Un fenomeno che si è ridotto del 50% rispetto a qualche anno fa
I riflessi sulla salute della popolazione
Gli studi epidemiologici (Iss, Cnr, Organizzazione mondiale della sanità, Istituto di ricerca sui tumori, ecc.) hanno infatti accertato in modo inequivocabile, l’esistenza di «cancerogenesi» prodotta da inquinamento cittadino. Le analisi pubblicate da detti Enti di ricerca statistica parlano di centinaia di migliaia di morti all’anno solo nel nostro Paese per le conseguenze dovute alla inalazione dei gas di combustione provenienti dalla circolazione stradale e dal riscaldamento domestico e industriale
La locomozione alternativa dei cittadini viene considerata e studiata dagli ecologi con prospettive innovative (non ancora individuate) al fine di trovare altre possibilità di movimento con sistemi alternativi e sostenibili. La normativa europea è diventata ancora più severa in merito all’inquinamento in genere e a quello cittadino, quantunque all’estero per la locomozione non venga fatto uso generalizzato delle auto così come da noi. Nell’ambito di questa grande problematica ambientale, si pone anche il problema futuro dell’eventuale inquinamento prodotto dalle centrali nucleari e soprattutto il problema della sicurezza degli impianti nucleari.
Gli italiani pagano l’energia elettrica il 30% e, in alcuni casi, il 40% in più di quella pagata in altri Paesi europei (Francia, Germania ecc.).
Canapa, le relazioni
Queste alcune delle relazioni tenute al convegno di Acquaviva delle Fonti (Bari), il 10 novembre 2018.
Una ricercatrice indiana contro la Monsanto
Contraria tra i contrari, la dottoressa Vandana Shiva ha creato in India l’attivissima «Research Foundation for Science, Technology and Ecology» (www.vshiva.net/index.html) allo scopo di preservare la biodiversità e proteggere i diritti della popolazione dall’ingerenza di forti interessi economici nel campo delle monocolture.
In questo ambito, accusa la Monsanto per aver sponsorizzato in Asia alcuni progetti definiti «di sviluppo» e cita come esempio il caso della Thailandia, dove la multinazionale collabora con un Istituto di ricerca delle Filippine ad un programma finanziato dalla Banca Mondiale.
La dottoressa Shiva denuncia che i contadini vengono spinti a servirsi del micro-credito per acquistare pesticidi e sementi geneticamente modificate: poiché queste ultime sono sterili, sono costretti a riacquistarle dopo ogni raccolto e questo crea un circolo vizioso. Pare siano numerosi i suicidi causati dalla frustrazione di dover lavorare sino allo sfinimento per far fronte ai debiti contratti e tuttavia non riuscire mai a saldarli.
La Puglia fra Seicento e Settecento
La Puglia, ancora oggi è attraversata da braccianti agricoli, assunti a giornata, che si spostano, anche di molte decine di chilometri, per andare a lavorare nei campi. Nel passato i flussi partivano da distanze ancora più grandi e c’era chi percorreva il territorio regionale andando da un estremo all’altro. Un trasferimento che comportava faticose e a volte anche tremende condizioni di viaggio. Oggi molti migranti, provenienti da diverse zone del mondo economicamente sottosviluppato, percorrono, con un elevato rischio di morte, grandi distanze per arrivare in Italia e poi continuano a camminare per andare a lavorare nei campi ai quali vengono destinati.
In Puglia, fra Seicento e Settecento, i braccianti (figli o capofamiglia) trascorrevano intere stagioni lontano dalla loro casa e, nelle zone più malsane come quelle della Capitanata, erano in molti a morire per infezioni di ogni tipo. Attraverso la documentazione di origine religiosa e di origine civile (raccolta in Archivi ecclesiastici, di Stato o privati, come registrazioni di battesimo e di sepoltura, atti di matrimonio…) è possibile ricostruire una storia dei braccianti pugliesi, di quelli che andavano verso Nord, in Capitanata, per raccogliere il grano e di quelli che andavano invece verso Sud per la zappatura delle vigne nel Salento.
Fra fine Seicento e primo Ottocento si può rilevare un’accentuata instabilità della popolazione agricola in tutto il Regno di Napoli. Il carattere saltuario del lavoro bracciantile, costringeva i lavoratori a giornata ad accorrere nelle zone nelle quali l’impiego della loro opera poteva essere assicurato per un più lungo periodo di tempo. Nelle fasi di punta del raccolto e della lavorazione dei prodotti più diffusi (grano, olio e vino, che costituivano una risorsa alimentare fondamentale per tutto il Regno), la manodopera nelle zone di maggiore produzione era insufficiente e non pochi territori ne restavano sprovvisti con gravi conseguenze. Quindi correnti di salariati, braccianti, pastori e, in parte molto limitata, di artigiani, percorrevano in lungo e in largo ampi spazi per vendere il proprio lavoro.
In ognuna delle fasi storiche fra 600 e 800, i movimenti migratori attraversavano «come un filo rosso» la storia moderna delle province meridionali presentandosi con caratteristiche anche diverse (sia per gli aspetti economici dei flussi di individui che di volta in volta si spostavano, sia per le problematiche sociali sorte intorno ad essi).
– Quando si vietò l’emigrazione degli abruzzesi nel Lazio
Giovanna Da Molin, Professore Ordinario di Demografia Storica e Sociale, Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione; Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»
Three Mile Island e Chernobyl
Arrivarono però eventi tempestosi; nel marzo 1979 ebbe luogo l’incidente al reattore americano di Three Mile Island; non morì nessuno (almeno per il momento) ma la favola della sicurezza delle centrali nucleari venne messa in discussione; il governo fu costretto a indire una indagine sulla sicurezza nucleare che espose i risultati in una grande conferenza a Venezia nel gennaio 1970. Apparve così che le norme internazionali sulla sicurezza nucleare erano più rigorose di quanto si pensasse e questo offrì sostegno agli oppositori delle centrali nucleari che nel frattempo si erano moltiplicati, non solo come associazioni ambientaliste, ma anche come popolazioni dei luoghi in cui era prevista la costruzione delle centrali.
Nel luglio 1981 il ministro dell’Industria Pandolfi rese noto un terzo piano energetico nazionale. Gli obiettivi prevedevano che nel decennio degli anni Ottanta entrasse a pieno in funzione la centrale di Caorso (850 megawatt), entrassero in funzione le due unità da 1.000 megawatt ciascuna di Montalto di Castro, venissero costruite ed entrassero in funzione altre quattro unità da 1.000 megawatt ciascuna.
