(Adnkronos) –
Ecocidio è il reato punibile fino a 10 anni di reclusione. L’ha stabilito la nuova direttiva, concordata con il Consiglio il 16 novembre 2023 e approvata nelle scorse settimane con 499 voti favorevoli, 100 contrari e 23 astensioni. Tra i nuovi reati figurano il commercio illegale di legname, l'esaurimento delle risorse idriche, le gravi violazioni della legislazione dell'UE in materia di sostanze chimiche, e l'inquinamento provocato dalle navi. Una specifica, voluta dai deputati, ha inserito nel testo i “reati qualificati”. Sono quei reati che portano alla distruzione di un ecosistema, paragonabili a incendi boschivi su vasta scala e inquinamento diffuso di acqua, aria e suolo. Ma cos’è un ecocidio? Scopriamolo insieme. Il termine “ecocidio” non è una scoperta recente, ma il suo uso nel linguaggio comune fa le prime apparizioni negli anni Settanta, quando comparve per la prima volta nella Conferenza sulla guerra e la responsabilità nazionale a Washington. Venne coniato nel 1970 dal biologo statunitense Arthur Galston per descrivere i danni causati dal cosiddetto “agente arancio”, un defoliante che l’esercito Usa sparse in enormi quantità sulle foreste tropicali durante la guerra del Vietnam. Nel ‘73 Richard Falk, docente di Diritto internazionale fornì la prima analisi legale di questo termine: la distruzione consapevolmente perpetrata di un ambiente naturale. Da quel momento in poi molti accademici e studiosi di diritto hanno sostenuto la criminalizzazione dell’ecocidio: cioè, far sì che venisse riconosciuto come un crimine internazionale a livello giuridico. Distruggere la vita di un ecosistema ambientale equivale a danneggiare anche la salute di persone coinvolte e/o che vivevano in quel sistema danneggiato. “Farebbe la differenza tra un piante abitabile e uno non abitabile”, aveva affermato il giornalista George Monbiot al The Guardian in merito all’instaurazione dell’ecocidio come crimine internazionale. E non sono mancate le critiche in merito alla sua stessa esistenza, considerata da una parte anche della stampa italiana come l“ultima follia europea”. Divenendo un tema divisivo per l’opinione pubblica, il reato di ‘ecocidio’ si è fatto strada, sino a raggiungere le stanze dei decisori politici europei e appropriandosi di un posto tra i reati punibili fino a 10 anni. Chi commetterà reati ambientali, fa sapere il Parlamento europeo, sarà punibile con la reclusione, a seconda della durata, della gravità e della reversibilità del danno. Che si tratti di persone fisiche e rappresentanti d’impresa, i reati qualificati saranno punibili con un massimo di otto anni. Per chi causerà la morte di una persona si rischierà fino a 10 anni e per tutti gli altri reati cinque anni. Il danno causato dovrà essere risarcito e sarà necessario ripristinare l’ambiente danneggiato. Per le imprese, l’importo dipenderà dalla natura del reato e sarà pari ad una percentuale del fatturato annuo (3 o 5%) o, in alternativa, pari a 24 o 40 milioni di euro. Gli Stati membri potranno decidere se perseguire i reati commessi al di fuori del loro territorio. Una figura emersa durante i negoziati, ma già ben nota a livello internazionale, è quella del whisteblower. Si tratta dell’informatore, il “segnalatore” che denuncia reati ambientali e che sarà sostenuto e riceverà assistenza nei contesti dei procedimenti penali. Può essere interno ad un’azienda della quale scopre gli illeciti o esterno e indirettamente collegato ad essa. Ulteriori misure a supporto consisteranno nella formazione tramite corsi specializzati per forze dell'ordine, giudici e pubblici ministeri. Redigere strategie nazionali e organizzare campagne di sensibilizzazione contro la criminalità ambientale saranno le prossime mosse. I dati sui reati ambientali raccolti dai governi dell'UE dovrebbero inoltre consentire di affrontare meglio la questione e aiutare la Commissione ad aggiornarne regolarmente l'elenco. "È giunto il momento che la lotta alla criminalità transfrontaliera assuma una dimensione europea, con sanzioni armonizzate e dissuasive che impediscano nuovi reati ambientali – ha dichiarato il relatore per il Parlamento europeo Antonius Manders (PPE, NL) -. Con questo accordo, chi inquina paga. Ma non solo: è anche un enorme passo avanti nella giusta direzione. Qualsiasi dirigente d'impresa responsabile di provocare inquinamento, infatti, potrà essere chiamato a rispondere delle sue azioni, al pari dell'impresa. Con l'introduzione del dovere di diligenza, poi, non ci sarà modo di nascondersi dietro a permessi o espedienti legislativi". La criminalità ambientale si classifica al quarto posto tra le attività criminali nel mondo. Rappresenta una fonte di guadagno per le organizzazioni criminali ed viene dopo il traffico di droga, quello di armi, e la tratta di essere umani. Con la direttiva approvata in Pe, i deputati hanno dato una risposta chiara alle proposte dei cittadini nelle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Ecocidio, cos’è il crimine ambientale “punibile fino a 10 anni di reclusione”
I cambiamenti climatici influenzano le disuguaglianze di genere, come e quanto?
