decine di km: l’eccessiva movimentazione peggiora sensibilmente il bilancio energetico-ambientale.
L’uso delle biomasse per la produzione di energia elettrica dovrà prevedere la cogenerazione e riguardare sia le biomasse appositamente coltivate, soprattutto quelle ad elevata capacità di assimilazione di anidride carbonica e a bassa umidità, sia gli scarti agro-forestali, il cui prelievo deve avvenire in maniera sostenibile, in particolare vietando l’utilizzo di biomasse provenienti da foreste primarie.

Solare Fotovoltaico

L’Italia ha una potenza installata di circa 28 volte inferiore a quello della Germania, nonostante l’Italia goda del 50% in più di insolazione annua.
La superficie di tutti tetti esistenti in Italia ammonta probabilmente a circa 1500-1700 km2 ovvero 0,5% del territorio nazionale. Usando tutta questa superficie per il solare fotovoltaico (FV) si arriverebbe – con la tecnologia attuale – a produrre circa 200 TWh/anno, ovvero a coprire oltre 2/3 dell’intero fabbisogno elettrico italiano.

Tuttavia, non sarà necessario coprire tutti i tetti italiani con il solare FV, anche perché, in futuro, l’efficienza della tecnologia FV è destinata a crescere: con la stessa superficie riusciremo a produrre più energia (probabilmente il doppio a medio termine).
L’introduzione del conto energia, con la pubblicazione del DM 28 luglio 2005 e del successivo decreto in via di pubblicazione, oltre che della delibera 188/2005 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, apre in Italia una nuova stagione per il fotovoltaico.
Le crescite record del settore continuano da una decina


di anni ed oltre, e in Germania e Giappone il FV ha successo perché i relativi governi hanno deciso di “investire nel futuro” e nello sviluppo della propria industria stimolando la domanda interna, con il beneficio di maggiori introiti per l’industria e di creazione di posti di lavoro. In Giappone sono già 1500 i MW installati e la Germania sta per superare i 1000. In Italia il decreto che fissa l’obiettivo 1000 MW è stato approvato dalla conferenza unificata , ma non ancora in vigore, questo mentre persino la Corea del Sud ha un obiettivo maggiore, 1200 MW al 2012.

Solare Termico

La tecnologia del solare termico per la produzione di acqua ad uso domestico e il riscaldamento degli ambienti è ormai matura, affidabile e dai costi contenuti. Ma l’Italia continua ad essere in questo settore in notevole ritardo tra i Paesi dell’Unione Europea.
Germania, Austria e Grecia hanno avuto negli ultimi anni tassi di crescita importanti: ad esempio, nel 2004 in Germania sono stati installati collettori pari ad una superficie di 750.000 m2; in Austria e Grecia l’installato è stato di circa 180.000 m2, in Italia solo 65.000 m2. Oggi in Germania sono installati 5,8 milioni di m2 di collettori (pari a 4.040 MW termici). In Italia si stima siano installati ad oggi 550.000 m2 in totale, mentre occorrerebbe almeno raggiungere gli obiettivi indicati dal Libro Bianco italiano, che prevede 3 milioni di m2 installati al 2010. In Italia abbiamo ancora 8 milioni di scaldabagni elettrici installati (il sistema a peggiore rendimento per il riscaldamento di acqua per usi sanitari).

Eolico

L’energia eolica è la fonte energetica in maggiore crescita a livello mondiale con una potenza installata di oltre 43.000 Megawatt. L’Italia con 1.600 MW installati evidenzia ancora forti ritardi nei confronti di molti Paesi europei che hanno raggiunto risultati straordinari di crescita in questi anni attraverso una chiara politica industriale e territoriale. In Germania sono stati installati in pochi anni oltre 17.000 MW, in Spagna oltre 9.000, in Danimarca 3.200.
Per contribuire alla diffusione degli impianti eolici nel territorio italiano occorrono regole chiare di sviluppo degli impianti, indirizzi di tutela ambientale e paesaggistica che tuttora non esistono a livello nazionale. Questa prospettiva permetterebbe di definire nelle diverse regioni obiettivi di sviluppo degli impianti eolici, rendere trasparente il processo e la valutazione dei diversi progetti.
Secondo il Ministero dell’Ambiente, in Italia c’è un potenziale complessivo di 12.000 MW, pari a circa 6% dei consumi previsti al 2010, cioè la produzione di quasi 4 centrali nucleari da 1000 MW.