Negli stessi anni l’Italia dovette ridurre dal 25 al 16,5 % la sua partecipazione all’impianto Eurodif e dovette svendere una parte dell’uranio arricchito per cui l’Italia si era già impegnata e di cui non aveva più bisogno in seguito al ridimensionamento delle prospettive iniziali.
Quanto alle zone in cui localizzare le altre dodici future centrali nucleari, previste come «unità standard», di reattori ad acqua sotto pressione PWR Westinghouse, si legge nel Pen del 1981 che i siti possibili risultano:
– Piemonte: centrale nucleare con due unità standard in una delle due aree già individuate lungo il corso del Po;
– Lombardia: centrale nucleare con due unità standard in un sito da definire in una delle due aree già individuate nella Lombardia sud-orientale (sarebbero poi state Viadana e San Benedetto Po);
– Veneto: centrale nucleare con due unità standard in un sito da definire in una delle due aree già individuate nel Veneto sud-orientale;
– Toscana: centrale nucleare con due unità standard nell’Isola di Pianosa;
– Campania: centrale nucleare con una unità standard lungo l’ultimo tratto del fiume Garigliano;
– Puglia: centrale nucleare con due unità standard in una delle aree già individuate nel Salento (sarebbero state Avetrana e Carovigno);
– Sicilia: centrale nucleare con una unità standard in una delle due aree già individuate nel Ragusano.
Il programma ebbe breve vita; il primo atto della commedia del nucleare in Italia si chiuse praticamente dopo la catastrofe al reattore nucleare di Chernobyl (aprile 1986) a cui fece seguito il referendum del novembre 1987 che fermava le costruzioni e chiedeva l’uscita dell’Italia dal reattore Superphenix.
A parte la chiusura delle vecchie centrali di Latina, di Trino Vercellese e del Garigliano, alla fine dell’avventura nucleare si aveva:
Caorso: centrale avviata nel 1981, fermata nel 1986; il combustibile irraggiato è depositato in una piscina;
Montalto di Castro: centrale ordinata nel 1973; avvio dei lavori nel 1988; sospesa la costruzione nel 1988; trasformata in una centrale termoelettrica a metano/olio
combustibile.
Quanto al reattore Superphenix non ci fu bisogno del referendum per uscirne. La produzione di elettricità era iniziata nel 1985; il reattore aveva incontrato vari incidenti nel 1990; e la centrale fu chiusa nel 1997, con la perdita netta dei soldi Enel, cioè dei cittadini italiani, in tale impresa.
Quanto alle scorie radioattive che si stavano formando, i vari Pen citati consideravano il problema della loro sistemazione qualcosa da decidere in futuro. Oggi le scorie sono ancora in gran parte dove erano allora, con l’aggiunta dei materiali radioattivi provenienti dal graduale smantellamento delle vecchie centrali. Risultava insomma confermato quello che in tanti avevano detto: l’energia nucleare non è economica, non è sicura e non è pulita.
La «strada» del prof. Arata
In questa panoramica di grandi sforzi e sacrifici nati solo dal grande amore per la scienza e la conoscenza gli sparuti gruppi di ricercatori (sperimentali come Scaramuzzi, Violante, Celani, Mastromatteo e teorici come Preparata, Larsen, Widom, Santilli e il sottoscritto e tanti altri) dedicati alla Fnf hanno proceduto con coraggio ed abnegazione.
In particolare, nel laboratorio N. 25 dei Laboratori Nazionali di Frascati (Infn) vengono eseguiti dal nostro gruppo esperimenti di Fnf per dimostrare la ripetibilità e controllabilità dei fenomeni di Fnf. Così, dopo il primo grande impulso mondiale alla ripetizione dell’esperimento di Fleischmann & Pons, vari gruppi di ricerca hanno concepito nuovi esperimenti e varianti interessanti dell’Effetto Fleischmann & Pons. Tra i vari filoni seguiti dai vari gruppi di ricerca distribuiti al mondo, è stato reputato interessante il filone determinato dal prof. Arata giapponese che iniziò alcuni esperimenti di elettrochimica del palladio già nel 1955. Nell’ambito di questo flusso di ricerca giapponese si collocano i vari tentativi di Iwamura (Mhi) di superare l’approccio elettrochimico alla Fnf ricorrendo a tecnologie di «sputtering» della microelettronica impiegate per generare diodi semiconduttori e in generale transistori e circuiti integrati (microprocessori ecc.). Inoltre, il gruppo suddetto ha tentato una collaborazione con la scuola di Arata, per la realizzazione di un progetto JI in comune italo-giapponese sulla Fnf che non è andato in porto e non è stato finanziato.
Per concludere questa semplice sintesi di stato dell’arte della Fnf in materia condensata centrata sulla ripetibilità e controllabilità dei fenomeno si notano i seguenti fatti:
1 ? La ricerca sulla Fnf in materia condensata ha diritto, con tutti i sacri crismi scientifici, di fare parte del flusso della scienza moderna convenzionale e classica.
2 ? I metodi di prova impiegati per convalidare la ripetibilità dell’Effetto Fleishmann & Pons sono molteplici spaziando dalla applicazione della classica metodologia elettrolitica alla nuove tecniche (Tsc) a nanoparticelle, alla fusione a bolle, così dallo sviluppo di nuovi sistemi di rivelazione e detenzione della emissione di particelle cariche a considerazioni di analisi di ultra tracce di metalli in matrice di palladio.
3 ? Il problema teorico fondatale è di stabilire sei principi e le leggi fisiche note e consolidate possono spiegare la fusione nucleare nello stato solido. Nell’ambito della messe di teorie si possono individuare alcuni filoni di ricerca basilari: le teorie basate sulla Elettrodinamica Quantistica Coerente di cui è capostipite Giuliano Preparata, le teorie basate sulla Meccanica Quantistica (applicazione del principio di Heisemberg con il confinamento dell’energia, ipotesi di fusione quantistica ecc.), secondo il Modello Standard (Larsen, Widom et alter) e teoria dei campi, le teorie basate sulla Meccanica Adronica di cui è originatore primario Ruggero Santilli (e seguite dal sottoscritto) e tanti altri filoni minori quali la teoria dei Meccanismi Dinamici del moto all’interno dello stato di condensazione Tsc (Tetrahedral Symmetric Condensate) con l’equazione differenziale stocastica di meccanica quantistica di Langevin per sistemi a molti corpi di grappoli di deutoni e ed elettroni a simmetria platonica, le teorie di Identificazione empirica dei sistemi e controllo ottimale delle reazioni nucleari
assistite dal reticolo cristallino, l’analisi dei meccanismi teorici nelle teorie della scienza nucleare in materia condensata, il modello teorico della dinamica dell’idrogeno in esperimenti di scienza nucleare in materia condensata (Cmns), teoria delle interazioni fra nuclei positivi inclusi in strutture solide, la teoria della fusione dei detoni a bassa energia nella fisica della nano particelle, la teoria delle dinamiche di risonanza elettromagnetica per spiegare l’Effetto Fleishamnn & Pons, la teoria dei punti operativi ottimali in palladio attivo e caricato collegati a tre distinti regioni fisiche ecc. ecc.