(Adnkronos) – I cambiamenti climatici non sono solo un fenomeno astratto che influisce sulle temperature globali e sui livelli del mare, sono un terremoto sociale che scuote le fondamenta delle comunità più vulnerabili, tra cui le donne rurali, le fasce povere della popolazione e gli anziani. Questi gruppi, già marginalizzati dalla società, subiscono un impatto sproporzionato dalle condizioni meteorologiche estreme e dalle variazioni climatiche, come sottolinea un nuovo rapporto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO). Il rapporto, intitolato 'Unjust Climate' (Il Clima Ingiusto), rivela una realtà agghiacciante: ogni anno, nei paesi a basso e medio reddito, le famiglie a guida femminile nelle zone rurali subiscono perdite finanziarie nettamente maggiori rispetto ai nuclei familiari con uomini capofamiglia. Questa disparità è evidente, con le famiglie guidate dalle donne che perdono mediamente l'8% in più del reddito a causa dello stress termico e il 3% in più a causa delle inondazioni rispetto ai loro omologhi maschili. In termini monetari, questo si traduce in una perdita pro capite di 83 dollari per lo stress termico e di 35 dollari per le inondazioni, rappresentando un totale di 37 miliardi e 16 miliardi di dollari rispettivamente in tutti i paesi a basso e medio reddito. E se le temperature medie dovessero aumentare anche solo di 1°C, queste donne subirebbero una perdita del reddito totale del 34% superiore rispetto agli uomini. Ma le conseguenze non si fermano qui. Lo studio indica che le barriere socio-economiche, come l'accesso limitato alle risorse e ai servizi, aggravano ulteriormente la vulnerabilità delle popolazioni rurali. Le donne si trovano spesso a fare i conti con norme e politiche discriminatorie che sovraccaricano loro di responsabilità domestiche e di cura, limitano i loro diritti alla terra e ostacolano il loro accesso a informazioni, risorse finanziarie e tecnologie cruciali. Gli anziani, d'altra parte, si trovano spesso senza opportunità di lavoro al di fuori dell'ambito agricolo, rendendo i loro redditi ancora più vulnerabili agli eventi climatici estremi. E quando queste condizioni meteorologiche avversate si manifestano, le famiglie rurali impoverite sono costrette a strategie di sopravvivenza inadeguate, come la vendita del bestiame e la riduzione dei flussi di reddito, che non fanno che acuire la loro vulnerabilità a lungo termine. Ma cosa stanno facendo i governi per affrontare questa crisi? Il rapporto rivela un quadro preoccupante: solo una piccola percentuale delle azioni per il clima proposte menziona specificamente le donne, gli anziani o le comunità rurali. Eppure, l'urgenza di rispondere a queste sfide è più grande che mai. Analogamente, una parte esigua dei finanziamenti per il clima tracciati nel 2017-2018 è stata destinata alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, con una percentuale ancora inferiore destinata all'agricoltura, alla silvicoltura e ad altri investimenti legati all'agricoltura, mentre solo una frazione minima ha raggiunto i piccoli produttori. Le politiche agricole attuali non affrontano adeguatamente le sfide della parità di genere e dell'emancipazione femminile, specialmente in relazione ai cambiamenti climatici. Un'analisi delle politiche agricole in 68 paesi a basso e medio reddito ha rivelato che la maggior parte di esse non considera il legame tra condizione femminile e cambiamenti climatici. Il rapporto esorta quindi a investire in politiche e programmi che comprendano la complessità delle vulnerabilità climatiche delle popolazioni rurali e affrontino le loro specifiche difficoltà, inclusi l'accesso limitato alle risorse produttive. Raccomanda inoltre di creare sinergie tra programmi di protezione sociale e servizi di consulenza per incoraggiare l'adattamento e compensare gli agricoltori per le perdite subite. Sono necessarie anche metodologie trasformative di genere che sfidino direttamente le norme discriminatorie e permettano alle donne di partecipare attivamente alle decisioni economiche che influenzano la loro vita. Queste azioni possono contribuire a ridurre le forme di discriminazione radicate che spesso limitano il coinvolgimento delle donne nelle decisioni economiche. L'analisi sottolinea la necessità di interventi mirati che consentano alle varie popolazioni rurali di adattarsi ai cambiamenti climatici. Questo richiede un impegno politico e finanziario più significativo a livello globale e nazionale, con un'enfasi particolare sull'inclusione e sulla resilienza nelle politiche climatiche. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Quanto inquina produrre la neve artificiale?
(Adnkronos) – Sciare è bello, ma la neve cade sempre meno copiosa sul territorio italiano a causa del surriscaldamento climatico. Tanto che da anni si provvede a produrre e sparare neve artificiale per far sì che gli impianti sciistici continuino a popolarsi, che il turismo continui a girare. Questa tecnologia è diventata di vitale importanza per l’economia di alcune zone di Italia, che dipendono dal successo della stagione invernale e, più in particolare, sciistica. La produzione di neve artificiale si rese necessaria in primis per le competizioni agonistiche. La prima edizione dei giochi olimpici invernali nella quale fu inevitabile ricorrere a sistemi di innevamento artificiale fu quella che si svolse a Lake Placid nel 1980. Inizialmente, la neve artificiale era considerata una soluzione “di emergenza”, ma negli anni a seguire è diventata sempre più comune nelle località turistiche. Si arriva allora alla fatidica domanda: quanto costa la neve artificiale alle strutture sciistiche e all’ambiente? Tanto, in entrambi i sensi. Sotto il profilo ambientale, i consumi sono essenzialmente di due tipi: energia elettrica e acqua. Sul primo punto bisogna evidenziare che solo raramente si ricorre a fonti di energia rinnovabile, e quindi c’è un grande dispendio economico, ma soprattutto ambientale, visto l’utilizzo di fonti fossili. La stessa National Geographic parla di una “enorme impronta di carbonio” lasciata nell’atmosfera da questi impianti. Computo ambientale negativo anche sotto il profilo idrico, dal momento che l’acqua viene prelevata dalle fonti locali con un enorme impatto negativo sulla disponibilità di acqua potabile e sulla vita acquatica nelle zone circostanti. Un problema che, chiaramente, non riguarda solo l’Italia. Secondo le stime del centro di ricerca Cipra per innevare un ettaro di piste occorre 1 milione di litri di acqua, per i circa 25000 ettari delle piste alpine in un anno si prelevano 95 milioni di metri cubi d’acqua, pari al consumo di una città di oltre un milione di abitanti. Sotto il profilo dell’energia elettrica, occorrono circa 3.5 kWh per metro cubo di neve, una stima per la Francia indica che ogni anno, per produrre neve artificiale, si produce energia come per 130.000 famiglie di 4 persone. Il tutto al netto dei danni provocati all’ambiente e all’ecosistema dalla costruzione degli impianti, soprattutto perché la neve artificiale resta in alcuni tratti di montagna anche a primavera inoltrata, quando, per natura, non dovrebbe esserci. Sotto il profilo dei costi per le strutture, un metro cubo di neve costa 3-4 euro, un costo che sale quando si inneva in condizione termiche al limite. Innevare completamente una pista da discesa libera in assenza di neve naturale può arrivare a costare 250.000 euro. Alcuni ricercatori dell’Università di Basilea, in Svizzera, stanno svolgendo ricerche sull’innevamento tecnico e sui consumi idrici correlati sino al 2100. Il titolo della notizia pubblicata sul sito dell’Università in relazione al paper è abbastanza eloquente: “Sciare durante le vacanze di Natale non è più