Mobilità Sostenibile

La costante crescita del traffico su gomma sta determinando un rilevantissimo aumento delle emissioni di anidride carbonica del settore trasporti. Tra il 1990 e il 2002 la CO2 è cresciuta del 23,9%. L’Italia ha il più alto numero di auto per abitante in Europa e il settore trasporti contribuisce per circa il 25% al totale delle emissioni di gas serra del Paese.
Nei costi di trasporto non sono inoltre considerati l’insieme delle


conseguenze e dei costi esterni ambientali, sanitari e territoriali determinati dal traffico su gomma. A livello locale deve essere incentivato un modello di mobilità urbana sostenibile che riduca le esigenze di spostamenti su gomma, che favorisca tutte le modalità alternative all’auto (pedonali, ciclabili, ecc.) e rilanci il trasporto pubblico nel quadro di una attenta pianificazione delle funzioni e degli insediamenti, impedendo il consumo di nuovi suoli.
Sono necessarie anche modifiche strutturali alle politiche: 1) utilizzare le risorse finanziarie indirizzate alla viabilità per la manutenzione e la messa in sicurezza di strade esistenti, limitando la costruzione di quelle nuove; 2) reindirizzare gli investimenti infrastrutturali a favore dei trasporti pubblici su ferro ed acqua; 3)promuovere partenariati tra soggetti istituzionali, operatori e associazioni al fine di sviluppare la progettualità e l’attuazione delle misure; 4) integrare le politiche settoriali (trasporti-territorio-ambiente) e gli strumenti di pianificazione (Prg, piani del traffico e della viabilità, piani di risanamento ambientale ed acustico); 5) costruire il consenso attorno alle misure di sostenibilità, con strumenti di informazione, educazione e partecipazione della popolazione.

(Fonte Wwf)

Definizione di rifiuto

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La Commissione ha deciso di deferire l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia europea a causa della definizione restrittiva di «rifiuto» introdotta nella normativa nazionale.
Una legge adottata nel dicembre 2004 stabilisce che alcuni tipi di rifiuti non sono più considerati tali in Italia, pur rientrando nella definizione di «rifiuto» ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti dell’UE introdotta per tutelare la salute umana e l’ambiente. Si tratta, in particolare, dei rottami metallici, di altri rifiuti utilizzati nell’industria siderurgica e metallurgica e dei combustibili da rifiuto di elevata qualità (cioè i combustibili ottenuti a partire dai rifiuti).
Grazie a questa legge, ad esempio, i rifiuti urbani utilizzati come combustibili nei forni per cemento o nelle centrali elettriche sfuggono alle disposizioni delle normative comunitarie che disciplinano i rifiuti e l’incenerimento dei rifiuti. Ne risulta un rischio potenziale per l’ambiente e per la salute umana dovuto alle emissioni incontrollate di sostanze tossiche come le diossine.
Dall’invio del parere motivato della Commissione nel dicembre 2005, l’Italia non ha ancora conformato la sua normativa alla legislazione dell’UE. Al contrario, il decreto legislativo adottato n. 152 del 3 aprile 2006 ha riconfermato tale normativa ed è per questo che la Commissione ha ora deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia.

70.000 anni fa: per Gaia un’occasione persa!

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Una grande occasione per Gaia che avrebbe, per sua fortuna, con un sol colpo eliminato il suo peggiore parassita. Ma ancora una volta «qualcuno» ebbe pietà dei nostri progenitori, e così a questi ominidi si consentì di riprendersi e di moltiplicarsi fino a raggiungere oggi l’impressionante numero di 7 miliardi di individui

Calendario degli eventi per il 2005

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–Dal 19 al 21 gennaio a Tokio, l’Expo «FC 2005»
–Dal 29 Marzo al 1° Aprile a Washington, la «16th Annual U.S. Hydrogen Conference» ed il relativo Expo
–Dal 2 al 6 Aprile a Milano, l’Expo «Idrogeno 2005»
–Dall’8 al 12 Maggio a l’Havana, Cuba, il Simposio Internazionale www.hypothesis.ws
–Dal 25 al 27 Maggio a Beijing in China, incontri sul tema nell’ambito della «Second China International Renewable Energy Equipment & Technology Exhibition and Conference»
–Dal 13 al 15 Luglio ad Istanbul, l’«International Hydrogen Energy Congress and Exhibition» http://www.ihec2005.org/
–Dal 3 al 6 Ottobre a Singapore, la «World Hydrogen Technologies Convention 2005»
–Dal 22 al 25 Novembre a Saragoza in Spagna, la «2nd European Hydrogen Energy Conference».