4 ? Molti lavori consentono di elaborare una sintesi degli elementi chiave per la sperimentazione e la teoria della Fnf e le relative direzioni future, oltre all’analisi delle implicazioni scientifiche e potenziali per le applicazioni commerciali future.
5 ? Le proiezioni temporali di realizzazione di campioni di celle elettrolitiche per la fusione nucleare fredda che possa avere un senso industriale concreto, non hanno coefficienti di confidenza elevati e non si può prevedere alcun tempo di possibile realizzazione pratica. Riferendosi alla fusione Nucleare Calda, che ottimisticamente prevede realizzazioni nel giro di 50 anni, si potrebbe solo dedurre di potere realizzare dispositivi a fusione nucleare fredda operativi a livello industriale solo in periodi paragonabili a quelli della fusione calda.
6 ? Le prospettive concrete di potere risolvere il problema delle scorie radioattive con trasmutazioni nucleari a bassa energia (Lenr, Lent ecc.).
7 ? Una quantità enorme di esperimenti e misure per convalidare la Fnf (misure a raggi X dello spettro di energia, fenomeni di fononi ottici in palladio deuterato, misure calorimetriche ad alta precisione, impiego di catodi di palladio-boro, effetti di sonoluminescenza in fusione nucleare durante cavitazione, scariche elettriche da sistemi di dispositivi fusori a Lanr, impiego di spettrometria di massa e Auger per le misure di concentrazione di Ag sul palladio elettrolizzato, impiego dell’effetto Seebeck per le misure di inviluppo calorimetrico e riproducibilità dell’eccesso di calore, transizioni nucleari indotte on Laser molecolare-nucleare, autopolarizzazione dei diodi fusori da eccesso di calore ed energia, generazione di gas in esperimenti di scarica a gas, evidenze di microscopia a bolle negli esperimenti di trasmutazione, sostanze combustibili che mostrano proprietà organiche dall’acqua, meccanismo di creazione dei monopoli magnetici con campi magnetici forti in laboratorio, ruolo delle interfacce di grandezza finita in scala nanometrica del PdD e dei composti contenenti Pd, D e ZrO2 nell’Effetto Fleishmann & Pons, trasmutazioni nucleari in film di polietilene (Xlpe) e generazione d’acqua all’interno ecc. ecc.
La protezione della cultura contadina
Nasce, in questo periodo, la figura dell’«agricoltore tutore», ovvero dell’agricoltore che, oltre a svolgere la sua normale funzione di produttore di beni primari, svolge anche un fondamentale ruolo di conservazione dell’ambiente rurale in generale e, nello specifico, delle varietà tradizionali (variabilità genetica) di specie vegetali ed animali legate all’ambito locale.
Per tornare all’ambito più diretto della biodiversità legata alle specie, è da notare che non solo le specie legate all’agricoltura e all’allevamento hanno segnato, nei secoli, l’identità culturale delle comunità umane, ma anche le specie selvatiche di flora e fauna. Basti pensare agli innumerevoli nomi locali che le specie hanno collezionato, segno di un’attenzione che le comunità locali hanno sempre riservato alla natura e alle sue risorse.
A titolo di esempio si può citare un uccello conosciutissimo, il merlo, che in diverse zone d’Italia è chiamato «Mièrolo», «Merle», «Merla», «Pret», ecc. Ma anche di piante, come ad esempio il peperoncino, detto «Diavulicchiu», «Cerasella», «Peparussi», «Pipazzu», «Pepedigne», o ancora le ciliegie, dette «cerase», «cirase», ecc.
Un ultimo aspetto vale ancora la pensa di sottolineare in relazione all’importanza della biodiversità per l’identità culturale, ed è quello dell’identificazione di intere popolazioni con animali o piante che oggi, spesso, sono in via di estinzione. Si pensi, ad esempio al significato in termini di perdita di identità della scomparsa di specie simbolo di intere nazioni, come il Panda in Cina, il Kiwi in Nuova Zelanda, l’Aquila di mare testa bianca o il Bisonte negli Stati Uniti d’America, la Tigre del Bengala in India e così via.
Esempi meno eclatanti, ma non meno importanti da un punto di vista culturale e di identità, sono quelli legati alle specie animali che hanno diviso il lavoro e hanno rappresentato un’importante fonte di reddito per intere popolazioni, come ad esempio l’asinello sardo e la vacca maremmana, che già nel nome richiamano all’immaginario non solo un ben definito paesaggio, una ben definita tradizione, ma anche uno stile di vita, una cultura, un pezzo della nostra storia.
Può stupire pensare a quanta influenza la biodiversità abbia sull’identità culturale dell’uomo. Siamo, in genere, abituati a pensare la natura come «altro» da noi. Ma al di là dell’importanza che le specie animali e vegetali hanno avuto nel tempo per la nostra sopravvivenza, è innegabile il valore che tali specie hanno assunto nel determinare il senso di appartenenza e il legame forte dell’uomo con il suo territorio.
EU Kyoto linking directive agreed
The council of ministers and European parliament have agreed on a text for the EU Kyoto linking directive. The law will set out ground rules for purchases of foreign emission credits by firms in the EU greenhouse gas trading scheme. The following is a summary of the outcome on the six outstanding issues:
CAP ON CREDITS
Under the deal, member states remain free to decide whether and how to limit the number of credits firms can buy abroad by investing in the Kyoto protocol’s so-called project-based mechanisms: joint implementation (JI) and clean development (CDM).
But governments will be required to report on how firms’ activities affect national commitments to ensure the mechanisms are used only to supplement domestic action. The Commission is also given room to introduce legislation preserving the supplementary principle at EU level if it feels this is warranted.
SINKS
Firms will not be allowed to use credits from land-use projects such as reforestation to meet their emission targets. But a complicated caveat appears to leave open the possibility of using these credits from 2008 if scientific uncertainties surrounding sinks can be lifted. This would be decided in a review of the directive due in 2006.
