Sostenibilità in Europa, un trittico di misure per un futuro più verde

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(Adnkronos) – L’Unione Europea si sta preparando a fare un grande balzo verso un futuro più sostenibile con una serie di nuove misure volte a ridurre l’impatto ambientale, promuovere la qualità dell’aria e garantire una maggiore responsabilità aziendale.

G7, Pichetto: “Ruolo determinante per accelerare la decarbonizzazione”

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(Adnkronos) – “E’ un’agenda fittissima perché copre tutti i campi, quello che stiamo vivendo è un momento di forte cambiamento climatico, di rischio di perdita biodiversità, di inquinamento e dobbiamo svolgere azioni prima di tutto di mitigazione che significa di decarbonizzare e ridurre a livello mondiale le emissione di CO2, e il ruolo del G7 che rappresenta i 7 Paesi industrializzati, può essere determinate per le scelte a livello di Cop per accelerare percorsi di decarbonizzazione nel tentativo di evitare che le temperature della Terra superino un grado e mezzo”. Lo ha affermato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a proposito del G7 Ambiente, Clima ed Energia che si svolge in questi giorni a Venaria (Torino), del ospite della trasmissione radiofonica ‘Non stop News’ su Rtl 102,5.  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Nucleare, Gallo: “Tecnologia da esplorare ma necessita di tempo”

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(Adnkronos) – “Bisogna esplorare tutte le tecnologie, non si deve a priori metterne da parte qualcuna. E’ chiaro che determinate tecnologie, ed è il caso del nucleare che noi non abbiamo, avranno certamente bisogno di più tempo per arrivare in Italia”. Ad affermarlo il ceo di Italgas, Paolo Gallo, a margine del ‘Transitioning to net zero: energy technology roadmaps’ in corso a Torino. Per Gallo, “le tecnologie vanno esplorate tutte perché è l’unico modo in cui si raggiungeranno gli obiettivi. Se uno vede solo una strada non raggiungerà gli obiettivi”.  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Nucleare, Pichetto: “Ipotesi al 2030 in Italia con piccoli reattori”

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(Adnkronos) – “L’obiettivo al 2050 è la decarbonizzazione totale, la scala è lunga bisogna fare uno scalino per volta. Il primo è quello del carbone, poi il petrolio e poi produrre energia pulita con le rinnovabili, che sono il biotermico, l’idroelettrico, il fotovoltaico e l’eolico e, per dare continuità, il percorso è anche il nuovo nucleare”. Ad affermarlo il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ospite della trasmissione radiofonica ‘Non stop News’ su Rtl 102,5. Quanto alla produzione di energia nucleare in Italia per Pichetto non bisogna ripartire da zero. “Da zero proprio no, – ha risposto – perché la cosa rilevante è che il Paese di Enrico Fermi ha mantenuto livelli alti di conoscenze, nelle nostre università, nei nostri centri di ricerca. Abbiamo continuato con imprese private importanti a lavorare sia sul fronte della fissione, quindi sul nucleare di nuova generazione con piccoli reattori, sia che su quello della fusione”.  “Non arriveranno più le grandi centrali, le tecnologia sta andando avanti così velocemente che saranno piccoli moduli e per fare una grande quantità sarà una somma di moduli” ha spiegato “riguardo all’ipotesi che facciamo al 2030 e dopo, non voglio certo fare l’indovino” ha precisato Pichetto Fratin. “E’ un’agenda fittissima perché copre tutti i campi, quello che stiamo vivendo è un momento di forte cambiamento climatico, di rischio di perdita biodiversità, di inquinamento e dobbiamo svolgere azioni prima di tutto di mitigazione che significa di decarbonizzare e ridurre a livello mondiale le emissione di CO2, e il ruolo del G7 che rappresenta i 7 Paesi industrializzati, può essere determinate per le scelte a livello di Cop per accelerare percorsi di decarbonizzazione nel tentativo di evitare che le temperature della Terra superino un grado e mezzo”, ha affermato ancora il ministro a proposito del G7 Ambiente, Clima ed Energia che si svolge in questi giorni a Venaria (Torino).   —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Lionello (Unisalento): “Continente europeo più surriscaldato? Mi sorprenderebbe il contrario”