Più a rischio le specie «isolane»

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Il più grande cambiamento nella lista Rossa 2003 dell’Iucn è l’inserimento di 1.164 specie di piante che vivono in Ecuador, un primo risultato di una completa analisi delle circa 4.000 specie endemiche di piante di questo paese.
Il maggiore allarme riguarda le specie di piante e animali «isolane», più vulnerabili. Come l’albero dell’isola di S. Elena del Sud Pacifico, le cui ultime piante sopravvivevano fino a poco tempo fa nell’omonima isola, o molte specie di piante delle Hawaii, minacciate da piante straniere o dall’arrivo di specie domestiche come ratti e maiali.
Alle Hawaii anche la lumaca di Newcomb è minacciata dall’arrivo di invertebrati invasori. Tra le cicadi, annuncia la Lista Rossa Iucn, le più antiche piante da seme esistenti, oltre metà delle 300 specie valutate sono minacciate. Le piante sono in declino soprattutto in Ecuador, Malesia, Indonesia, Brasile e Sri Lanka, mentre i paesi che hanno il maggior numero di uccelli minacciati sono Indonesia, India, Brasile, Cina e Perù.
Tra gli uccelli da segnalare il drammatico declino degli albatros: tutte le 21 specie di uccelli marini tipicamente neozelandesi sono ora minacciate, a causa soprattutto dell’impatto con gli ami da pesca. Negli ultimi 65 anni si stima una perdita del 50% delle popolazioni. Il pesce gatto gigante del Mekong (il fiume giallo cinese dove è in costruzione la diga più grande del mondo) un «gigante» delle acque dolci asiatiche (fino a 300 kg) è una delle specie retrocessa nella categoria di minaccia critica nella Red List. Le cause sono l’eccessivo sforzo di pesca, la distruzione dell’habitat e la presenza di dighe, che costituiscono un ostacolo agli spostamenti. Le stime parlano di una diminuzione dell’80% delle popolazioni di pesce gatto gigante dal 1990 ad oggi.
Vi sono anche 11 specie di cavallucci marini per i quali vi è carenza di informazioni, per cui sono state inserite nella categoria «data deficient». Secondo gli esperti dell’Iucn le specie invasive sono la più grande minaccia per la natura nelle isole: maiali, gatti, ratti introdotti dall’uomo, mangiano le specie native o distruggono i loro habitat, come nelle isole Galapagos. «Le attività umane possono essere la maggiore minaccia per la biodiversità, ma possono rappresentare anche un aiuto per il recupero di molte specie – ha detto Achim Steiner, Direttore Generale dell’Iucn – come è successo ad esempio per l’ibis cinese crestato, per l’orice d’Arabia o per il rinoceronte bianco».

Tempeste di sabbia in Europa

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Solitamente quando si parla di tempeste di sabbia il pensiero va all’Africa settentrionale, alle vaste distese del deserto del Sahara. Qualcosa invece sta cambiando, ora le tempeste di sabbia cominciano ad interessare anche l’Europa, l’ultima segnalata è avvenuta giorni fa in Spagna a Barcellona. È stato un fenomeno raro che ha lasciato di stucco tutti gli abitanti. Una vera è propria tempesta di sabbia tipo Sahariana, il motivo: il caldo, la siccità e il vento.

I climatologi ci informano che questo è solo un breve assaggio, se le condizioni climatiche sul bacino del Mediterraneo non cambieranno, in futuro saremo costretti a vederne altre di tempeste di sabbia, ma non solo in Spagna, anche in Sicilia e in Grecia.

(Fonte Accademia Kronos)

Terre di Faenza

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Si tratta di una Società di Area mista al 51% privata, nata per incentivare lo sviluppo del turismo nel territorio dei Comuni di Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Castel Bolognese e Solarolo (tutti in provincia di Ravenna, nel cuore della Romagna, a metà strada tra Bologna e Rimini ed a circa 50 chilometri dalla riviera adriatica). Si propone, in collaborazione con i numerosi operatori presenti, di fornire supporto alle azioni turistiche sviluppate, attuare una politica unitaria di promozione e incentivare e facilitare la commercializzazione del prodotto turistico, in particolare nei diversi «turismi» presenti in questa interessante area dell’entroterra: enogastronomia, termalismo e benessere, arte ceramica ed ecoturismo.