DAMS
Credits from investment in hydropower projects would be allowed, on the condition that the projects “respect” criteria drawn up by the World commission on dams. This nuanced wording is slightly weaker than the text wanted by the parliament.
NUCLEAR
As agreed internationally in the Kyoto talks, nuclear energy projects will not qualify for JI or CDM credits during the 2008-12 compliance period. The parliament wanted to strengthen this in the linking directive by excluding nuclear credits from the EU trading scheme even if they are allowed under Kyoto post-2012. But MEPs failed to have this agreed in the compromise text.
DOMESTIC PROJECTS
Some member states wanted to allow firms covered by the trading scheme to gain credits by investing in emission-reduction projects at home, in areas such as transport. The parliament was against this. Under the compromise, such domestic project credits are excluded for now but the issue will be included in the 2006 review.
REGIONAL TRADING SCHEMES ABROAD
The parliament wanted an explicit mechanism for firms in regional trading schemes in places like Australia and the US to buy EU market credits, even if their national governments have not ratified Kyoto. The possibility of a link remains in the deal, but only after the protocol enters force, and in a less politically provocative wording.
The deal, which was penned by rapporteur MEP Alex de Roo and council officials, was approved by a committee of senior member state diplomats on Wednesday afternoon. The European parliament will approve the package at its first reading in Strasbourg later this month; ministers will then rubber stamp the deal, allowing the law to enter force before the
summer, well in advance of the first trading day in January 2005.
La sostenibilità nella certezza delle norme e nelle ambiguità dei fatti
Oggi la sostenibilità la cercano drammaticamente all’Ilva di Taranto e in tutte quelle altre piccole e grandi Ilva del mondo, nelle quali ancora non c’è accordo sul senso e sulla pratica della sostenibilità da realizzare, perché, pur se i principi sono chiari, permane poco rispetto (forse anche strumentale per altri fini) delle regole su dove mettere i paletti che, in presenza di processi deterministici, segnano un preciso confine fisico, razionale, coerente e dovuto per la tutela della sicurezza dentro e fuori le sedi operative degli impianti industriali. Senza la definizione dei confini, entro i quali valutare e provvedere al controllo degli impatti delle varie lavorazioni, non è possibile indirizzare, in modo compiuto, interventi per la gestione corretta dei rischi nei particolari ambienti di lavoro e di vita coinvolti.
Su questa linea di problemi possono, purtroppo, essere scritti i racconti interminabili delle drammatiche conseguenze di presunte sostenibilità che, invece di migliorare le nostre relazioni con la realtà di uno sviluppo produttivo finalizzato al progresso umano, sono diventati motivo di divisione, di provocazioni incrociate, di scontro sociale e di demolizione di quegli equilibri socio-politici che, pur se non risolutivi, hanno strutturato, nel corso dei millenni della nostra storia (e dovrebbero poter continuare a strutturare), equilibri e buone relazioni, pur se faticose, fra modi di pensare e tradizioni di popoli diversi. Tutto uno scenario che sembra intenzionalmente perseguito per ripristinare la legge del più forte, per tornare ad una primordiale lotta per la sopravvivenza, all’oscuramento di quei percorsi di condivisione e di sinergie che permettono di avanzare nei percorsi del progresso umano.
Per non ridurre i fatti e le riflessioni, solo ad una sterile, pur se dovuta, valutazione critica ma astratta sull’indeterminato e sfuggente uso del concetto di sostenibilità (valutazione che senza riscontri di realtà potrebbe finire con l’incentivare infertili scontri verbali fra interessi contrapposti o dannose strumentalizzazioni che non c’è proprio nessuna necessità di promuovere), conviene, qui, cercare di entrare nella concretezza delle realtà vissute dei nostri giorni.
Per avere la misura di quanto sia malleabile il concetto di sostenibilità possiamo continuare a fare ancora riferimento alla vicenda che rischia di mettere in stallo le attività produttive dello stabilimento siderurgico di Taranto. A carico degli impianti e della loro gestione sono state ipotizzate molte accuse: disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.
Ma la vicenda non è frutto di un cambiamento del processo produttivo che ha portato ad un peggioramento degli impatti di questa attività sul territorio tarantino, anzi fin dai primi momenti della sua realizzazione sono stati apportati continui miglioramenti che hanno diminuito i livelli negativi dei precedenti impatti ambientali. Il fatto è che il progetto è nato in un contesto nel quale si ragionava soprattutto in termini di sviluppo economico e di occupazione. I problemi della gestione elefantiaca dei processi, della gestione della sicurezza e dell’inquinamento erano considerati causa di effetti, pur se non marginali, da affrontare man mano che ne fossero emerse evidenti e allarmanti conseguenze. La crisi della produzione dell’acciaio agli inizi degli anni 90, che ha ridimensionato significativamente i modelli dello sviluppo industriale in Italia, ha offerto, poi, la scusa per ridimensionare anche gli interventi per la mitigazione (fino ad una possibile eliminazione) degli impatti negativi che, già in origine, non garantivano tutele sufficienti per un’accettabile qualità dell’ambiente e della salute.
La successiva privatizzazione del centro siderurgico nel 1995, le regole della competizione globale (in buona parte giocata imponendo peggiori condizioni al mondo del lavoro e ridimensionando, al ribasso, la gravità degli impatti ambientali), la «disponibilità» a chiudere gli occhi da parte di autorità e governi terrorizzati dalle tremende conseguenze di un’eventuale sospensione sine die delle attività produttive, non hanno certamente favorito quell’innovazione che invece ha caratterizzato il profondo ridimensionamento, degli impatti, realizzato in altri centri siderurgici europei (pur se più periferici rispetto ai centri abitati e di dimensioni più ridotte).