garantito, nemmeno con gli sparaneve”. L’anno scorso, per la prima volta, la temperatura media globale ha superato i +2°C rispetto al periodo preindustriale e, nonostante l’impegno più o meno di facciata di enti e aziende, negli anni a venire non si prevede un miglioramento. Anzi, dalle simulazioni delle condizioni meteorologiche dei prossimi anni, secondo i ricercatori emerge un dato: sarà sempre più difficile garantire stagioni sciistiche lunghe come quelle di oggi. Prima di vedere le condizioni che consentono di produrre neve in questo modo, diamo uno sguardo al processo, molto sofisticato, che porta alla produzione della neve artificiale. Appositi “cannoni” vaporizzano l’acqua in minuscole goccioline. Queste vengono immesse in aria attraverso ugelli e portate a distanza con grosse ventole o pressurizzando l’acqua. Esistono due sistemi per produrre neve artificiale: a bassa pressione (cannoni), o ad alta pressione (lance posizionate in alte aste). Dietro, ci sono tubazioni che richiedono scavi, macchinari, sale di controllo e spesso appositi bacini idrici artificiali. Ben circa 150 sono stati realizzati nelle Alpi. Infatti, anche la neve artificiale ha bisogno di determinate condizioni metereologiche: queste tecnologie, infatti, non usano sistemi di refrigerazione e se le temperature esterne non sono abbastanza basse (sotto lo zero) producono solo acqua. La temperatura ideale va dai -2°C ai -4°C. Fondamentale anche il tasso di umidità, che deve essere molto basso. Se l’aria è particolarmente secca, gli impianti riescono a creare neve artificiale anche con temperature leggermente sopra lo zero. Il vento è un fattore di disturbo, perché può danneggiare i cristalli di ghiaccio che compongono i fiocchi di neve, facendoli disaggregare. Malgrado i miglioramenti tecnologici, la neve artificiale resta diversa dalla neve naturale e risulta più dura e densa. Il che è un risultato positivo per l’impianti sciistici, dato che la neve artificiale rende le piste più compatte e più veloci. Esiste anche il cosiddetto “innevamento programmato”: quando l’impianto rileva le condizioni atmosferiche opportune si avvia in automatico e spara acqua che viene trasformata in neve. Dallo studio elvetico emerge che negli anni a venire sarà necessario una quantità sempre maggiore di acqua per avere un manto nevoso idoneo all’attività sciistica. Non sempre, però, l’innevamento artificiale viene fatto per assenza di neve naturale. A volte la neve artificiale viene utilizzata anche in presenza di abbondante neve naturale per rispondere al crescente interesse verso l’attività sciistica. Il che, chiaramente, aumento l’impatto ambientale di questa tecnica. Le risorse necessarie per produrre neve artificiale creano danni anche sotto il profilo sociale, altro aspetto cruciale dell’ambito Esg. La principale autrice dello studio elvetico, la dott.ssa Maria Vorkauf, ha spiegato che, nel corso di pochi decenni, le riserve idriche sempre più scarse potranno causare situazioni di conflitto legate alla gestione dell’acqua, che in montagna viene utilizzata anche per gli impianti idroelettrici. Non a caso, da anni la neve artificiale è oggetto di critiche da parte di organizzazioni ambientaliste e di contenziosi sociali per l’uso delle risorse idriche. I consumi infatti sono veramente elevati, comportando costi che spesso sono sostenuti da contributi pubblici. I problemi connessi all’impatto ambientale degli impianti sono noti e da tempo si cerca di capire come minimizzarli attraverso tecnologie, materiali e buone pratiche che consentano di ridurre l’impatto ambientale (energia elettrica, acqua, danni sull’ecosistema). Per questo si sta cercando il modo per: – alimentare le strutture utilizzando
fonti rinnovabili
; – riutilizzare e riciclare le acque impiegate dagli sparaneve Un esempio in tal senso viene dagli ultimi giochi olimpici invernali, quelli di Pechino 2022 a cui il Cio (Comitato olimpico internazionale) chiedeva di garantire la neutralità delle emissioni. Per raggiungere quest’obiettivo l’organizzazione delle Olimpiadi ha utilizzato le fonti rinnovabili per alimentare tutti gli impianti e, per ridurre l’impatto ambientale legato all’innevamento artificiale, ha introdotto sofisticati sistemi di refrigerazione a CO2 naturale, alimentati da energia pulita, con l’obiettivo di ridurre notevolmente le emissioni di carbonio connesse ai processi di raffreddamento dell’acqua. Come ultimo punto della strategia, gli organizzatori di Pechino 2022 hanno anche previsto un sistema per recuperare l’acqua disciolta dalla neve artificiale convogliandola in serbatoi locali. Spunti da non perdere di vista se si vuole che la transizione ecologica sia effettiva e conciliabile con le attività turistiche ed economiche. Un approccio del genere può evitare che le promesse green, almeno quelle, non si sciolgano come neve al sole. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Ma l’uomo progredisce o regredisce?
֎La paura dell’ignoto segna ancora i rapporti dell’uomo con l’ambiente. A nulla valgono i progressi scientifici e culturali. Ormai lo stato attuale del Pianeta è in una condizione di guerre costante che non fanno che accrescere odi ed egoismi֎
Ridurre lo spreco idrico con la tecnologia: a Rieti arriva lo smart metering
(Adnkronos) – In Italia quasi la metà dell’acqua potabile messa in circolo viene persa a causa delle infrastrutture idriche obsolete. La tecnologia è l’unica speranza per risolvere questo annoso problema? Un esempio virtuoso arriva dalla provincia di Rieti che integrerà un avanzato sistema di smart metering per ridurre lo spreco idrico. Il progetto prevede l’installazione di oltre 54 mila contatori intelligenti in 19 comuni. L’obiettivo è quello di ridurre gli sprechi idrici, migliorare la fatturazione e ottimizzare l’efficienza energetica. Con questi strumenti, sarà anche più utile intervenire su eventuali guasti e segnalazioni fatte dai cittadini, graazie a una gestione digitalizzata che funziona anche da remoto. Il sistema, realizzato in partenariato pubblico-privato tra Acqua Pubblica Sabina (Aps) e Unidata, si inserisce nel più ampio contesto della gestione intelligente delle risorse idriche, in linea con il Pnrr e gli obiettivi europei di sostenibilità ambientale. Elemento portante del progetto di smart metering a Rieti è il partenariato pubblico-privato con Unidata, società quotata in Borsa a Milano al segmento STAR, attiva in ambito tecnologico, informatico e delle comunicazioni. Una sinergia che conferma quanto più volte sottolineato su queste pagine: la transizione ecologica necessita della sinergia tra pubblico e privato. Non solo: la transizione energetica richiede investimenti ingenti che non possono prescindere dal supporto delle banche e degli istituti finanziari. Lo stesso Mario Draghi ha ricordato pochi giorni fa come senza investimenti, l’Ue non potrà andare lontano anche, e soprattutto, sul fronte della transizione energetica. L’investimento di oltre 3,1 milioni di euro da parte di Unidata nell’accordo siglato con la provincia di Rieti diventa dunque un esempio da riprodurre in tutta la penisola. L’operazione avrà la durata di 14 anni, 1 anno di realizzazione e 13 di gestione, con un valore della concessione di 9,6 milioni di euro. L’intervento consentirà tempi record per assicurare una svolta decisiva per Aps, che potrà beneficiare di un sistema di monitoraggio all’avanguardia che consentirà una gestione virtuosa della risorsa idrica. La “misurazione intelligente” contribuirà anche ad una decisa crescita dell’efficienza energetica di Aps, Gestore del Servizio Idrico Integrato per la provincia di Rieti. Il progetto di smart metering, inoltre, metterà a disposizione delle pubbliche amministrazioni del territorio un’infrastruttura di