La sicurezza intrinseca e passiva

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Come su accennato e specificato, al momento, nel mondo, si preferisce adottare la nuova filosofia di sicurezza nucleare a «intrinseca e passiva». Questo moderno approccio si basa sull’impiego automatico delle leggi fisiche per aggirare guasti, malfunzionamenti e difetti per renderli innocui e re-instaurare il funzionamento normale operativo.

In altre parole, gli effetti fisici naturali debbono subentrare naturalmente e automaticamente allorquando vengono a mancare le condizioni del normale funzionamento dei sistemi. Così, effetti fisici naturali mettono immediatamente in sicurezza i sottosistemi, gli apparati, e i dispositivi tecnologici preposti, che erano usciti fuori specifica e cominciavano a lavorare fuori sicurezza. L’esempio più semplice è offerto dal nuovo progetto di centrale nucleare che prevede la costruzione di una piscina piena di acqua nella parte superiore. In caso di guasto del sottosistema di raffreddamento del nucleo centrale (Kore) e relativo surriscaldamento si aprono automaticamente delle valvole poste in alto sotto la piscina e l’acqua cade naturalmente sul nucleo raffreddandolo ed evitando danni successivi al reattore. In altre parole si sfrutta la forza di gravità. Esistono altri accorgimenti naturali per fare fluire l’aria a pressione senza impiego di pompe ad hoc ma sfruttando sovrappressioni e depressioni naturali.
Si tratta quindi di impiego di un principio della sicurezza «intrinseca e passiva» che in virtù delle leggi fisiche che governano l’intero universo non potrà mai difettare.
Oltre al problema sostanziale dell’accettabilità permane quindi il problema del tipo o dei tipi di reattori che verranno resi operativi nel breve e nel medio termine. Sembrerebbe, per ora, che gli accordi politici ed economici abbiano operato la scelta manageriale che non disdegna unitamente alla produzione di energia termica anche quella di prodotti secondari come idrogeno e altro ancora. Ciò non esclude che si possano realizzare reattori nucleari di concezione ancora più avanzata.

Il progetto Fabrica Ethica Laboratorio FIliera Pelle (Felafip)

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Un percorso sperimentale sulla filiera delle pelletteria, partendo da un campione di 619 imprese (oggi sono 882) localizzate in diverse aree della Toscana con una incidenza maggiore nelle province di Firenze e Pisa. Obiettivo principale del progetto è la creazione e la diffusione di una cultura della responsabilità sociale e dei diritti nei territori e nelle aree produttive coinvolte dal progetto, con particolare attenzione ai sistemi di certificazione integrata della filiera pelletteria secondo gli standard SA8000 e ISO9001 integrata alla responsabilità ambientale. Un riconoscimento del progetto Felafip è arrivato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) e dalla Commissione Europea che lo hanno individuato come buone pratiche territoriali.

Basilicata, Parco Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese

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Il progetto NaturArte è una buona occasione per valorizzare e promuovere il patrimonio di natura, arte e cultura dei Parchi di Basilicata, grazie soprattutto al lavoro di concertazione che ha portato alla realizzazione di un unico cartellone che riunisce in maniera ordinata e coerente tutte le iniziative che si svolgeranno nei 14 week end nei diversi centri delle nostre aree protette.