Oggi sulla «sostenibilità» di questa attività produttiva (ma è così anche per molte altre attività che continuano a mettere a rischio la qualità dell’ambiente e la salute dei cittadini) sembra sia in atto un braccio di ferro fra posizioni che tendono a tirare dalla parte di singoli, diversi e contrastanti interessi, anche vitali, l’interpretazione del concetto di sostenibilità. I dubbi sui metodi di campionamenti, le contestazioni sui valori misurati degli inquinanti (immessi in aria ambiente o sversati nelle acque o accumulati e lasciati depositare sul suolo), la diversa rilevanza attribuita, attraverso l’elaborazione dei dati, alle correlazioni fra inquinamento e rilevazioni delle patologie connesse e, non ultimo, i diversi orientamenti nelle valutazioni, riguardanti il costo sociale delle decisioni sulla sorte del centro siderurgico, sono tutti elementi che hanno pesato e continuano a pesare, in modo anche imprevedibile, sul senso e la portata delle interpretazioni, che possono essere attribuite al concetto di sostenibilità, e alla sua, forse arbitraria, applicazione. In concreto, sulla sostenibilità c’è da temere che finirà col pesare, più di ogni altro fattore, l’interpretazione decisa dal più forte in campo e non certo la prudente e plausibile interpretazione che, pur nell’approssimazione degli scenari costruiti sui dati, si dispone ad affrontare la soluzione dei problemi riconoscendo la priorità degli impatti sociali rispetto agli interessi verso una sempre più elevata produzione di profitti (provenienti da un risparmio sulla spesa per la sicurezza in fabbrica e la prevenzione dei danni all’ambiente e alla salute umana: vedi la vicenda della Thyssenkrupp). Il ricorso alla sostenibilità diventa, dunque, inaccettabile se c’è la presunzione, da parte di chi la invoca e la strumentalizza, di poter monetizzare e poi svalutare ogni cosa come fosse roba da mercato (la vita dell’uomo e la sua personale visione del mondo, compresi). È questo un concetto di sostenibilità che mostra, con la sua impraticabile condivisione, non solo l’illusione di una sua chiarezza, completezza, correttezza e coerenza, ma anche l’impraticabilità del liberismo (che lo fa proprio), della vantata trasparenza e bontà della competizione e delle virtù fiabesche degli equilibri dei mercati globali.
Il calendario delle iniziative
Sabato 10 – Vanzago (Lombardia), Valpredina (Lombardia), Burano – sentiero Foresteria (Toscana), Macchiagrande (Lazio), Diecimare (Campania)
Domenica 11 – Vanzago (Lombardia), Valpredina (Lombardia), Valle Averto (Veneto), Bosco Rocconi (Toscana), Cratere degli Astroni (Campania), Persano (Campania), Le Cesine (Puglia), Lago Preola (Sicilia), Monte Arcosu (Sardegna)
Martedì 13 -Orbetello (Toscana)
Mercoledì 14 -Orti-Bottagone (Toscana)
Sabato 17 – Valpredina (Lombardia), Diecimare (Campania), Torre Salsa (Sicilia)
Domenica 18 – Vanzago (Lombardia), Valpredina (Lombardia), Guardiaregia-Campochiaro (Molise), Cratere degli Astroni (Campania), Persano (Campania), Monte Arcosu (Sardegna)
Mercoledì 21 -Orti-Bottagone (Toscana)
Giovedì 22 – Monte Sant’Elia (Puglia)
Sabato 24 – Valpredina (Lombardia), Diecimare (Campania), Bosco San Silvestro (Campania), Monte Sant’Elia (Puglia), Capo Rama (Sicilia)
Domenica 25 – Monte Arcosu (Sardegna), Crateri degli Astroni (Campania), Persano (Campania), Bosco San Silvestro (Campania), Lago Preola (Sicilia), Guardiaregia-Campochiaro (Molise), Valpredina (Lombardia)
Sabato 31 – Diecimare (Campania), Bosco San Silvestro (Campania), Valpredina (Lombardia).
(Fonte Wwf)
Che cos’è la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici
E’ stata sottoscritta al summit di Rio de Janeiro del 1992. Ha ottenuto il quorum previsto di ratifiche da parte dei Paesi Onu e quindi è entrata legalmente in vigore il 21 marzo del 1994:
Enuncia alcuni principi generali come:
– il principio di precauzione: l’incertezza delle conoscenze scientifiche non può essere usata come scusa per posticipare un intervento quando esiste comunque il rischio di un danno irreversibile,
– il principio della responsabilità comune ma differenziata: tutti i Paesi della Terra sono responsabili per le conseguenze sull’ambiente globale ed al clima globale, tuttavia tale responsabilità è differente fra i vari Paesi a seconda delle condizioni di sviluppo socio economico ed industriale, alle capacità di perturbare l’ambiente globale e di intervenire per porre rimedio alle perturbazioni.
Enuncia l’obiettivo che è quello di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di gas di serra, ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze con il sistema climatico. Tale stabilizzazione deve essere raggiunta in un periodo di tempo tale sia da consentire agli ecosistemi viventi di adattarsi in modo naturale, ai cambiamenti del clima, sia da assicurare che la produzione alimentare non venga minacciata consentendo nel contempo che lo sviluppo socio-economico proceda in modo sostenibile.
Enuncia una serie di impegni e obblighi sia di carattere generale e comuni per tutti i Paesi, sia di carattere differenziato fra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. Enuncia una serie di regole generali di cooperazione fra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, individuando anche i meccanismi finanziari per attuare la cooperazione fra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Stabilisce gli organi della Convenzione (l’organo direttivo supremo denominato:Conferenza delle Parti, gli Organi sussidiari (quello di supporto scientifico e tecnologico e quello di supporto per la gestione e l’attuazione) , il Segretariato, ecc.
La definizione di dettaglio di impegni ed obblighi, così come modalità e tempi di attuazione vengono demandati a un successivo Protocollo di attuazione.
Sorella materia
(T.de Chardin)
(T.de Chardin)
Teilhard de Chardin scienziato, Teilhard de Chardin mistico e teologo, Teilhard de Chardin filosofo. Spesso abbiamo incontrato queste definizioni presentate come incompatibili fra loro. Eppure uno solo è il soggetto, uno solo è l’uomo cui vanno attribuite. In qualunque ambito egli scrivesse, Teilhard si portava appresso l’intero bagaglio della sua conoscenza, della sua esperienza.
Nella sua riflessione e nella sua attività scientifica l’aspetto umano aveva un ruolo fondamentale. Considerava la scienza come un privilegio attribuito all’uomo, un compito mediante il quale lo scienziato non si limitava ad una descrizione distaccata o disinteressata del mondo, ma si poneva al servizio dell’umanità per una migliore conoscenza della natura e per un futuro più sereno e giusto per l’umanità.
Le scoperte più importanti di Teilhard riguardano gli ominidi ? il Sinanthropus pekinensis del Pleistocene inferiore ? e quando ritenne che il passato fossile non lo interessasse più proprio perché passato, si rivolse ad identificare le linee di sviluppo dell’umanità per ritrovarle nel presente e per indicare le strade del futuro.
Nella visione del mondo teilhardiana, infatti, l’uomo occupa un posto centrale, non nel senso antropocentrico, ma in quanto secondoTeilhard l’universo è comprensibile solo a partire dalla realtà umana.