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(Adnkronos) – In Europa le temperature medie sono aumentate più che in ogni altro continente ma, pur restando allarmanti, i risultati del rapporto Copernicus sono anche la conseguenza di “tendenze intrinseche al cambiamento climatico”.  Lo spiega all’Adnkronos Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e presidente del network MedCLIVAR (Mediterranean CLImate Variability).  “La considerazione più importante ed essenziale da fare – esordisce Lionello – è che i gas serra si distribuiscono in modo approssimativamente uniforme su scala globale. In pratica, le emissioni dell’Italia non interessano solo il territorio italiano, lo stesso dicasi per quelle europee e così via. Un andamento completamente diverso rispetto, per esempio, alle emissioni di aerosol che tendono ad avere una persistenza breve in atmosfera e quindi un effetto più regionale e più limitato alle zone di emissione”.  Per questo occorre interessarsi non solo alle decisioni di casa propria: “Questo andamento dimostra una volta per tutte come il problema del cambiamento climatico sia una questione globale”. C’è poi un altro aspetto da considerare: “Durante una transizione, le alte latitudini tendono a scaldarsi di più delle zone tropicali. Allo stesso tempo, a livello superficiale, le masse continentali si scaldano di più delle masse oceaniche. Anche quando ci sono stati eventi caldi interglaciali in passato e le glaciazioni, il cambiamento climatico è stato molto più ampio in queste zone. Si tratta di tendenze intrinseche al sistema climatico, quindi mi sorprenderei nel vedere il contrario in questa fase di riscaldamento che ha sicuramente una importante componente antropogenica”, spiega il professore che ha contribuito alla redazione del sesto rapporto Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change), pubblicato lo scorso anno.
L’Unione europea si sta muovendo nella direzione e alla velocità giusta o le resistenze di alcune parti politiche rischiano di compromettere il cammino green dell’Ue?
“Quello che si può osservare è una progressiva attenzione a livello normativo e tecnologico da parte dell’Unione Europea nei confronti del cambiamento climatico che ha portato effettivamente a una riduzione delle emissioni. Le emissioni negli ultimi venti, trenta anni nel complesso stanno diminuendo anche negli Stati Uniti”.
Si tratta di un miglioramento sufficiente in prospettiva?
“No. Infatti, nonostante l’impegno di Ue e Usa, le emissioni su scala globale stanno aumentando”. Ancora una volta, quindi, il passaggio cruciale sta nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una sfida comune: “La consapevolezza che il clima sia una questione globale è fondamentale. Il contrasto al cambiamento climatico – prosegue il professor Lionello – non può che passare attraverso strategie condivise a livello internazionale almeno dai principali emettitori che in questo momento sono l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e l’India. Al tempo stesso però è importante essere consapevoli delle differenze tra i problemi ambientali e l’inquinamento”, sottolinea. Dunque, se è vero che per contrastare il cambiamento climatico serve una sinergia internazionale, bisogna osservare che i singoli interventi dei Paesi sono fondamentali per i cittadini che vivono quei territori: “Da un punto di vista decisionale, è difficile che chi dà priorità al contrasto del cambiamento climatico non dia anche priorità alla lotta all’inquinamento e alla tutela degli ecosistemi. È vero che queste misure devono essere condivise a livello internazionale per contrastare l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. È anche vero, però, che le strategie e le decisioni anti inquinamento prese dalle istituzioni hanno effetti molto positivi sull’ambiente e sui servizi ecosistemici che riguardano i cittadini europei”.
Siccità, rischio desertificazione ed eventi atmosferici estremi: ci sono alcune zone dell’Italia a rischio nel prossimo futuro?
“Eviterei catastrofismi privi di fondamento scientifico. Sicuramente i dati testimoniano aumenti delle temperature medie importanti per gli ecosistemi e per l’ambiente in cui viviamo, ma non al punto da rendere inabitabili alcune zone d’Italia almeno nel medio termine. C’è una alterazione del ciclo idrologico, ma non tale da compromettere la sostenibilità delle risorse idriche, soprattutto se gestite in modo opportuno”.
Non ci sono e non ci saranno mai più le mezze stagioni?
“Tendiamo ad attribuire qualsiasi evento meteorologico al cambiamento climatico senza un’opportuna interfaccia scientifica. Spesso ci basiamo sui nostri ricordi, ma i nostri ricordi sono dei fallaci indicatori dei cambiamenti perché tendono a trascurare la variabilità e ricostruire dei paradigmi del nostro passato. Il fatto che questa interruzione della ciclicità delle stagioni venga concepita descritta ormai come ‘evidente’ non ha alcun riscontro nelle evidenze scientifiche”.  Delle prove scientifiche dell’alterazione non mancano, ma vanno trattate nella loro specificità: “Il riscaldamento è evidente; il cambiamento delle precipitazioni in alcuni territori è evidente; gli aumenti delle statistiche delle ondate di calore sono evidenti”, spiega il prof. Lionello, che aggiunge: “Anche l’alterazione del ciclo della stagionalità è evidente: l’inverno arriva un po’ dopo e finisce un po’ prima, l’estate comincia un po’ prima e finisce un po’ dopo. Ma non possiamo farne una deduzione scientifica perché abbiamo ancora pochissimi cicli stagionali su cui basare le nostre osservazioni”.  Il professore ci tiene però a sottolineare: “Molti effetti del cambiamento climatico sono evidenti e hanno natura antropogenica. Nel caso delle stagioni, la statistica è ancora insufficiente per dire che c’è un cambiamento definitivo del ciclo”. A margine del rapporto sullo stato europeo del clima 2023 del Copernicus Climate Change Service e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’appello del professore a valutare con rigore i fenomeni climatici è ancora più utile se si parla del Mediterraneo. La causa è scientifica: “Il Mediterraneo è una zona di transizione tra il clima subtropicale a sud, in gran parte del Nord Africa, e un clima oceanico umido o continentale-temperato a Nord”.
In cosa si traduce questa particolare condizione?
“Nel fatto che ogni piccolo spostamento di questa linea di transizione genera una variabilità. In particolare la variabilità della precipitazione è sempre stata una caratteristica della regione mediterranea, quindi della parte dell’Italia centro meridionale. Ci sono sempre stati lunghi periodi di scarse precipitazioni e lunghi periodi di intense precipitazioni. Sicuramente stiamo alterando il clima rendendolo più caldo e meno piovoso su gran parte dell’Italia, le evidenze del riscaldamento ci sono tutte e da molti anni.
Le evidenze delle alterazioni dei regimi di precipitazione – conclude il professor Lionello – sono più sottili anche se cominciano a emergere e vanno nella direzione di una diminuzione delle precipitazioni su gran parte dell’Italia e di un aumento degli eventi estremi sul Nord Italia vanno in questa direzione”. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Sicilia chiede stato d’emergenza nazionale per siccità, un allarme per 170 milioni di persone nel mondo