La scelta del Parco nazionale dell’Appennino Lucano è stata ispirata dalla volontà di esplicitare nel miglior modo possibile il mix natura, storia, cultura e promozione del paesaggio e dell’architettura che esso racchiude. I due siti in cui si svolgeranno gli eventi che riguardano il nostro Parco, Marsicovetere e Grumento Nova, sono simbolici della ricchezza del patrimonio dell’intero territorio, che va valorizzato e promosso nella sua globalità.
La scelta di Marsicovetere, piccolo borgo il cui nucleo più antico è arroccato su una cima, e che spazia dal Monte Volturino alla Valle dell’Agri, è paradigmatica della rinascita dei nostri borghi, ricchi di tradizioni e storia ma anche di prodotti di eccellenza della gastronomia. È il caso del prosciutto di Marsicovetere, prodotto stagionato in alta quota, alla cui valorizzazione si sta lavorando da tempo in sinergia con una partnership pubblico-privata, e che rientra nelle eccellenze del paniere del Parco, alla cui promozione è dedicata una delle manifestazioni in programma.
Deposito storico per eccellenza è poi il comune di Grumento Nova, che grazie al parco archeologico di Grumentum, rappresenta una vera eccellenza culturale. Le testimonianze di pietra che ne caratterizzano l’inconfondibile paesaggio di origine romana, si coniugano anche in questo caso con un paesaggio naturale da tutelare e valorizzare, come l’area del Pertusillo e i boschi circostanti, con i loro sentieri e i percorsi naturalistici, che sarà possibile attraversa grazie all’ausilio dei Ceas e delle Guide Ufficiali del Parco. Anche in quest’area la natura si sposa con l’enogastronomia di qualità, grazie a prodotti come il fagiolo di Sarconi e il Canestrato di Moliterno.
Scoprire la natura attraverso percorsi animati da eventi artistici, com’è nello spirito di NaturArte, è senz’altro un modo innovativo di promuovere i nostri Parchi e un’occasione importante per sperimentare la collaborazione tra i diversi Enti per ottimizzare la promozione del territorio regionale protetto.

Sigea: Non costruire dove non si può

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Durante il ponte di Ognissanti, l’intera penisola è stata attraversata da una perturbazione atmosferica che si è spostata da nordovest a sudest con eventi di pioggia che hanno praticamente interessato tutto il paese. Il maltempo ha dapprima messo in ginocchio il Centro Nord e, nelle ultime ore, ha colpito duramente anche le regioni meridionali. In Lombardia sono esondati il Seveso e il Lambro. In Veneto sono stati interessati dalle esondazioni dei corsi d’acqua i territori di 121 comuni, specie nel Veronese, nel Vicentino e nel Padovano, dove il Bacchiglione ha rotto gli argini costringendo l’evacuazione di alcune famiglie. È qui che si segnalano due vittime e un disperso.

In Friuli Venezia Giulia alcuni affluenti del Tagliamento sono esondati allagando alcuni quartieri di Pordenone, di Sacile e della Bassa pianura ai confini con il Veneto. Sono state chiuse al traffico numerose strade e alcune famiglie sono rimaste isolate.

In Emilia Romagna ha destato preoccupazione il livello del Po, dell’Enza e del Secchia; il Panaro è tracimato in alcuni tratti. Alcune frane sono state segnalate nel Modenese. In Liguria sono state segnalate frane nell’Imperiese. In Toscana ci sono state tre vittime per frana in provincia di Massa Carrara e molte persone sono state evacuate dalle case interessate dal dissesto che ha provocato anche la chiusura di alcune strade provinciali.

In Campania si sono avuti numerosi allagamenti nonché centinaia di alberi e cartelloni pubblicitari abbattuti dal forte vento. In Basilicata fenomeni franosi hanno provocato l’interruzione del traffico ferroviario e allagamenti sono stati segnalati in provincia di Matera.

In Puglia forti nubifragi e allagamenti hanno interessato le province centro settentrionali ed il Tarantino. In Calabria allagamenti a Vibo Valentia a Cosenza e nella Piana di Gioia Tauro. Frane sono segnalate nella zona di Tropea dove si conta anche un disperso nei pressi di un torrente in piena. Infine in Sicilia si sono registrati frane e allagamenti nel Messinese con interruzioni della viabilità e isolamento di alcune famiglie.

 

 

Come commentare questo ennesimo evento calamitoso?

 

Dal punto di vista scientifico, i fenomeni naturali sopra descritti rientrano nella normalità. È normale infatti che in autunno (così come pure in primavera, stagioni nelle quali si concentrano le precipitazioni nel nostro Paese) si registrino piogge di tali intensità e durata. È normale che le piogge, a un certo grado di intensità e durata, cadendo su un territorio geologicamente giovane e strutturalmente fragile come quello italiano, causino fenomeni pericolosi quali inondazioni e frane in zone che i bravi geologi classificano appunto come pericolose.