La coscienza è infatti, per Teilhard, la chiave di volta del cosmo intero: la sua apparizione, con la venuta dell’uomo, impone allo scienziato di andare a cercare, nel passato, i suoi antecedenti. In un universo in evoluzione, nulla può apparire all’improvviso, senza antecedenti. Di qui, la certezza espressa da Teilhard dell’esistenza, anche ai gradi primordiali della materia, di un’?interiorità? delle cose.
E’ infatti all’opera, secondo Teilhard, una ?legge di complessità-coscienza? che regola l’apparire delle nuove specie e la loro evoluzione. Con l’uomo, essere estremamente complesso, la coscienza fa la sua comparsa evidente: ma, grazie allo studio dei fossili (partendo dai roditori, in particolare della Cina), Teilhard ha riconosciuto prima all’interno della stessa specie, poi in ampie popolazioni la presenza di canalizzazioni, nel senso dell’emergenza, in specie sempre più lontane e differenziate, di forme sempre più cerebralizzate. E’ quella che Teilhard definisce ?ortogenesi?, o evoluzione direzionata: dalla ?microortogenesi? (nella stessa specie), alla macroortogenesi (in più specie), essa è stata infine allargata con la ?megaortogenesi? all’intero universo. E’ appunto la legge di complessità-coscienza: è possibile constatare un’evoluzione verso forme sempre più complesse, e poi, dopo la comparsa della vita, verso forme sempre più dotate di coscienza, in misura incoativa dapprima e pienamente dispiegata nell’uomo. A livello del previdente, dove non si può parlare
di coscienza (Teilhard usa il termine di ?psichismo?) la complessità si manifesta nell’organizzazione della materia, nell’informazione. La fisica quantistica sembra qui confermare quest’intuizione, quando afferma che la base del mondo non è materiale, e che la comune esperienza quotidiana del mondo materiale deve lasciare il posto ad una diversa percezione. E’ la materia ad essere un caso particolare di organizzazione dell’energia, non viceversa. Non dobbiamo più cercare di spiegare con difficoltà come possa nascere lo spirito ? ammesso che esista, secondo il materialismo riduzionista ? dalla materia, ma siamo in grado di integrare tutto in un’unica visione. Teilhard intuì, inoltre, in uno scritto del gennaio 1955, l’azione direzionale del genoma nei meccanismi della selezione.
Pur attribuendo all’uomo un ruolo fondamentale nell’evoluzione, Teilhard non ripropone l’uomo ?microcosmo? al centro del ?macrocosmo?. Teilhard prende sul serio l’evoluzionismo e la centralità dell’uomo diventa così dinamica: l’uomo è la ?freccia?, la linea di direzione dell’universo. In questo modo il passato assume un senso e anche il presente-futuro si apre davanti a noi secondo un senso ben preciso. Se l’uomo è al centro in movimento del divenire cosmico, la vicenda umana non può essere ritenuta come separata dal resto dell’universo. Secondo Teilhard l’uomo deve assumersi la responsabilità del futuro non solo della specie ma del cosmo tutto. Occorre riconoscere a Teilhard una ?sensibilità ecologica? non comune, in tempi nei quali questa espressione non era neppure usata. Non sono mancati i critici che hanno messo in guardia dall’eccessiva fiducia riposta da Teilhard nel potere della scienza e della tecnica: quella scienza che ha portato a costruire la bomba atomica e quella tecnica che sta causando un’emergenza ambientale sempre più drammatica. Occorre però dire che l’ottimismo teilhardiano è sempre stato controllato, proprio grazie alla sua considerazione della scienza come attività umana, senza pretese prometeiche. E di un certo grado di ottimismo c’è probabilmente bisogno anche oggi, allorché si affrontano problemi mondiali ed epocali, e forte è la tentazione di ritenere la situazione ambientale in uno stato di degrado irreversibile. Teilhard ha spesso parlato di ?zest?, di ?gusto-entusiasmo? per la ricerca e per la vita in generale, la gioia di vivere necessaria per dare un senso alla propria attività e all’esistenza, minacciate dallo scoraggiamento, dalla sensazione che più nulla ci fosse da scoprire e da conquistare.
La visione teilhardiana è intrisa di una profonda spiritualità che non fugge dalla natura o dal mondo, ma proclama la necessità ? e la bellezza ? di immergersi e confrontarsi con la ?pericolosa? e ?santa? materia. Accanto alla sua educazione e alla sua scelta religiosa, la sua formazione di paleontologo ha sicuramente avuto importanza nel modellare questa sensibilità ? grazie al lavoro sul terreno, immerso nella natura spesso selvaggia in diverse parti del mondo. Teilhard non ha avvertito che raramente la tensione fra le due ali del suo spirito, quella religiosa e quella scientifica: animato da un grandissimo senso dell’unità, ha avvertito il bisogno di essere un ponte fra mondi pericolosamente estranei.
Lo dimostra la sua concezione della noosfera, la ?sfera
del pensiero?: un’unica pellicola pensante che avvolge la terra, che pulsa grazie all’azione di tutte le menti. La linfa scorre in questa entità grazie alle infinite reti di comunicazione che vanno dalle strade alle telecomunicazioni, fino a coinvolgere ? e Teilhard sembra proprio averlo previsto ? la ?cybersfera? informatica e virtuale. Una sfera che ha cominciato a svilupparsi con la comparsa dell’uomo, ma che non ha finito di crescere, di evolvere verso un futuro di sempre maggiore complessità ed integrazione. Questo futuro ha per Teilhard un nome: il Punto Omega, culmine dell’evoluzione, della sua complessità e della sua coscienza, punto finale di convergenza dell’umanità e del cosmo. Secondo Teilhard la coscienza umana appare dunque come la direzione di tutto il processo cosmico-evolutivo, che diviene cosciente di sé proprio con l’apparire della specie umana. Per questo motivo, Teilhard pare aver anticipato la definizione del cosiddetto principio antropico, principio secondo il quale, nella sua versione chiamata ?forte?, è possibile riconoscere nell’universo l’azione di una finalità in vista della comparsa sulla terra della vita e del pensiero: questo per le numerose e complesse condizioni a livello cosmico, locale ed ambientale necessarie a far giungere a questo risultato. In effetti, è possibile riconoscere un’affinità fra il principio antropico e la visione teilhardiana. Ma vanno sottolineate anche le differenze. I sostenitori del principio antropico sono perlopiù dei fisici, che si muovono quindi su parametri e realtà diversi da quelli studiati da Teilhard. Il loro lavoro, poi, consiste in una specie di movimento a ritroso, dalla situazione attuale alle condizioni iniziali dell’universo. Teilhard è invece partito dalle scoperte paleontologiche per identificare la legge di complessità-coscienza e trovare così spiegazione della particolare posizione dell’uomo nella natura.