rete su cui attivare ulteriori servizi in logica Smart City/Smart Area, favorendo la crescita della qualità dei servizi e, quindi, della qualità della vita nell’area di Rieti. L’investimento consentirà ad Ads di: – raccogliere in maniera automatizzata, più veloce e più frequente le misurazioni di consumo idrico con una riduzione delle spese di lettura; – individuare tempestivamente le dispersioni al fine di ridurre drasticamente gli sprechi idrici; – rilevare immediatamente eventuali manomissioni o malfunzionamenti; – monitorare pressione e portata in acquedotto al fine di ottimizzarne i valori, ridurre i consumi elettrici e idrici; – fornire ai consumatori dati immediati che consentano di conoscere precisamente i propri consumi quasi in tempo reale. Lo smart metering per l’acqua è uno dei principali campi applicativi dell’Internet of Things (IoT) e delle reti LoRaWAN, che consentono una comunicazione wireless a lunga distanza e a basso consumo energetico tra i dispositivi. Un progetto totalmente in linea con il Pnrr, che prevede 900 milioni di euro per progetti di riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti. In Italia, le perdite idriche nella rete di distribuzione risultano mediamente pari al 42,2% del volume acqua immessa. Una cifra che equivale a 3,4 miliardi di metri cubi annui di acqua persi ogni anno, come riprota l’Eurispes. Praticamente la quantità di acqua necessaria per il fabbisogno 44 milioni di persone. Tutta acqua che non arriva agli utenti a causa di tubazioni vecchie, rotte o danneggiate, di errori di misura dei contatori ma anche di allacci abusivi. Il problema idrico in Italia, però, non parte solo dall’amministrazione pubblica, ma anche dal comportamento degli stessi consumatori, tra i più “spreconi” d’Europa. Gli italiani, infatti, consumano in media 215 litri di acqua al giorno a testa, circa dieci volte più di quanto necessario per soddisfare i bisogni umani di base. Tra le attività domestiche che consumano più acqua ci sono le docce, i servizi igienici, il lavaggio delle stoviglie e il bucato. Spesso si lasciano i rubinetti aperti inutilmente o si usano elettrodomestici non efficienti. Su quest’ultimo punto, si registra un miglioramento nelle scelte di acquisto degli italiani che optano sempre più spesso per elettrodomestici di classe A (qui per vedere come sono cambiati i consumi degli italiani). Anche l’irrigazione intensiva dei campi contribuisce al problema idrico dello stivale, anche considerando che l’agricoltura è il settore che consuma più acqua in Europa, il 59% del totale. In Italia, l’irrigazione dei campi avviene spesso in modo inefficiente, con sistemi che provocano una forte evaporazione o che non si adattano alle condizioni climatiche e alle esigenze delle colture. Inoltre, l’agricoltura intensiva e l’allevamento rendono il suolo meno capace di trattenere l’acqua e più vulnerabile alla siccità. Rischi di cui occorrerebbe ricordarsi prima che avvengano nuove alluvioni o frane, soprattutto dopo l’annus horribilis del 2023. Lo spreco idrico in Italia varia a seconda delle regioni, sia per quanto riguarda la dispersione che il consumo. Le regioni con la maggiore dispersione sono il Lazio (50,8%), la Campania (49,9%) e la Sicilia (49,6%), mentre quelle con la minore sono il Trentino-Alto Adige (18,9%), la Valle d’Aosta (19,9%) e il Friuli-Venezia Giulia (23,9%). Sotto il profilo dei consumi, quelle con il maggiore utilizzo sono la Puglia (287 litri al giorno a testa), la Basilicata (279) e la Calabria (269), mentre quelle con il minore sono il Molise (144), la Valle d’Aosta (149) e il Piemonte (156). In un’epoca in cui la sosteniblità ambientale è sempre più al centro delle strategie istituzionali e aziendali, è fondamentale che anche i consumatori facciano la loro parte. Sull’altro fronte, c’è la tecnologia che può aiutare a ridurre le perdite, i malfunzionamenti e i consumi. Il caso di smart metering a Rieti è, in tal senso, una buona notizia per lo stivale. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Energia sostenibile dai tornelli delle metro: risultati incoraggianti da Parigi
(Adnkronos) – La metropolitana di Parigi è una delle più antiche e frequentate al mondo, con oltre 4 milioni di passeggeri al giorno. E alcuni di questi passeggeri contribuiscono anche a produrre energia elettrica ogni volta che attraversano i tornelli. Il tutto grazie a un progetto sperimentale avviato nel 2023 presso la stazione della metropolitana Miromesnil, dove sono state installate 6 mini turbine
eoliche sui tornelli. Queste turbine sono in grado di convertire l’energia cinetica generata dal movimento dei passeggeri in elettricità, che viene poi immagazzinata in una batteria o utilizzata per alimentare le luci e i display della stazione. L’idea è nata da un gruppo di studenti della scuola di ingegneria Junia della città di Lille, che hanno partecipato a un concorso di open innovation lanciato dalla Ratp, l’azienda che gestisce la metropolitana di Parigi. Il concorso aveva lo scopo di trovare soluzioni innovative e sostenibili per migliorare l’esperienza dei viaggiatori e ridurre l’impatto ambientale della metropolitana. Il progetto delle mini turbine eoliche ha vinto il primo premio e ha ricevuto il sostegno dell’azienda per essere realizzato e testato. I risultati sono stati incoraggianti: in un anno, le turbine hanno prodotto circa 120 kWh di energia, equivalenti al consumo annuo di energia elettrica di quattro famiglie. Sebbene si tratti di una quantità minima rispetto al fabbisogno energetico della metropolitana, che è di circa 1,5 TWh all’anno, il progetto dimostra il potenziale di questa tecnologia, che, se estesa a tutta la rete metropolitana e ad altre infrastrutture urbane potrebbe generare una considerevole mole di energia elettrica. La battaglia contro il cambiamento climatico e a favore di una economia più sostenibile passa da due filoni. Il primo è quello di un uso più consapevole delle risorse (energetiche e non solo, cibo in primis), l’altro è quello della ricerca. Questo settore apre a sua volte ad una doppia possibilità: utilizzare energie sostenibili e ridurre i consumi già esistenti. Spicca tra i vari esempi, il tentativo di ottenere biocarburante dai mozziconi di sigarette. Sul fronte dell’energia cinetica prodotta in maniera sostenibile, l’esperimento della metro parigina non è il primo al mondo. Ecco altri esempi: – A Londra, nel 2009, è stata inaugurata la prima discoteca ecologica al mondo, dove il pavimento è dotato di piastre che si comprimono sotto il peso dei ballerini e generano energia elettrica; – A Rotterdam, nel 2016, è stato installato il primo ponte pedonale intelligente al mondo, dove i mattoni che lo compongono sono in grado di catturare l’energia cinetica dei pedoni e trasformarla in luce; – A Rio de Janeiro, nel 2014, è stata realizzata la prima pista ciclabile solare al mondo, dove i pannelli fotovoltaici integrati nel pavimento producono energia elettrica per illuminare la pista stessa e le strade circostanti. Questi esempi mostrano come sia possibile sfruttare le risorse rinnovabili e le tecnologie innovative per creare città più verdi e sostenibili, dove i cittadini diventano parte attiva del processo di produzione energetica. Sullo sfondo la possibilità di aumentare la consapevolezza dei privati sulla necessità della transizione energetica. E un messaggio di speranza: con investimenti coraggiosi, si può evitare che il cambiamento climatico diventi irreversibile. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Smog fuori controllo, ma l’Onu premia Biblioteca degli Alberi Milano per la sostenibilità