Sarebbe normale (ma evidentemente risulta molto complicato) che in tali zone, pericolose per instabilità di versante o perché troppo vicine ai corsi d’acqua, l’uomo non esponesse dei beni e, come minimo, non ci andasse ad abitare, in modo da non creare, in una zona pericolosa, degli elementi a rischio.

A tal fine, la nostra legislazione prevede che nei piani regolatori comunali le aree vengano classificate a seconda del grado di pericolosità geomorfologica per valutare l’idoneità all’utilizzazione urbanistica.

Come mai allora si incorre in danni alle strutture e a volte, purtroppo come in questo ultimo evento, in perdite di vite umane? Le ragioni devono rientrare evidentemente nell’elenco che si riportano di seguito.

1) Errata valutazione della pericolosità del territorio. In questo caso, il geologo professionista (non bravo) che ha apposto la propria firma alla relazione a supporto del piano regolatore rischia in prima persona.

2) Abusivismo: si costruisce cioè, in barba alla legge, nelle zone pericolose.

3) Utilizzo (purtroppo permesso dalla legge) di zone pericolose.

 

Quest’ultimo caso sembra inconcepibile ma è concreto. Infatti la legge prevede che in alcune zone pericolose, in cui già esistano dei beni esposti, ad esempio abitazioni, si costruiscano delle opere di difesa (ad es. argini artificiali) per ridurre la vulnerabilità di tali beni esposti e di conseguenza il loro rischio di essere colpiti dall’evento calamitoso (ad es. alluvione).

Ma la costruzione di un’opera di difesa non rende assolutamente quella zona meno pericolosa. E questo lo si è visto in questi giorni laddove ampi tratti di argini artificiali hanno ceduto a causa della piena del corso d’acqua e il territorio limitrofo, occupato anche da abitazioni, è stato inondato.

Addirittura la legge prevede che in queste tipologie di territori (pericolosi ma protetti da opere di difesa) non solo si mantengano le vecchie costruzioni (il che potrebbe essere ancora in qualche modo giustificabile) ma si possano prevedere espansioni abitative.

Il cittadino che andrà ad acquistare quei nuovi alloggi per abitarci è consapevole che quella è una zona pericolosa? Qualcuno lo avvertirà prima?

Come si può intuire, anche se indubbiamente sono stati compiuti passi in avanti dal punto di vista legislativo per mitigare il rischio idrogeologico nel nostro Paese, alcune concezioni sarebbero a nostro avviso da rivedere. E comunque non ci si può assolutamente fermare all’emanazione di una legge, anche per ipotesi perfetta, se questa non viene supportata da efficaci controlli per verificarne l’applicazione.

Infine, un ulteriore apporto alla consapevolezza da parte del cittadino della pericolosità della zona scelta come residenza, potrebbe essere fornito da forme assicurative nelle quali i premi crescerebbero naturalmente al crescere della pericolosità del sito.

 

(Luciano Masciocco, Società Italiana di Geologia Ambientale, Presidente della Sezione nordovest, Coordinatore dell’Area Tematica «Dissesto Idrogeologico»)

Bentornato Paolo!

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Il paracadute che scende dolcemente verso il terreno marrone – rossastro, e poi l’impatto (un po’ meno dolce) con il suolo, e la solita nuvola sollevata dal terreno della steppa. Un’altra Sojuz è rientrata dallo spazio, con puntualità cronometrica. Poi, arrivano le squadre di soccorso, un team di tecnici, medici, esperti, e un po’ alla volta i tre cosmonauti escono dalla parte superiore della navicella russa a forma di grande campana: prima il comandante russo della Expedition 26/27, Dmitry «Dima» Kondratyev, poi l’«ingegnere di bordo» americana, Cady Coleman, e poi, dulcis in fundo, il nostro «ingegnere di bordo», Paolo Nespoli.

Bello vederlo uscire dalla Sojuz, con tanto di bandierina italiana cucita sulla bianca tuta spaziale russa. È un po’ sofferente (come i suoi colleghi, d’altra parte), ma è logico: il primissimo impatto con la Terra dopo una missione di quasi sei mesi lassù non è roba da poco, senza contare la lunga maratona di attività scientifiche svolte lassù, e una lunga serie di collegamenti con la Terra, con istituzioni, scuole, centri di ricerca di mezza Europa, ecc.