Non è possibile dunque separare in Teilhard l’apporto delle sue diverse esperienze e riflessioni: proprio per questo la sua sintesi appare ancora oggi così potente e la sua influenza, non sempre riconosciuta in modo esplicito, feconda nei campi più diversi dell’attività umana.
(Articolo pubblicato sul numero 14, novembre 2005, del trimestrale «Scienza e Conoscenza»)
I consumi energetici sono destinati a crescere sempre?
Negli scenari che vengono elaborati si ipotizza generalmente un aumento del fabbisogno energetico nel tempo, con tassi di crescita differenziati in relazione alle assunzioni sull’andamento del Pil e sull’adozione di politiche di efficienza. In realtà questa impostazione rischia di essere dogmatica. Ci sono Paesi in cui i consumi sono ormai praticamente stazionari da anni, come la Danimarca, senza che la qualità della vita venga minimamente intaccata (fig. 1).
Certo per ottenere questi risultati occorre una politica attiva. Gli effetti di un’azione costantemente volta a promuovere il miglioramento dell’efficienza energetica possono essere molto incisivi. Nella fig. 2, ad esempio, è riportato l’andamento del consumo elettrico pro capite della California, pressoché costante nel tempo, e quello degli Usa, aumentato del 50% negli ultimi 30 anni.
Quando si perde il senso del vivere
È, dunque, in questo scenario predeterminato da un consenso generico e disinformato, che, oggi, si prendono decisioni sulle scelte di sviluppo del nostro paese, e su quelle energetiche in particolare, andando ad incidere minacciosamente su quel «senso del vivere» che l’uomo ricerca per dare risposte alle proprie aspirazioni più profonde.
Oggi si tenta di posizionare, al centro della questione energetica, la necessità di un «fare le cose» che vorrebbe alimentare, con l’abbrivio dei «successi» raggiunti, anche il poterle continuare a fare prima che qualcun altro proponga legittime domande (se non proprio legittimi dubbi) sulla «razionalità» e soprattutto sulla «intelligenza», delle scelte. Sulla «bontà», sui «vantaggi» economici delle «cose da fare» e dei risultati, vi sono spesso incertezze, normalmente sottaciute.
Nel campo delle scelte energetiche le incertezze sono, però, troppo profonde per farle passare sotto silenzio. Negli scenari alternativi, da sottoporre a confronto nelle scelte dei sistemi di produzione di energia elettrica, per esempio, i costi di produzione dipendono troppo dalla volatilità dei prezzi dei combustibili (compresi quelli nucleari) e degli impianti (soprattutto per quelli più a rischio come quelli nucleari) per poter fare comparazioni significative. E soprattutto le comparazioni, fra le convenienze, diventano poi scandalosamente impresentabili se, come avviene per gli impianti nucleari, i costi più rilevanti e i loro onerosi aggiornamenti vengono imputati alle risorse finanziarie derivanti dalla fiscalità generale (a spese dello Stato, cioè di noi contribuenti).
In questa inaccettabile prospettiva di «suddivisione» dei costi del nucleare, si vengono a precostituire le condizioni per una vera e propria «truffa» a danno dei cittadini e dei consumatori indotti a immaginare una falsa convenienza della produzione di elettricità dal nucleare, misurata dal prezzo pagato in bolletta e non anche dalle corpose integrazioni che tutti, attraverso il pagamento di tasse, verseremo forzosamente per il funzionamento degli impianti nucleari.
Ma i rischi, oggi, non sono solo tecnici: è significativo il fatto che nelle zone più turbolente del nostro mondo le azioni di guerra si progettano (e sono state anche già compiute) prevedendo l’attacco alle centrali nucleari per ottenere l’«ottimizzazione» dei danni possibili! Per non parlare di tutto il materiale fissile, plutonio innanzitutto, che può essere oggetto di furti e contrabbando anche per la costruzione delle cosiddette «bombe sporche» che al danno meccanico, dell’esplosione delle bombe tradizionali, aggiungono quelli della diffusione di polvere radioattiva e tossica che rimarrà tale, nell’ambiente, per lunghissimi tempi!
Interrogativi pesanti
…Oppure deve continuare una logica di potere? E come spiegare altrimenti, in quest’ottica, che quando manca solo una settimana al Summit Ue-Usa in programma il prossimo 30 Aprile a Washington, secondo alcuni diplomatici di Washington non ci sarà nessuna dichiarazione congiunta; e stando ad un diplomatico dell’Ue non sarebbe ancora circolata nessuna bozza di testo su energia e cambiamenti climatici, un ritardo insolito prima di un summit del genere?
Né può interpretarsi positivamente il fatto che la Cina ha divulgato per la prima volta target interni per combattere il riscaldamento globale, ma secondo alcuni analisti, anche se questi fossero adottati ufficialmente sarebbero scarsamente ambiziosi e poco efficaci, analogamente a quelli degli Stati Uniti.
Infatti il nuovo documento «The National Climate Change Assessment Report», secondo l’agenzia Reuters, escluderebbe «limiti assoluti e obbligatori» prima del 2050 sulle crescenti emissioni di gas-serra della Cina, ritenendo la crescita economica una priorità maggiore. Suggerirebbe invece di ridurre la «carbon intensity» della Cina, vale a dire la quantità di anidride carbonica emessa per unità di prodotto interno lordo («Gross domestic product», Gdp), del 40% dal 2000 al 2020. Tuttavia, siccome durante quel periodo la Cina ha l’obiettivo di quadruplicare il proprio Gdp, le emissioni come minimo raddoppierebbero nonostante questa misura. In realtà, secondo fonti che hanno visto il documento, gli obiettivi di «carbon intensity» non comparirebbero ufficialmente nel piano Nazionale sui Cambiamenti Climatici, che doveva essere pubblicato oggi, ma che è stato rimandato in data da definire.
Anche gli Stati Uniti hanno per ora rifiutato di imporre limiti alle emissioni di gas-serra e come la Cina preferiscono un obiettivo di riduzione della «carbon intensity», nel loro caso del 18% dal 2002 al 2012.