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(Adnkronos) – Tramite il riconoscimento di emergenza nazionale, se il provvedimento sarà approvato dal Consiglio dei ministri, dovrebbe essere garantita acqua potabile ai cittadini e l’approvvigionamento idrico ai settori agricolo e zootecnico oltre che alle imprese impegnate nei cantieri dell’isola.

Clima, i boschi di faggio si adattano

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Tempo di lettura: 3 minuti Sorprendente resilienza delle foreste ֎Un recente studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con l’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» e la libera Università di Bolzano ha fornito importanti […]

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Eventi estremi, la ‘mappa’ delle aree più a rischio in Italia

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(Adnkronos) – Trentino-Alto Adige in testa, seguita da Lombardia, Sicilia, Piemonte, Veneto e Abruzzo. Uno studio Enea pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi, che dal 2003 al 2020 hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni.

Il Mediterraneo è a rischio soffocamento: ecco cause e conseguenze

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(Adnkronos) – L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio per l’aumento delle emissioni di CO2 e metano. Questo è quanto è emerso dal Report dell’Osservatorio Climatico Enea “Madonie – Piano Battaglia” che dal 2005 effettua costanti misure della concentrazione dei gas nel mare.

Transizione energetica e clima, le strategie per il Sud del mondo

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(Adnkronos) – Il cambiamento climatico è una delle sfide più urgenti e complesse che il mondo affronta oggi.

Clima, i coralli tropicali si difendono così

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Tempo di lettura: 3 minuti ֎Studi condotti dal Consiglio nazionale delle ricerche su esemplari di coralli tropicali hanno permesso di comprendere i meccanismi di calcificazione di questi preziosi organismi, e acquisire informazioni cruciali sulla risposta […]

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Grande vulnerabilità delle calotte glaciali della Patagonia

Tempo di lettura: 2 minuti ֎L’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) ha partecipato ad uno studio, rivelando nuovi indizi sulla grande vulnerabilità delle calotte glaciali della Patagonia. Lo studio pubblicato su «Communications […]

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Cambiamento climatico, sempre meno neve sulle piste da sci