E fa sempre un po’ effetto rivedere queste scene (che abbiamo vissuto due volte negli anni scorsi dopo il ritorno a Terra di Roberto Vittori), che ci riportano sempre con la mente a quelle immagini in bianco e nero di ben 35 anni fa, e a quella storica diretta dal Kazakhistan, quando una Sojuz riportò a terra Leonov e Kubasov, dopo lo storico attracco in orbita con l’Apollo americana. Ma questa volta, che soddisfazione vedere un nostro astronauta assieme a due amici e colleghi, proprio con bandiera americana e russa!

La missione di Paolo, Cady e Dima, si è conclusa questa mattina, dopo 159 giorni sulla Stazione Spaziale Internazionale: denominata MagISStra, la terza missione di lunga durata sulla Stazione cui partecipa un astronauta europeo, si è conclusa alla 4 e 26 nella steppa del Kazakistan.  In questi giorni Paolo Nespoli, con i suoi due colleghi di missione, si sottoporrà a test medici e alle fasi di recupero della forma fisica, previste dopo una missione di lunga durata in orbita.

Paolo, assieme a Kondratyev e Catherine Coleman, erano saliti a bordo della Sojuz ieri sera per staccarsi dal punto più basso della Stazione, il modulo Rassvet, alle 21 e 35, ora italiana.

Il comandante Kondratyev ha guidato la Sojuz ad una distanza di sicurezza per permettere a Paolo di scattare delle foto uniche della stazione spaziale. La stazione è stata inclinata a 130 gradi per permettere la migliore vista possibile del complesso con lo Space Shuttle Endeavour, l’ATV Johannes Kepler, la Soyuz TMA-21 ed il Progress, tutti agganciati alla Stazione.

Paolo Nespoli ha ripreso immagini per 30 minuti da questo vantaggioso punto di osservazione in cui si trovava, per poi tornare al suo posto per l’atterraggio.

Durante i cinque mesi passati a bordo, Paolo ha portato avanti un lungo e articolato programma di ricerca, lavorando su test nutrizionali ed esperimenti medici, dal monitoraggio delle radiazioni allo studio dei fluidi confinati in una sfera, e si è anche dedicato alla coltivazione di campioni da riportare a terra. Ha inoltre fotografato più volte la Terra, scaricando oltre 667 immagini sul suo account dedicato con una media di quattro nuove immagini al giorno.

Ha inoltre partecipato all’attracco di due veicoli di rifornimento: il secondo Veicolo di Trasferimento Automatico europeo (ATV) Johannes Kepler, a febbraio, ed il secondo Veicolo di Trasferimento giapponese in gennaio.

Nel frattempo, in febbraio era anche arrivato lo Shuttle Discovery sulla Stazione, per consegnare il Modulo PMM Leonardo, frutto della cooperazione ASI-NASA, che è tutt’ora agganciato alla Stazione; da Discovery inoltre vennero «scaricati» parti di ricambio ed il robot umanoide Robonaut.

Lo Shuttle Endeavour è invece arrivato solo la scorsa settimana portando sulla Stazione un altro astronauta dell’Esa di nazionalità italiana, Roberto Vittori.

Il rientro a Terra di Paolo segna un altro primato: è la prima volta che una navicella Sojuz si stacca dalla Stazione mentre lo Shuttle è ancora attraccato.
Nespoli, è stato molto attivo anche su Twitter, dove ha inviato quasi 1300 tweet ad oltre 46,000 iscritti di tutto il mondo. Il nostro astronauta è stato anche selezionato per gli Shorty Award ed è attualmente l’astronauta europeo più conosciuto sui canali mediatici.(A. Lo C.)

Ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici della produzione di cibo

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La produzione di cibo è vulnerabile ai cambiamenti climatici attraverso due vie principali:

Le risorse idriche. L’abbondanza di risorse idriche per l’irrigazione è stata in passato uno dei fattori di successo nello sviluppo dell’agricoltura intensiva e industriale, sia nella scelta delle colture anche su terreni inadatti, sia nella programmazione durante l’anno di semine e raccolti anche al di fuori dei normali ritmi stagionali. Con i cambiamenti del clima tenderanno a intensificarsi i fenomeni estremi, quali precipitazioni molto intense e di breve durata (con forte ruscellamento superficiale) seguite da più o meno lunghi periodi di siccità (con forti rischi di degrado dei suoli). Il risultato è una insufficiente ricarica delle falde e una minore disponibilità di acqua. A ciò bisogna aggiungere, specie per i bacini idrologici dell’Italia settentrionale, la riduzione degli apporti nivoglaciali a causa della riduzione dei ghiacciai alpini. La produzione di cibo, così come la zootecnia che è un settore a rilevante consumo di acqua quindi, dovrà evolvere verso sistemi di uso efficiente dell’acqua e di riciclo dell’acqua. Utilizzare cibo prodotto con un’agricoltura efficiente nell’uso delle risorse idriche o ridotte necessità d’acqua e consumare minori prodotti di macelleria, permette di prevenire le conseguenze negative della carenza delle risorse idriche e aiuta la produzione agricola ad adattarsi ai cambiamenti del clima.