(Adnkronos) – A poche ore dalla notizia di Milano tra le città più inquinate del mondo, la città meneghina ha ottenuto un riconoscimento “green” dall’Onu. Si tratta del Dubai International Best Practices Award for Sustainable Development nella categoria Urban Regeneration and Public Spaces riconosciuto alla Biblioteca degli Alberi Milano durante il World Government Summit 2024, che si è tenuto dal 12 al 14 febbraio. BAM si è aggiudicata il premio tra 2.600 candidature provenienti da 144 Paesi, un enorme riconoscimento dell’impegno della Biblioteca degli Alberi Milano verso la sostenibilità e il miglioramento della qualità della vita urbana. Il parco è stato riconosciuto come una “eccellenza per la gestione sostenibile dello spazio pubblico”. La Biblioteca degli Alberi Milano è un parco pubblico urbano che si estende per 10 ettari nel quartiere di Porta Nuova. Il progetto, realizzato da Fondazione Riccardo Catella e Coima, è iniziato quasi 20 anni fa e oggi rappresenta una di quelle creazioni che chi va a Milano “deve” vedere. Con le sue 135.000 piante e gli oltre 500 alberi, BAM rientra nel solco dell’”architettura sostenibile” di cui il Bosco Verticale è principale rappresentante. Non a caso, le due strutture sorgono a pochi metri di distanza l’una dall’altra, tra Porta Garibaldi e Portanuova. La Biblioteca degli Alberi Milano si posiziona alle spalle della nota piazza “Gae Aulenti” e offre uno spazio piacevole per passare del tempo in relax, avendo l’impressione di essere immersi nel verde, pur trovandosi in una delle zone più trafficate del capoluogo lombardo. Il contributo di BAM alla costruzione di comunità inclusive a Milano è stato notevole, facendo leva su natura e cultura per creare impatto sociale, ambientale e culturale. Il progetto dimostra come i diversi tipi di sostenibilità vadano di pari passo e si incentivino l’un l’altro. Oltre ad essere riconosciuto come un modello di cura degli spazi verdi, il parco pubblico urbano BAM ospita un ricco programma culturale che finora ha coinvolto oltre 271 istituzioni culturali, realtà no profit e università. Con oltre 250 appuntamenti gratuiti ogni anno, BAM ha ospitato relatori e artisti nazionali e internazionali, coinvolgendo 240 mila persone nei primi 5 anni di attività. Sono diversi gli elementi che rendono la Biblioteca degli Alberi Milano un progetto sostenibile, tra cui: – La riduzione delle emissioni di CO2: il parco assorbe circa 14 tonnellate di anidride carbonica all’anno, contribuendo a mitigare i cambiamenti climatici; – utilizzo di materiali riciclabili in tutto il parco; – la gestione dell’acqua piovana: il parco è dotato di un sistema di raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana, che alimenta le fontane e l’irrigazione delle piante, riducendo il consumo di acqua potabile; – l’educazione ambientale: il parco organizza laboratori, visite guidate, mostre e altre attività per sensibilizzare i visitatori sui temi della sostenibilità, della biodiversità e della tutela dell’ambiente; – l’attenzione alla sostenibilità nella progettazione e gestione del verde pubblico: tutto gira attorno a questo con la scelta di materiali pionieristici; – le tecniche per la manutenzione nature-based per minimizzare la dispersione di risorse e rifiuti, alla tutela e arricchimento della biodiversità urbana. Il Dubai International Best Practices Award for Sustainable Development è un premio internazionale che riconosce le migliori pratiche che dimostrano contributi significativi allo sviluppo urbano sostenibile, come risultato di efficaci partenariati tra settori pubblici, privati e civili. Il premio è stato istituito nel 1995 durante la Conferenza Internazionale dell’Onu a Dubai, come risultato della Dichiarazione di Dubai che ha creato il concetto internazionale di condivisione delle migliori pratiche per lo sviluppo accelerato del settore degli insediamenti umani. Il premio è organizzato da Unhabitat, il programma delle Nazioni Unite per un’urbanizzazione socialmente e ambientalmente sostenibile e ha 5 categorie: migliori pratiche nella rigenerazione urbana e negli spazi pubblici; l’edificio più bello, innovativo e iconico; migliori pratiche nel sostenere i sistemi alimentari urbani; migliori pratiche nell’affrontare i cambiamenti climatici e ridurre l’inquinamento e migliori pratiche nella pianificazione e gestione delle infrastrutture urbane. Il premio assegna un totale di 1 milione di dollari Usa ai vincitori, che vengono annunciati al World Government Summit. Premi importanti, ma che non garantiscono una qualità dell’aria buona, né accettabile se nel weekend immediatamente successivo al riconoscimento, Milano è risultata la terza città più inquinata al mondo in base ai dati raccolti domenica dal sito svizzero IQAir. Dati che il sindaco Sala ha commentato aspramente: “È la solita analisi estemporanea gestita da un ente privato. Bisognerebbe capire chi fa queste analisi, perché le analisi di Arpa dimostrano tutto il contrario”, ha ribattuto il primo cittadino meneghino. Di diverso avviso il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, secondo il quale il report di IQAir “è un dato di fatto che coinvolge tutta la Pianura Padana. E noi lo stiamo dicendo da tantissimo tempo”. Il superamento dei livelli di PM10 per 4 giorni consecutivi dipende anche dalle condizioni metereologiche e dall’assenza di vento che, data la conformazione fisica della Pianura Padana, favorisce il “ristagno” delle polveri sottili nell’aria. Polemiche a parte, è evidente che vi sia un problema di smog che non può essere sottovalutato, tanto che a Milano e in altre 8 province (Monza, Como, Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, Lodi e Pavia) scattano nuove misure per ridurre l’inquinamento. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Un museo di scienze naturali aiuta la biodiversità
֎Al Nord rischiano di scomparire, al Sud non sono mai nati. La lodevole esperienza di un piccolo museo naturalistico sul Parco nazionale del Pollino. Eppure il sud Italia, è caratterizzato da un patrimonio di biodiversità tra i più significativi in ambito europeo, sia per numero totale di specie animali e vegetali, sia per l’alto numero di specie endemiche֎
Tra cosmo e microcosmo, una scoperta impossibile
֎Studiata una delle più rare micrometeoriti al mondo da un gruppo di ricerca tutto italiano. Contiene rarissime leghe metalliche di alluminio e rame e presenta al suo interno materiali con una simmetria proibita, i «quasicristalli»֎
Difesa biodiversità, dal Cnr un bando da 20 milioni
(Adnkronos) – Ridurre la perdita di biodiversità del 30% e recuperare per almeno il 15% gli equilibri ecosistemici entro il 2030 attraverso progetti e interventi di ripristino degli habitat naturali: è questo uno degli obiettivi del National Biodiversity Future Center (Nbfc), il primo centro di ricerca nazionale interdisciplinare per la biodiversità, coordinato dal Cnr. Nell’ambito delle attività del Nbfc, il Cnr ha lanciato un bando per complessivi 20 milioni di euro per la selezione di proposte progettuali finalizzate al monitoraggio, preservazione, valorizzazione e ripristino della biodiversità negli habitat di mare, terra, acque dolci, aree urbane. I progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale che partecipano al bando devono essere finalizzati allo sviluppo e all’utilizzo di green low cost Key Enabling Technologies (Kets), tecnologie Internet of things (IoT) e di Artificial Intelligence (AI). La data ultima di presentazione dei progetti è il 14 marzo 2024. Il bando del Cnr ha diversi obiettivi specifici che riguardano l’analisi degli ecosistemi, la difesa e il ripristino della biodiversità all’interno di essi. In particolare, sono previsti 7 obiettivi: Con riferimento alle tematiche dei progetti, il Cnr ha specificato che devono essere inerenti a: —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Diversity, Equity e Inclusion: il nuovo mantra delle aziende di successo