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(Adnkronos) – Se è vero che nelle ultime settimane le nostre Alpi sono state sommerse di neve con accumuli in alcune località anche di oltre un metro, in realtà lo scenario degli inverni recenti, complice il cambiamento climatico, è all’insegna delle scarse precipitazioni nevose, per non dire quasi assenti in alcune aree del Paese. A tale proposito, secondo i dati del report Nevediversa 2024 di Legambiente, sono 177 gli impianti chiusi temporaneamente, 39 in più del report precedente, dei quali 92 sulle Alpi e 85 sugli Appennini. Per non parlare delle strutture del tutto dismesse il cui totale è salito a 260. Per contrastare il fatto che sulle piste si trova sempre meno neve, le stazioni sciistiche ricorrono spesso all’innevamento artificiale, che però alla lunga è una pratica poco sostenibile in quanto implica ingenti consumi idrici, di energia e di suolo per la realizzazione dei bacini di innevamento. Oltretutto, per tale tipologia di innevamento serve comunque una base di neve fresca e temperature prossime a zero gradi. Peccato che invece in montagna faccia sempre più caldo. Ad esempio, Arpa Piemonte nell’ultimo inverno ha registrato le temperature più elevate degli ultimi decenni, con una media superiore di circa 3°C rispetto al periodo 1990-2020.  Recentemente un team di ricercatori dell’Università di Bayreuth in Germania ha analizzato l’impatto del cambiamento climatico sull’innevamento di 7 diverse aree sciistiche del mondo: Alpi europee, Ande, Monti Appalachi lungo la costa atlantica dell’America Settentrionale, Alpi australiane, Alpi giapponesi, Monti della Nuova Zelanda, Montagne Rocciose tra Canada e USA. Dallo studio emerge un dato su tutti: entro mezzo secolo un impianto sciistico su 8 resterà del tutto senza neve. Un indicatore preoccupante visto che tra le aree oggetto dello studio il 69% si trova sulle Alpi europee. A partire dai dati sulle emissioni di carbonio previste sulla base di tre diversi scenari (alte, medie o basse), lo studio ha stimato i giorni di precipitazioni nevose annuali per ogni zona territoriale per diversi periodi di tempo: fino all’anno 2040, dal 2041 al 2070, dal 2071 al 2100. Le stime elaborate sono tutt’altro che rassicuranti: ad esempio, considerando lo scenario ad elevate emissioni, entro il 2071-2100 il 13% delle aree sciistiche sarà completamente privo di neve
naturale, il 20% vedrà dimezzati i giorni di precipitazioni nevose. Entrando nel dettaglio delle singole aree oggetto di studio, le Alpi australiane rischiano di vedere ridotte le nevicate fino al 78%, le Alpi europee fino al 42%. La perdita più contenuta interesserebbe invece le Montagne Rocciose con “solo” il 23% in meno di giorni di innevamento. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Acqua, disponibilità ridotta del 18% nel 2023

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(Adnkronos) – La disponibilità di acqua nell’anno 2023 conferma il trend negativo registrato da diversi anni in Italia anche se può considerarsi un anno in ripresa rispetto al 2022. Nel nostro Paese la disponibilità di risorsa idrica per l’anno 2023 è stimata in 112,4 miliardi di metri cubi, a fronte di un valore di precipitazione totale di 279,1 miliardi di metri cubi.

È quanto emerge dalle stime del Bigbang (il modello idrologico nazionale realizzato dall’Ispra) che fornisce, a partire da dati idrologici dal 1951 in poi, il quadro quantitativo sulla risorsa idrica, inclusi i deficit, gli eccessi di precipitazione e i trend delle grandezze idrologiche. Nel corso del 2023 – rileva Ispra – si è comunque manifestata una certa ripresa rispetto al 2022, anno in cui la disponibilità di risorsa idrica ha raggiunto 67 miliardi di metri cubi, il minimo storico dal 1951 e corrispondente a circa il 50% della disponibilità annua media (137,8 miliardi di metri cubi), calcolata sul periodo 1951–2023. Il 2023 ha fatto registrare una riduzione a livello nazionale di circa il 18% della disponibilità rispetto alla media annua dello stesso lungo periodo 1951–2023, risultato dell’effetto combinato di un deficit di precipitazioni, specialmente nei mesi di febbraio, marzo, settembre e dicembre, e di un incremento dei volumi idrici di evaporazione diretta dagli specchi d’acqua e dal terreno.
A rendere meno severa nel 2023 la diminuzione della disponibilità di risorsa idrica, ha contribuito l’elevato volume di precipitazioni che si è riversato nel mese di maggio, stimato in circa 49 miliardi di metri cubi, che è stato, a livello nazionale, più del doppio di quello che mediamente caratterizza lo stesso mese, stimato in circa 23 miliardi di metri cubi sul lungo periodo 1951–2023. In questo mese in Emilia-Romagna, in Sicilia e in minor parte in Calabria, si sono registrati localmente valori cumulati di pioggia addirittura superiori di oltre sei volte le medie del periodo. In particolare, queste piogge intense e concentrate nella prima metà del mese, sono state la causa dei tragici eventi alluvionali in Emilia-Romagna.