La biodiversità. I cambiamenti climatici influiscono significativamente sulla diversità biologica giungendo a causare anche fenomeni di estinzione di singole specie e profonde modificazioni nella struttura e nelle funzioni degli ecosistemi e nella loro distribuzione sul territorio, compresi gli insetti impollinatori e i batteri fermentatori essenziali nella preparazione di alimenti o di prodotti tipici come il vino. Utilizzare, quindi, prodotti stagionali ma, soprattutto, tipici del territorio e della biodiversità del territorio, aiuta l’agricoltura a mantenere la qualità degli spazi rurali e ad aumentare la protezione degli habitat naturali e del paesaggio. Valorizzare i prodotti alimentari tipici del territorio è di fondamentale importanza per prevenire le conseguenze negative dei cambiamenti climatici sulla produzione alimentare.

In definitiva, la produzione sostenibile di cibo non è solo un problema dell’agricoltura. Spetta ai consumatori con le loro scelte responsabili aiutare l’agricoltura e tutta la filiera agroalimentare ad essere meno impattante sul clima, ma anche meno vulnerabile ai cambiamenti del clima.

Il punto di vista filosofico

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( Perfezionanda in Diritti Umani, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, chiara.certoma@sssup.it )

Clements già nel 1901 aveva introdotto in ecologia la spinosa questione dell’organicismo sostenendo che le comunità vegetali possono essere studiate come se fossero un unico organismo dotato delle caratteristiche peculiari dei viventi. Pur essendo provvista di un forte valore euristico, la metafora organicista1, che Clements usa in tutti i suoi lavori, crea un senso di disagio nel mondo scientifico e, come prevedibile, dà vita, ad un acceso dibattito sulle basi epistemologiche della scienza ecologica.
La reazione critica più importante all’impostazione di Clements è senza dubbio quella di Arthur Tansley, creatore del concetto di Ecosistema. Tansley ritiene che nell’evoluzione delle successioni vegetali lo sviluppo, lungi dal ripercorrere quello di un organismo (accrescimento, stadio adulto, morte), segue un andamento diverso fatto di progressione ma anche di fasi di stallo o di regressione. Egli conclude che, sebbene un’associazione vegetale presenti sufficienti caratteristiche per essere considerata un quasi-organismo, è impossibile che essa presenti quel carattere di forte integrazione che è proprio delle società umane o di molte società animali.
Paradossalmente, pur essendo l’intento di Tansley quello di eliminare definitivamente dalla scienza analogie improprie tra organismi e comunità, la ricerca successiva basata sul concetto di Ecosistema, vedrà molti tra i suoi esponenti più importanti sostenere, se non l’organicismo, quanto meno una posizione olista. C’è un’altra questione fondamentale. Tansley desidera rendere conto della solidarietà interna della biocenosi e del biotopo ricorrendo alla nozione di ecosistema: «including not only the organism-complex, but also the whole complex of physical factors forming what we call the environmental of the biome- the habitat factor in the widest sense» (Tansley, 1935 p.299).
Il sistema ecologico di cui parla Tansley è un sistema inteso nel senso fisico del termine, il cui modello può essere applicato a tutta la scala di enti conosciuti dall’atomo all’universo. Nonostante la nostra mente li concepisca come entità separate, gli Ecosistemi s’incastrano gli uni negli altri, si sovrappongono tra loro, interagiscono reciprocamente.

1 L’antiriduzionismo, nelle sue diverse articolazioni (vitalismo,organicismo, olismo), propone una visione gerarchica e integrata dei livelli d’organizzazione del reale in cui gli elementi acquistano significato solo in una rete di relazioni e l’unità d’analisi è costituita da una molteplicità.