(Adnkronos) – La diversità, l’equità e l’inclusione sono diventati una priorità per professionisti e business leader. Nonostante l'incertezza derivante dai cambiamenti nelle condizioni macroeconomiche il 78% dei professionisti HR e leader aziendali ha reso la Diversity, Equity e Inclusion (DE&I) una priorità nell'ultimo anno, con l'88% delle organizzazioni che disponeva di un budget specifico per queste iniziative, con un aumento del 3% rispetto alla media globale. È quanto emerge da uno studio commissionato da Workday e condotto da Sapio Research su 2.600 manager provenienti da 19 Paesi, che ricoprono ruoli di responsabilità nelle iniziative di diversità all'interno delle loro organizzazioni. Secondo la ricerca, la maggior parte delle organizzazioni ha dimostrato un alto grado di impegno verso la DE&I, con il 66% degli intervistati che ha indicato che la spinta per implementare tali iniziative è venuta dall'interno dell'organizzazione. Inoltre, il 38% ha evidenziato il contributo equo dei dirigenti e dei dipendenti nel promuovere tali iniziative. Diversità, Equità e Inclusione sono tre concetti interconnessi che vengono sempre più riconosciuti come elementi essenziali per creare un ambiente equo, solidale e produttivo in vari contesti, tra cui luoghi di lavoro, istituzioni educative e comunità. In un contesto aziendale la locuzione DE&I si riferisce all'insieme di politiche organizzative volte a garantire gli stessi diritti e le medesime opportunità a tutti i membri del team, indipendentemente dalle differenze di genere, età, etnia, religione, ideologia, abilità e orientamento sessuale. Questi tre concetti sono intrinsecamente connessi tra loro e sono considerati come un singolo elemento essenziale per la creazione di un ambiente di lavoro equo, inclusivo e rispettoso della diversità. Un'azienda che valorizza la diversity, equity, and inclusion si posiziona in modo più competitivo sul mercato del lavoro, poiché è in grado di attrarre e trattenere talenti di diversa provenienza e background; inoltre, dimostra un impegno verso la responsabilità sociale e la costruzione di una cultura aziendale inclusiva e sostenibile nel lungo termine. Il Report 2023 di McKinsey su diversity, equity & inclusion offre una prospettiva illuminante sullo stato attuale delle iniziative DE&I nelle aziende di tutto il mondo. Nonostante gli investimenti significativi già effettuati nel 2020, che ammontavano a 7,5 miliardi di dollari, ci si aspetta che questa spesa aumenti in modo significativo fino a raggiungere i 15,4 miliardi di dollari entro il 2026. Tuttavia, nonostante gli sforzi e gli investimenti, il report evidenzia una realtà sconcertante: il divario di genere nell'economia globale, uno dei molteplici aspetti della diversità presenti nel mondo del lavoro, non si sta riducendo abbastanza velocemente. Secondo le stime attuali, ci vorranno ancora altri 151 anni per colmarlo completamente. Tuttavia, i valori della DE&I non sono solo una questione etica, ma anche una necessità imperativa per le aziende che desiderano rimanere competitive sul mercato globale. L'attenzione per questi temi è chiaramente riscontrabile anche tra i candidati e i dipendenti, come dimostrano i dati dell'Employer Brand Research di Randstad. A livello globale, il 27.05% degli intervistati considera prioritari i temi della DE&I nella scelta del datore di lavoro. Questo numero aumenta significativamente tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, nonché tra le persone con un elevato grado di istruzione, confermando che le nuove generazioni e coloro che sono più istruiti sono particolarmente sensibili a questi temi. In Italia, circa la metà dei dipendenti prende in considerazione la capacità di un'azienda di rispettare la diversità e garantire l'inclusione nella scelta del datore di lavoro. Questo indica che la DE&I non è solo un'aspirazione delle aziende, ma anche una considerazione pratica e concreta per i lavoratori italiani. Il 12% degli intervistati italiani, con una percentuale ancora più alta tra i giovani tra i 18 e i 24 anni, afferma che preferirebbe rimanere disoccupato piuttosto che lavorare per un'azienda che non rispecchia i propri valori. Questo sottolinea quanto sia importante per i lavoratori trovare un datore di lavoro che sia allineato con i loro principi e le loro convinzioni, incluso il rispetto per la diversità e l'inclusione. Insomma, è evidente che la DE&I non è più una scelta facoltativa per le aziende, ma una necessità imperativa. Investire in politiche e pratiche DE&I non solo è eticamente giusto, ma è anche essenziale per attrarre e trattenere talenti qualificati, mantenere un vantaggio competitivo sul mercato e garantire il successo e la sostenibilità a lungo termine dell'organizzazione, indipendentemente dal settore e dalle dimensioni. —sostenibilita/csrwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Professionisti introvabili nei settori con maggiore divario di genere
(Adnkronos) – In Italia, le aziende stanno incontrando crescenti difficoltà nel reperire figure professionali da assumere. Queste carenze sono particolarmente evidenti nei settori in cui il divario di genere persiste, con una maggioranza di uomini impiegati e una scarsa presenza di donne. Si registrano carenze significative nell'ambito ingegneristico, scientifico, informatico e finanziario, nonché nella mancanza di tecnici dei processi produttivi, laboratorio, analisti e operai specializzati nella meccanica e nelle costruzioni, così come nei ruoli di analisti e dirigenti. Secondo l'ultima analisi del sistema informativo Excelsior, condotta da Unioncamere e Anpal, le imprese cercano oltre 508 mila lavoratori all'inizio dell'anno e circa 1,4 milioni nel primo trimestre. Le previsioni indicano un aumento di 4 mila assunzioni rispetto a gennaio 2023 e oltre 69 mila (+5,3%) nel trimestre. A gennaio, secondo lo studio, la differenza tra domanda e offerta di lavoro ha raggiunto quasi la metà delle figure ricercate: su 508 mila assunzioni programmate, ne sono state effettuate solo 250 mila (49,2%). Il motivo principale, in un terzo dei casi, è la mancanza di candidati (31,1%). Antonella Giachetti, presidente nazionale di Aidda, l'Associazione imprenditrici e donne dirigenti di azienda, sottolinea l'urgenza di trovare un nuovo equilibrio nel mercato del lavoro per garantire risorse alle imprese e favorire il loro sviluppo. Giachetti sottolinea che nonostante l'attuale stasi economica e il rallentamento degli investimenti, l'occupazione è in crescita per entrambi i sessi. Tuttavia, la difficoltà nel reperire figure professionali potrebbe ostacolare lo sviluppo aziendale. "Non è un caso -continua Giachetti- che il mercato del lavoro, e in particolare il rapporto tra imprese e dipendenti, si stia lentamente modificando: i contratti che passano da tempo determinato a indeterminato sono in aumento, perché si comprende il valore del capitale umano e la complessità nel sostituirlo. In Italia oggi ci sono molti più giovani occupati rispetto a prima della pandemia, ed è maggiore anche il numero degli over 50". Secondo Giachetti, molti settori cruciali per l'economia, come l'ingegneria e l'edilizia, dove è difficile trovare professionisti, sono anche quelli in cui le donne sono meno rappresentate, sia per tradizione che per scarse opportunità di carriera. Perseguire la parità di genere è quindi essenziale non solo per una questione di giustizia, ma anche per il progresso e la stabilità economica. Le cause della difficoltà nel reperimento di figure professionali sono molteplici, incluso il declino demografico e il cambiamento delle caratteristiche della forza lavoro rispetto alle esigenze del mercato. Per la presidente di Aidda è fondamentale trovare soluzioni a questo "disallineamento" sempre più evidente. Una possibile risposta potrebbe arrivare da un nuovo patto tra imprese, università, Stato ed enti del terzo settore, collaborando per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, formazione e riprofessionalizzazione. —sostenibilita/csrwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Spreco alimentare, i numeri e le strategie per contrastarlo