Su scala temporale annuale gli studi effettuati dall’Ispra da tempo evidenziano «un aumento della frequenza di accadimento di condizioni di siccità estrema e della percentuale del territorio italiano soggetto a tali condizioni». In linea generale, «la siccità ha continuato a caratterizzare tutto il 2023 con condizioni di siccità estrema e severa nei primi mesi dell’anno sui territori del nord e centro Italia, già colpiti dalla grave siccità del 2022, tuttavia tali condizioni si sono andate attenuando nel corso dell’anno. Negli ultimi tre mesi dell’anno, che generalmente risultano i più piovosi, si è registrato – in particolare in Sicilia e in parte della Calabria ionica – un consistente deficit di precipitazione. Tale deficit ha determinato una situazione di siccità estrema con effetti che si protraggono ancora nei primi mesi del 2024, ulteriormente aggravati dalle scarse precipitazioni occorse in tali mesi».  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Dal caldo estremo alle inondazioni, Europa “impreparata”

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(Adnkronos) – In Europa i rischi climatici minacciano la sicurezza energetica e alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche, la stabilità economica e la salute dei cittadini. In base alla valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), pubblicata oggi, molti di tali rischi hanno già raggiunto livelli critici, che potrebbero diventare catastrofici in assenza di interventi urgenti e decisivi.  Secondo i risultati della prima European Climate Risk Assessment (Eucra) (valutazione europea dei rischi climatici), “in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione dei suddetti rischi. In molti casi, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici”.  Alcune regioni d’Europa, poi, sono aree in cui si concentrano rischi climatici multipli. In particolare, “l’Europa meridionale è particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate”.  “Dalla nostra ultima analisi – dice Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea – si evince che l’Europa si trova di fronte a rischi climatici urgenti che si acuiscono più rapidamente di quanto le nostre società riescano a prepararsi. Per garantirne la resilienza, i responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente con interventi volti a limitare i rischi climatici, sia mediante una rapida riduzione delle emissioni sia con l’attuazione di politiche e di interventi di adattamento forti”.  La valutazione dell’Aea individua in Europa 36 principali rischi climatici nell’ambito di cinque grandi gruppi: ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia e finanza. “Sono già necessari interventi più incisivi per oltre la metà dei principali rischi climatici individuati dalla relazione – avverte l’Agenzia – di cui otto da attuare con particolare urgenza, principalmente per preservare gli ecosistemi, limitare l’esposizione umana al calore, proteggere la popolazione e le infrastrutture da inondazioni e incendi boschivi e garantire la sostenibilità dei meccanismi di solidarietà europei, come il Fondo di solidarietà dell’Ue”.  Quasi tutti i rischi nel gruppo ecosistemico richiedono “interventi urgenti o più incisivi; di questi, i rischi per gli ecosistemi marini e costieri sono valutati come particolarmente gravi”. Come ricorda la relazione dell’Aea, “poiché gli ecosistemi rendono molteplici servizi alle popolazioni, questi rischi hanno un elevato potenziale di ricaduta su altri settori, tra cui quelli della produzione alimentare, della salute, delle infrastrutture e dell’economia”. I rischi posti dal caldo eccessivo e dalla siccità alla produzione agricola “sono già a un livello critico nell’Europa meridionale, ma interessano anche i paesi dell’Europa centrale”. Sul fronte della salute, “il calore è il fattore di rischio climatico più grave per la salute umana e quello che richiede gli interventi più urgenti”. Quanto alle infrastrutture, “eventi meteorologici estremi più frequenti aumentano i rischi per l’ambiente urbano e i servizi critici in Europa, tra cui l’energia, l’acqua e i trasporti”. Numerosi rischi climatici interessano, poi, anche l’economia e il sistema finanziario europei. In conclusione, secondo l’Agenzia, “l’Ue e i relativi Stati membri hanno compiuto notevoli progressi nella comprensione dei rischi climatici e nella preparazione ad affrontare tali rischi. Tuttavia, la preparazione della società in generale è resa insufficiente dal ritardo nell’attuazione delle politiche rispetto al rapido aumento dei livelli di rischio”. La valutazione dell’Aea sottolinea che, “per affrontare e limitare i rischi climatici in Europa, l’Ue e gli Stati membri devono collaborare coinvolgendo anche i livelli regionali e locali laddove si rivelino necessari interventi urgenti e coordinati”.  —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Clima, le aree marine protette si difendono meglio

