1 – Cominciamo col dire che siamo di fronte, appunto, ad «episodi». Pessimi e vergognosi, ma sempre episodi. E che fauna e flora sono oggi molto più tutelati di quanto non lo fossero solo un paio di decenni fa. E ciò nonostante siano enormemente aumentati la capacità di spostamento delle persone (e dunque anche dei criminali) e l’accesso a mezzi e tecnologie dannose. Il fatto che esista oggi una maggiore e più diffusa sensibilità nei confronti di fenomeni come il bracconaggio fa sì che gli episodi siano immediatamente resi noti e denunciati. Ma è sbagliato dire che sono aumentati, perché non corrisponde al vero. Occorre certamente fare di più sul piano della prevenzione ma ciò che ci aiuterà a migliorare le cose non sarà certamente l’atteggiamento poliziesco. Esso deve sempre essere accompagnato da un lavoro di persuasione e convincimento, basato sulla dimostrazione dell’interesse generale a proteggere la natura.
2 – Un parco deve essere gestito con criteri il più possibile scientifici in ogni sua parte e ciò dovrebbe valere per ogni parte del nostro territorio, non solo per i parchi. Credo che la maggior parte dei parchi lavori secondo criteri di alta professionalità e con indirizzi scientifici precisi. E, ad esclusione di qualche area protetta che insiste su zone di forte tradizione turistica (l’Arcipelago Toscano, il Delta del Po, il Circeo, le Cinque Terre), parlare per i parchi di «turismo di massa» è senz’altro fuori luogo. Lo sforzo che stanno facendo i parchi è quello di offrire un’alternativa all’abbandono dei territori attraverso forme dolci e pienamente sostenibili di turismo. Con strumenti anche innovativi e validati da autorità continentali, come ad esempio la Carta europea del Turismo Sostenibile, che si basa su un percorso che associa gli operatori privati alla definizione delle strategie del parco.
3 – C’è certamente necessità di mettere meglio a punto programmi organici di gestione. Il Parco ha sollevato per primo il problema di una revisione delle iniziative fin qui seguite (e scientificamente fondate, a dimostrazione che anche sulla «scientificità» occorre spesso interrogarsi). E poi occorre continuare nell’azione, messa in atto negli ultimi tempi, per un coinvolgimento sempre più stretto delle categorie professionali e, più in generale, dei cittadini residenti nel Parco (e nei Parchi e territori limitrofi, giacché circoscrivere il problema al Parco d’Abruzzo sarebbe un errore) allo scopo di conquistarli al necessario protagonismo nella tutela e nella gestione. Solo un controllo sociale diffuso può garantire maggiore sicurezza anche per gli orsi, dal momento che nessun intervento poliziesco, come ho già detto, potrà mai assicurare il successo.