(Adnkronos) – Il 5 febbraio è stata la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, un’occasione per riflettere su un problema di grande impatto ambientale e sociale. Per comprendere l’entità dello spreco alimentare a livello mondiale, secondo quanto riporta Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, nel 2019 sono stati prodotti 931 milioni di tonnellate di scarti alimentari, dei quali la grande maggioranza (61%) sono rifiuti domestici, il 26% proviene dal mondo della ristorazione e il 13% dalla vendita al dettaglio. Numeri impressionanti, per altro in parziale miglioramento almeno a quanto indica l’ultimo rapporto Waste Watcher International che nel 2023 evidenzia una decisa riduzione di rifiuti alimentari in diversi dei Paesi, tra cui Germania -43%, Spagna -40%, USA -35%. E in Italia? La riduzione c’è, anche se è meno evidente, 12 punti percentuali in meno. Da un’analisi di Waste Watcher International relativa al mese di agosto 2022 condotta su 9 Paesi del mondo (Italia, Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, USA, Brasile, Giappone, Sudafrica), gli USA risultano i più spreconi, con oltre 1,3 kg di alimenti buttati pro capite alla settimana. Al secondo posto i cinesi che mediamente buttano circa 1,1 kg di alimenti. Tra i Paesi più virtuosi il Giappone (362 grammi pro capite a settimana) e il Sudafrica (324,6 grammi). L’Italia tra i 9 Paesi analizzati è in buona posizione: in media ogni italiano spreca 595,3 grammi di cibo a settimana. A livello di categorie alimentari, la frutta è il cibo più sprecato, in Italia ne gettiamo 30,3 grammi a persona a settimana, seguito dall’insalata (25,4 grammi) e poi dal pane fresco (22,8 grammi). Innovazione tecnologica applicata all’economia circolare: è questa, in sintesi, la formula per cercare di porre un freno allo spreco alimentare. In particolare, è necessario introdurre tecnologie innovative in agricoltura e adottare processi avanzati per la trasformazione degli scarti in nuovi prodotti ad alto valore aggiunto. È quanto indicato dallo studio “Verso la circolarità del sistema agroalimentare: modelli di business e buone pratiche”, realizzato nell’ambito di Icesp, piattaforma italiana per l’economia circolare promossa da Enea con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dell’economia circolare attraverso specifiche azioni. Tra le soluzioni suggerite dallo studio citato per cercare di ridurre gli sprechi alimentari, c’è quella di realizzare i cosiddetti “atlanti del cibo”, che permetterebbero di avere una conoscenza più approfondita sulle caratteristiche, i punti di forza e di criticità su diversi temi, tra cui il sistema alimentare metropolitano, il sistema di coltivazione idroponico che utilizza gli scarti alimentari, oltre che l’impiego degli insetti come fonte proteica naturale per i mangimi degli animali da allevamento. Lo studio di Enea, inoltre, suggerisce alcune soluzioni ad hoc per ridurre le emissioni nelle aziende agricole, specie quelle vitivinicole, per la rinaturalizzazione di aree agricole e umide, oltre che per iniziative per il recupero e la rivendita di cibi di “seconda scelta”. —sostenibilita/tendenzewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
La rivoluzione delle batterie verdi: materiali avanzati per un futuro sostenibile
(Adnkronos) – Materiali avanzati sempre più sostenibili, performanti, sicuri e a basso costo stanno dando vita a una nuova generazione di batterie verdi. Questo è l'obiettivo di ORANGEES, un ambizioso progetto da 4 milioni di euro che vede una partnership tutta italiana tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) capofila, ENEA, il Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali, l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), Ricerca sul Sistema Energetico (RSE) e Standex International Corp. Alessandra Di Blasi, ricercatrice presso l'Istituto di Tecnologie Avanzate per l'Energia 'Nicola Giordano' del CNR e responsabile scientifico di ORANGEES, afferma: "Il progetto mira a contribuire al raggiungimento degli obiettivi energetici ambiziosi stabiliti a livello comunitario e recepiti dall'Italia attraverso il PNIEC, attualmente aggiornato alla luce delle recenti crisi geopolitiche". Il progetto si propone di favorire l'innovazione, la sostenibilità e i futuri nuovi business verso i settori emergenti del mercato lungo tutta la catena del valore che interessa il dispositivo di accumulo elettrochimico. Le attività di ricerca si concentrano sullo studio di nuovi materiali, sia ibridi (organici/inorganici) che prettamente organici, ottenuti da scarti dell'industria agroalimentare come caseina, siero del latte, cheratina, fico d'India e cellulosa. L'obiettivo principale è la validazione di questi nuovi materiali per migliorare le prestazioni elettrochimiche delle batterie e aumentarne la sostenibilità ambientale, riducendo la componente inorganica, come litio e cobalto, metalli inclusi nella lista Ue delle 34 materie prime critiche. ENEA si occuperà della selezione di scarti e sottoprodotti naturali, verificandone l'utilizzo come materie prime per produrre membrane ed elettrodi green. Mariasole Di Carli, ricercatrice del Laboratorio ENEA Accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l'uso dell'idrogeno e responsabile del progetto per l'Agenzia, spiega che questo approccio intende ridurre le criticità legate allo smaltimento delle batterie, creando nuove sinergie industriali in accordo ai principi dell'economia circolare. I materiali più promettenti saranno testati attraverso simulazioni al computer, analisi del ciclo di vita e test sperimentali in collaborazione con Standex International Corp per valutare le prestazioni elettrochimiche finali. Il progetto ORANGEES è strutturato su cinque linee di ricerca, di cui tre sono dedicate alle attività sperimentali sui materiali utilizzati per i componenti delle batterie e dei supercondensatori, con l'obiettivo di migliorare le prestazioni, ridurre i costi e l'impatto ambientale e promuovere l'economia circolare: • la prima linea di ricerca mira alla realizzazione di componenti ibridi, con l'obiettivo di ridurre i costi mantenendo alte prestazioni e migliorando sia l'efficienza di accumulo, soprattutto in confronto al litio, sia la sicurezza attraverso lo sviluppo di elettroliti semi-solidi; • la seconda linea di ricerca si concentra sullo studio di diverse tipologie di composti organici che potrebbero sostituire i materiali attualmente impiegati nei sistemi di accumulo. Qui saranno validate nuove soluzioni tecnologiche per mantenere le performance delle batterie tradizionali, allo stesso tempo riducendo l'impatto ambientale lungo l'intera catena produttiva, dalla fase di produzione a quella di smaltimento; • la terza linea di ricerca è incentrata sui materiali organici derivanti dal riutilizzo di scarti industriali. L'obiettivo è individuare soluzioni green facilmente reperibili o provenienti da processi di economia circolare di altre filiere, contribuendo così a una gestione sostenibile delle risorse. Attualmente, le batterie agli ioni di litio dominano il mercato dei dispositivi elettronici portatili e dei sistemi di autotrasporto elettrico/ibrido-elettrico. Tuttavia, nell'ultimo decennio, la domanda di litio è aumentata rapidamente, registrando una crescita annua compresa tra il 7% e il 10%. Questa tendenza evidenzia la necessità di sviluppare alternative alle batterie al litio, basate su materie prime abbondanti ed economiche, al fine di garantire una strategia di sfruttamento sostenibile dell'energia da fonti rinnovabili. Inoltre, la sicurezza rimane un requisito fondamentale nel settore delle batterie. I problemi legati all'uso di elettroliti liquidi contenenti solventi infiammabili, volatili e tossici, rappresentano una sfida significativa che deve essere affrontata per garantire un'adozione sicura e diffusa dei sistemi di stoccaggio dell'energia. In questo contesto, lo sviluppo di nuove chimiche e tecnologie per i sistemi di accumulo dell'energia diventa cruciale per soddisfare la crescente domanda di energia elettrica in modo sostenibile, sicuro ed efficiente. La ricerca e lo sviluppo di batterie basate su materiali alternativi, come quelli promossi dal progetto ORANGEES, rappresentano un passo avanti nella direzione di una transizione verso soluzioni più eco-compatibili e innovative nel settore dell'energia. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Sos per la cava Pontrelli di Altamura
È in grave stato di abbandono
֎Appello da Giovanna Amedei, presidente dell’Ordine dei geologi della Puglia. Per valorizzare i geositi della regione Puglia servono leggi e finanziamenti֎
Risale lo spreco di cibo, ogni italiano butta 81 grammi al giorno
(Adnkronos) – Cresce lo spreco alimentare in Italia: si passa da 75 a quasi 81 grammi di cibo buttato ogni giorno pro capite nelle nostre case (80,9 grammi) e da 524,1 grammi settimanali nel 2023 a 566,3 grammi settimanali nel 2024. Si tratta dell’8,05% in più rispetto a un anno fa. Nel 2024 in Italia lo spreco alimentare costa circa 290 euro annui a famiglia, circa 126 euro pro capite ogni anno. Questa la fotografia del Rapporto 'Il caso Italia' dell’Osservatorio Waste Watcher International, nel conto alla rovescia verso l’11esima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, in calendario lunedì 5 febbraio. Nel dettaglio, si spreca di più nelle città e nei grandi Comuni (+ 8%) e meno nei piccoli centri, sprecano di più le famiglie senza figli (+ 3%) e molto di più i consumatori a basso potere d’acquisto (+ 17%). Si spreca di più a Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e meno a Nord (- 6% rispetto alla media). Con un impatto economico del food waste nazionale che vale oltre 13 miliardi di euro, per l’esattezza 13.155.161.999: un dato che include lo spreco a livello domestico, che incide per oltre 7miliardi e 445 milioni, quello nella distribuzione che vale circa la metà (quasi 4 miliardi di euro, per la precisione 3 miliardi e 996 milioni), oltre allo spreco in campo e nell’industria, molto più contenuto. Un tema sociale. "Chi si dichiara 'povero' non solo mangia peggio, ma spreca di più (+ 17%)", avverte l'Osservatorio Waste Watcher International che per la prima volta ha analizzato i dati sulla sicurezza alimentare, usando l’indice Fies (Food Insecurity Experience Scale), che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce 'popolare' ('mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese') e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione, dati Istat) presenta un aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana. Insicurezza alimentare che aumenta dell'11% nelle famiglie con almeno un figlio minorenne e diminuisce dell'8% nelle famiglie senza figli minorenni. "Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura – rileva il direttore scientifico Waste Watcher, Andrea Segrè – perché ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale. Se in un primo momento l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare". Il Rapporto Waste Watcher 'Il caso Italia' è realizzato per la campagna pubblica di sensibilizzazione Spreco Zero su monitoraggio Ipsos/Università di Bologna Distal, con la direzione del professore di economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile Andrea Segrè, ordinario all’Università di Bologna, e il coordinamento del docente Unibo Luca Falasconi. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Eolico offshore, Princess Elisabeth Zone: la prima isola a largo del Mare del Nord
(Adnkronos) – Il Mare del Nord si è candidato ufficialmente a diventare la centrale dell’elettricità rinnovabile d’Europa. Il Belgio, nello specifico, ha puntato sull’eolico offshore con un progetto molto innovativo. Consiste nella realizzazione di una prima isola energetica artificiale al mondo. Si chiamerà Princess Elisabeth Island e sorgerà a 45 chilometri dalla costa belga. Quest’isola avrà un diametro di 280 metri, quindi a forma circolare, occupando una superficie di sei ettari. La grandezza, in sintesi, è l’equivalente di 12 capi da calcio e potrà ospitare un’infrastruttura che faccia da raccordo tra 3,5 gigawatt di potenza fornita da turbine eoliche e la terraferma. I parchi eolici presenti a largo delle coste del Regno Unito e della Danimarca potrebbero diventare fonte di interscambio con Princess Elisabeth Island, divenendo a tutti gli effetti un hub energetico. L’energia rinnovabile richiede una sempre maggiore attenzione. Ridurre gli usi di combustibili fossili, infatti, non è solo nell’agenda dell’Unione Europea e degli Stati membri, ma dovrebbe essere un monito quotidiano per ciascuno abitante del Pianeta Terra. Ecco per cui, una rivoluzione energetica di questo tipo potrebbe essere in grado di cambiare o almeno rallentare i disastri che il cambiamento climatico sta causando in molte zone del mondo. A gestire la rete di trasmissione belga ci sarà la società Elia che ha ottenuto il permesso per la costruzione dell’isola nell’ottobre 2023. Perché queste isole offshore dovrebbero essere una soluzione sostenibile? La produzione di elettricità, tramite sistemi autosufficienti, consente di sfruttare in modo “sano” l’energia generata da fonte rinnovabili. I venti del Mare del Nord, per questo scopo, rappresentano una grande possibilità di produzione e distribuzione di energia eolica. Dal 2024 alla metà del 2026 è prevista la costruzione dell’isola. Successivamente si passerà alla costruzione e messa in servizio delle infrastrutture elettriche. Il progetto prevede una programmazione che terminerà nel 2030. Il collegamento dei parchi eolici alla rete Elia è legato alla messa in esercizio dei progetti di rafforzamento della rete onshore inglese e danese. Questo progetto ha l’ambizione di presentarsi come un precursore delle future realizzazioni di infrastrutture in mare. Nell’ambito della richiesta di autorizzazione ambientale per l’isola energetica Princess Elisabeth, e in particolare nella relazione di impatto ambientale che l’accompagna, Elia ha prestato molta attenzione a limitare gli effetti delle proprie attività sull’ecosistema marino, in termini di alternative studiate per costituzione dell’isola energetica e modalità di attuazione. La progettazione dell'isola (forma, orientamento, ecc.) contribuisce notevolmente a limitare gli effetti negativi. “Per andare ancora oltre, Elia ha scelto di aprire la strada a una progettazione veramente inclusiva della natura per l’isola energetica – si legge nella scheda progetto -. Non solo ridurrà al minimo tutti gli effetti dannosi sull'ambiente marino, Elia ha anche voluto cogliere questa opportunità per aggiungere un vero valore ecologico e ambientale al suo progetto. Parallelamente alla preparazione della domanda di autorizzazione, si è svolto un processo di co-creazione unico e innovativo che ha coinvolto un gestore dell'infrastruttura e diversi esperti provenienti da varie istituzioni, università, studi di progettazione e Ong”. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)