Tempo di lettura: 2 minuti ֎Più difesa la fauna ittica dalle ondate di calore, nel Mediterraneo dove il tasso di riscaldamento è triplo rispetto agli oceani. Il lavoro coordinato dall’Università di Pisa֎

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Ciro, il database delle regioni sul clima

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֎Sulla pagina interattiva di Ciro è possibile cliccare sugli otto temi in tabella e scoprire quali sono le regioni italiane sotto o sopra la media nazionale in quel determinato argomento, allo stesso modo si può cliccare sulla propria regione per saperne di più֎

I tre disastri climatici più pericolosi per la salute globale

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(Adnkronos) – Il cambiamento climatico sta emergendo come una delle principali minacce globali per la salute pubblica e l’economia mondiale. Un recente rapporto del World Economic Forum mette in evidenza l’impatto significativo che gli eventi meteorologici estremi avranno sulla salute globale nei prossimi due decenni. Il rapporto “Quantifying the Impact of Climate Change on Human Health”, realizzato insieme a Oliver Wyman, analizza gli effetti diretti e indiretti di eventi climatici come inondazioni, siccità, ondate di caldo, tempeste tropicali, incendi e innalzamento del livello del mare sulla salute umana. Una delle proiezioni più preoccupanti del rapporto è che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe causare un aumento significativo delle morti premature, con stime che indicano 14,5 milioni di morti aggiuntive. Questo avrà un impatto economico devastante, con perdite stimabili intorno ai 12,5 trilioni di dollari e costi aggiuntivi per i sistemi sanitari globali pari a 1,1 trilioni di dollari. Le comunità più vulnerabili saranno colpite in modo sproporzionato da questi impatti, con particolare attenzione alle popolazioni già svantaggiate nelle regioni dell’Africa e dell’Asia meridionale. Le disuguaglianze esistenti nel settore sanitario, come la scarsità di risorse e infrastrutture inadeguate, saranno ulteriormente accentuate dalle conseguenze del cambiamento climatico. L’aumento delle temperature e degli eventi meteorologici estremi, come sottolineato nel rapporto, aggraverà malattie infettive, cardiovascolari e respiratorie. In particolare, inondazioni e siccità sono identificate come le principali cause di mortalità legata al clima, mentre le ondate di caldo rappresentano la principale causa di perdite economiche. Si prevede inoltre un aumento e una diffusione di malattie sensibili al clima come la malaria e la dengue. Per affrontare queste sfide, il rapporto sottolinea la necessità di una trasformazione globale dei sistemi sanitari e sforzi collaborativi tra stakeholder e settori diversi. L’analisi identifica strategie globali di riduzione delle emissioni e di adattamento delle infrastrutture sanitarie come urgenti per mitigare gli impatti del cambiamento climatico sulla salute umana. Il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità di eventi meteorologici estremi in tutto il mondo, rappresentando una minaccia crescente per la salute globale. Tra i vari rischi climatici, tre emergono come particolarmente acuti e urgenti: Le inondazioni emergono come il rischio climatico più acuto per la mortalità secondo il rapporto del World Economic Forum. Si stima che entro il 2050, le inondazioni potrebbero causare la perdita di vite umane fino a 8,5 milioni di persone. L’aumento della temperatura del mare contribuisce a questo rischio. Con il riscaldamento globale, la quantità di acqua evaporata aumenta, accelerando lo scioglimento dei ghiacci polari e aumentando i livelli delle falde freatiche. Le aree costiere sono particolarmente vulnerabili a causa dell’innalzamento del livello del mare, con un aumento delle inondazioni costiere fino a 10 volte rispetto a 50 anni fa. Oltre alle perdite di vite umane e ai feriti, le inondazioni portano anche a un aumento delle malattie trasmesse dall’acqua e da vettori, come la malaria, a causa dell’acqua stagnante. I danni alle infrastrutture e ai raccolti possono causare insicurezza alimentare e malnutrizione. Inoltre, le inondazioni possono avere gravi conseguenze sulla salute mentale delle persone che subiscono la perdita delle loro case e dei mezzi di sussistenza. Le proiezioni globali indicano che le regioni equatoriali del Sud America, dell’Africa centrale e le regioni costiere del Sud-Est asiatico saranno tra le più colpite dall’aumento delle inondazioni entro il 2050. La siccità, caratterizzata da periodi prolungati di precipitazioni scarse o assenti, emerge come la seconda causa di mortalità legata al clima. Si prevede che entro il 2050 possa causare fino a 3,2 milioni di morti. Sebbene tradizionalmente associate alle regioni come l’Africa, dove circa 40 milioni di persone sono esposte ai suoi effetti, le siccità si stanno diffondendo anche nelle aree più temperate del mondo. Circa il 40% degli Stati Uniti continentali e quasi un quinto della popolazione europea è già colpito da questo fenomeno. Le conseguenze immediate della siccità includono la riduzione della