Però negli Usa esiste un forte movimento «interventista» contro i gas serra. Il 19 Aprile 2007 sono state centinaia le città statunitensi che si sono impegnate per ridurre le emissioni di gas-serra, in assenza di impegni da parte del governo federale. Da New York a Los Angeles e Las Vegas, 464 leader delle città, rappresentativi di più di 62 milioni di Americani nei 50 Stati, hanno firmato l’accordo volontario «U.S. Mayors Climate Protection Agreement».
Le città che partecipano all’iniziativa si impegnano a: 1. raggiungere i target del Protocollo di Kyoto nelle proprie comunità (attraverso varie misure quali: un’appropriata pianificazione dell’uso del suolo nell’ambiente urbano, progetti di recupero del verde urbano, campagne di sensibilizzazione ecc…); 2. fare pressione sul governo dei propri Stati e sul governo federale affinché sia data attuazione a politiche e programmi volti a raggiungere il target di riduzione delle emissioni indicato dal Protocollo di Kyoto per gli Stati Uniti; 3. fare pressione sul Congresso Statunitense affinché sia approvata una legislazione per la riduzione delle emissioni, che stabilirebbe anche un sistema nazionale di mercato dei crediti di carbonio.
Tutto questo mentre, come fa l’Europa, Giappone e Usa intendono rafforzare la propria cooperazione nella lotta al riscaldamento globale per il periodo post 2012. Al termine del loro prossimo incontro previsto per venerdì, i termini dell’accordo dovrebbero
essere resi noti in un documento congiunto in cui i due leader stabilirebbero anche misure di cooperazione per lo sviluppo di iniziative innovative per il risparmio energetico ed altre tecnologie ambientali. Rimangono comunque molte le incertezze riguardo lo sviluppo di tale processo di collaborazione.
Abe aveva già concluso un accordo con il Premier Cinese Wen Jiabao lo scorso 11 Aprile per cooperare allo sviluppo di un quadro post-Kyoto efficace per la riduzione delle emissioni di gas-serra.
Insomma è sempre il business in primo piano e i cambiamenti climatici sono il nuovo motore, come lo sono già stati la schiavitù, i salari agli operai, la fame nel mondo, la non proliferazione nucleare. E di tanto in tanto, a seconda del paese su cui fare pressione, spuntano anche i diritti umani e la pena di morte…
I misteri del popolo Maya
I Maya erano un popolo geniale e singolare, a cui vanno riconosciuti numerosi meriti, oltre a quello, tanto rinomato in questo periodo, di aver predetto il futuro del mondo.
La loro è la storia di gente fiera e caparbia che, ad un certo punto, si trovò a dover fare i conti con l’impatto violento della civiltà occidentale.
Già, l’occidente e la sua cultura. A che punto siamo?
Dilaniati da mille timori moderni, resi esitanti dall’incertezza del futuro del pianeta, ecco che ci affidiamo a profezie che affondano le proprie radici nel passato storico di una civiltà mitizzata dai mille punti interrogativi a cui dare ancora una risposta univoca.
Qui verranno riportate sinteticamente le informazioni più interessanti estrapolate da un sito dedicato esclusivamente alla storia dei Maya (N W O. New world order).
Gli spagnoli nel XVI secolo rovesciarono con facilità i gruppi maya, indeboliti dalle guerre interne e colpiti da devastanti epidemie di cui erano portatori gli stessi conquistadores.
I sopravvissuti andarono a rafforzare una classe di lavoratori schiavizzati nelle piantagioni e nelle miniere.
La guerra dei conquistadores durò più di un secolo: arrivati nel 1527, riuscirono a conquistare l’ultima città maya nel 1697.
Gli spagnoli introdussero nei nuovi territori i principi del diritto romano, dell’amministrazione e della giustizia, sviluppando un sistema coloniale estremamente burocratico e imponendo agli indigeni la lingua, la cultura e le istituzioni spagnole.
Ma la grande organizzazione unificatrice fu la Chiesa cattolica: il clero convertì al cattolicesimo le popolazioni locali.
Ovviamente durante il periodo della colonizzazione si distrusse completamente l’identità di questo popolo.
Le rovine di numerosi centri costruiti per le cerimonie religiose mostrano l’abilità dei Maya nel campo dell’architettura.
Questi centri comprendevano di solito vari basamenti piramidali.
Le piramidi, generalmente di terra e pietrisco, erano rivestite di blocchi di pietra e vi si accedeva tramite ripide scale, poste su uno o più lati.
L’arco era sconosciuto; l’interno e l’esterno erano dipinti con colori brillanti mentre decorazioni, sculture in legno dipinto, stucchi e mosaici in pietra abbellivano le facciate.
I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti.
Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia.
Alcune discutibili tradizioni dei Maya erano quelle di schiacciare il cranio dei neonati tra due assi per fargli assumere «artificialmente» una forma più piatta ed allungata.
Nonostante questa usanza potesse causare dei traumi nei bambini, aventi ancora le ossa fragili, questo aspetto fisico veniva visto positivamente perché più simile a quello degli dei.
Un’altra usanza era quella di rendere strabici i bambini attraverso una pallina posta davanti gli occhi, perché simbolo di bellezza.
La tradizione più importante riguardava il rispetto assoluto nei confronti della natura: la terra veniva considerata una vera e propria madre a cui chiedere il permesso di coltivarla ad ogni semina, o per ogni altra operazione agricola. (V. N.)
Informazioni sull’Aea
L’Agenzia europea dell’ambiente è la fonte principale delle informazioni utilizzate dall’Unione europea e dai suoi Stati membri per lo sviluppo di politiche in materia di ambiente. L’Agenzia intende promuovere lo sviluppo sostenibile e contribuire ad un miglioramento significativo e misurabile dell’ambiente europeo mediante la fornitura di informazioni tempestive, mirate, pertinenti e affidabili ai responsabili decisionali e all’opinione pubblica. Istituita dall’Unione europea nel 1990 e operante a Copenaghen dal 1994, l’Aea è il fulcro della rete europea di informazione e osservazione ambientale (Eionet), una rete composta da circa 300 organismi in tutta Europa attraverso i quali essa raccoglie e divulga informazioni e dati in materia di ambiente.
L’Agenzia, che è aperta a tutte le nazioni che ne condividono gli obiettivi, conta attualmente 31 paesi membri, ossia i 15 Stati membri dell’UE, l’Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein, che fanno parte dello Spazio economico europeo, e i 13 paesi aderenti e candidati all’adesione all’UE, ovvero Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovenia, Repubblica slovacca e Turchia. L’Aea è il primo organismo che accoglie i paesi aderenti e candidati all’adesione all’UE. Sono anche in corso negoziati di adesione con la Svizzera.