qualità e della disponibilità dell’acqua e il degrado del suolo; si tratta di fattori che possono portare all’aumento delle malattie respiratorie a causa di concentrazioni più elevate di polvere nell’aria. Inoltre, la sicurezza alimentare, l’igiene e i servizi igienico-sanitari sono influenzati, contribuendo alla malnutrizione e alla diffusione di malattie infettive. La siccità mette inoltre a rischio i mezzi di sussistenza, con effetti negativi sulla salute mentale delle persone coinvolte. Le future aree ad alto rischio di siccità includono l’ovest degli Stati Uniti, il Sud America sud-occidentale, la regione del Mediterraneo e l’Africa sud-occidentale. I dati della National Oceanic and Atmospheric Association (NOAA) indicano un peggioramento delle precipitazioni e un abbassamento dei livelli delle acque sotterranee in molte di queste regioni, confermando la crescente minaccia delle siccità sulla salute globale. Le ondate di caldo, caratterizzate da periodi prolungati di temperature e umidità estreme, rappresentano una delle maggiori minacce economiche e per la salute, secondo il rapporto. Si stima che entro il 2050, queste ondate provocheranno perdite economiche fino a 7,1 trilioni di dollari, principalmente a causa della perdita di produttività. Questi eventi climatici stanno diventando sempre più diffusi in tutto il mondo, con effetti significativi sul sistema di termoregolazione del corpo umano. Le ondate di caldo possono portare a una serie di problemi di salute, tra cui esaurimento da calore e squilibri elettrolitici, con conseguenze potenzialmente fatali, soprattutto nelle persone vulnerabili, dove lo sforzo aggiuntivo sul corpo può provocare infarti o ictus. Le popolazioni più povere, con limitato accesso all’acqua dolce e all’aria condizionata, sono colpite in modo sproporzionato da questi eventi. Dal punto di vista economico, le ondate di caldo hanno un impatto significativo sulla salute e sulla produttività sul luogo di lavoro, specialmente nelle professioni ad alto rischio come agricoltori e operai edili, esposti direttamente alle temperature elevate. Entro il 2050, si prevede che le ondate di caldo causeranno circa 1,6 milioni di morti, soprattutto nelle regioni ad alto rischio come Stati Uniti, America centrale, Africa meridionale e occidentale, Medio Oriente, India, Sud-est asiatico e Australia settentrionale. L’esposizione al calore in queste regioni potrebbe aumentare drasticamente, con la crescente urbanizzazione che gioca un ruolo chiave nel fenomeno, poiché gli ambienti urbani assorbono e irradiano il calore in misura molto maggiore rispetto alle aree naturali. Le proiezioni del rapporto sulla frequenza percentuale di malattie e mortalità in una collettività derivanti dai disastri naturali aggravati dal cambiamento climatico ci mettono di fronte a una realtà sconcertante: entro il 2050, potremmo assistere a oltre 15 milioni di morti, due miliardi di anni di vita sana persi e perdite economiche stimate a 12,5 trilioni di dollari. Queste cifre delineano chiaramente le dimensioni della crisi imminente che il riscaldamento globale porta con sé, minacciando di destabilizzare sia gli ecosistemi sanitari che il pianeta nel suo complesso. È urgente un appello all’azione, rivolto ai governi e all’industria, affinché si impegnino attivamente nel ridurre le emissioni di gas serra per evitare un futuro così catastrofico. Parallelamente, è fondamentale che politici, settore sanitario e delle scienze della vita inizino a prepararsi per un futuro difficile, caratterizzato da frequenti disastri naturali e impatti devastanti sulle comunità e sulle regioni coinvolte. Per il settore sanitario, questo momento richiede una seria riflessione sul suo ruolo futuro e su come possa sviluppare infrastrutture e operazioni più resilienti alle pressioni derivanti dalla crisi climatica. È essenziale riconoscere l’importanza e la fragilità degli operatori sanitari e garantire che siano adeguatamente preparati fisicamente e mentalmente per affrontare le sfide imminenti. Inoltre, è necessario che il settore della salute e delle scienze della vita continui a stabilire priorità e strategie per affrontare queste sfide, collaborando con governi, altre industrie e tutte le parti interessate coinvolte. È essenziale condurre regolarmente test di stress nel settore sanitario per valutare la sua capacità di resistere e riprendersi dagli impatti climatici. Anche se alcuni progressi sono stati fatti, come dimostrato dall’impegno di più di 120 nazioni nella Dichiarazione sulla salute e il clima durante la COP28, è chiaro che molto altro deve essere fatto. Mitigare gli effetti del cambiamento climatico richiederà un elevato grado di cooperazione globale e un impegno significativo delle risorse in anticipo. Fino ad ora, governi e industrie hanno dimostrato una lentezza nell’affrontare questa sfida, e questo atteggiamento deve cambiare rapidamente per proteggere la salute globale e garantire un futuro sostenibile per tutti. —sostenibilita/lifestylewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Clima, a rischio 1 pmi su 4, in zone vulnerabili più esposte a fallimento

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(Adnkronos) – “Ben 1 pmi su 4 sono minacciate, perché localizzate in comuni a rischio frane e alluvioni e presentano una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese una volta che si sia verificato l’evento avverso”. E’ quanto afferma Maurizio Gardini presidente di Confcooperative commentando i dati che emergono dal Focus Censis Confcooperative “Disastri e climate change conto salato per l’Italia”. Allo stesso modo queste imprese realizzerebbero un risultato economico inferiore del 4,2% e una dimensione d’impresa, in termini di addetti, anch’essa inferiore alle imprese localizzate in territori non esposti a rischi di frane e alluvioni.  “L’agricoltura è il settore economico che risente di più le conseguenze dei cambiamenti climatici. L’andamento dell’economia agricola nel 2022 ha registrato un calo della produzione dell’1,5%, poco meno di 900 milioni di euro”, prosegue Gardini. Buona parte del risultato negativo è da imputare alla diffusa siccità e alla carenza di precipitazioni, tanto che il 2022 è considerato l’anno più caldo di sempre. Quasi tutte le tipologie di coltivazioni hanno subito un duro contraccolpo: la produzione di legumi (-17,5%), l’olio di oliva (-14,6%), i cereali (-13,2%). In flessione anche ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%). Il comparto zootecnico ha subito una riduzione della produzione pari allo 0,6%. Dal punto di vista territoriale, la flessione del volume di produzione ha avuto una maggiore incidenza nel Nord Ovest (-3,5%) e nel Sud (-3,0%), mentre al Centro non si è registrata alcuna variazione. Se si guarda al valore aggiunto, la tendenza negativa appare particolarmente evidente nel nord Ovest con un -7,6%. Al Sud il valore aggiunto si riduce del 2,9%. “È di 210 miliardi di euro il conto che disastri naturali e cambiamenti climatici hanno presentato al nostro paese. Si tratta di un costo pesantissimo pari all’intero importo del Pnrr e a 10 manovre finanziarie. Di questi 210 miliardi ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema paese”. Il Focus Censis Confcooperative ‘Disastri e climate change conto salato per l’Italia’ certifica, dati alla mano, come negli ultimi 40 anni (dal 1980 al 2022) 1/3 del valore dei danni provocati da eventi estremi nella Ue sia stato ‘pagato’ dall’Italia. “Venendo agli ultimi anni parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato quasi 1% di Pil, lo 0,9% per l’esattezza, pari a 17 miliardi circa: un importo – conclude Gardini – poco inferiore a una manovra finanziaria”. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Stiamo perdendo la memoria dei ghiacciai

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Tempo di lettura: 2 minuti Particolarmente danneggiati i ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard ֎Lo scioglimento causato dal riscaldamento globale sta deteriorando rapidamente il segnale climatico contenuto nei ghiacciai delle isole Svalbard. Questo è quanto scoperto da […]

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